Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19451 - pubb. 11/01/2018

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Cassazione civile, sez. I, 08 Novembre 1995, n. 11600. Est. Milani.


Liquidazione coatta amministrativa - Stato passivo - Opposizioni - Crediti per i quali non sia stata richiesta l' ammissione al passivo - Insinuazione tardiva - Ammissibilità - Crediti per i quali sia stata respinta l' ammissione al passivo - Opposizione ex art. 98 legge fall. - Necessità



Nel procedimento di liquidazione coatta amministrativa, l'insinuazione tardiva è ammissibile esclusivamente per quei crediti per i quali non sia stata già richiesta tempestivamente l'ammissione al passivo, perché, in caso contrario, avverso il mancato accoglimento, in tutto o in parte, della relativa domanda, unico rimedio consentito è l'opposizione allo stato passivo, ai sensi dell'art. 98 della legge fallimentare, richiamato dal successivo art. 209, secondo comma. (Nella specie, trattavasi di insinuazione tardiva per il maggior importo di un credito per prestazioni professionali, calcolato in base alla tariffa vigente all'epoca delle prestazioni, anziché in base alla precedente tariffa, erroneamente applicata nell'istanza di ammissione al passivo. La S.C. ha ritenuto che il dato quantitativo conseguente all'applicazione della nuova tariffa non integrasse il requisito della diversità del credito, per petitum e causa petendi, dovendo la diversità investire entrambi gli elementi). (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Pellegrino SENOFONTE Presidente

" Vincenzo PROTO Consigliere

" Maria Gabriella LUCCIOLI "

" Mario CICALA "

" Laura MILANI Rel. "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

TESSADRI MASSIMO, elettivamente domiciliato in Roma - via Novella n. 1-A presso l'avvocato Fosco Pomponi che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

Ricorrente

contro

COOPERATIVA EDILIZIA "COLLE PARADISO" in liquidazione coatta amministrativa, in persona dei liquidatori Benigni Piergiorgio, Sansone Eduardo e Di Girolamo Stefano;

Intimata

e sul secondo ricorso n. 12675-93 proposto

da

LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA della SOCIETÀ COOPERATIVA EDILIZIA COLLE PARADISO A R.L., in persona dei liquidatori Piergiorgio Benigni, Eduardo Sansone e Stefano Di Girolamo, elettivamente domiciliata in Roma - via G. Antonelli n. 47 presso l'avvocato Nicola D'Agostino che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato Giuliano Pelà giusta delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;

Controricorrente e ricorrente incidentale

contro

TESSADRI MASSIMO;

Intimato

avverso la sentenza n. 1166-93 della Corte di Appello di Roma dep. il 13.4.93;


è presente per il ricorrente l'avvocato Pomponi;

è presente per il resistente e ricorrente incidentale (Amm.ne coatta Colle Paradiso), l'avvocato Pelà;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza 26 giugno 1995 dal Consigliere dott. Milani;

la difesa del ricorrente chiede l'accoglimento del ricorso principale e il rigetto dell'incidentale;

la difesa del resistente chiede l'accoglimento del ricorso incidentale ed il rigetto del ricorso principale:

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, dr. Martone che ha concluso per l'accoglimento del 5 motivo del ricorso principale e il rigetto degli altri motivi; rigetto del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito del provvedimento in data 9.8.1985, con il quale veniva posta in liquidazione coatta amministrativa la società cooperativa edilizia Colle Paradiso a r.l., l'avv. Massimo Tessadri, con ricorso 13.2.1986, proponeva opposizione allo stato passivo, lamentando l'esclusione del credito chirografario di L. 86.726.310 e del credito privilegiato di L. 255.300.920, relativi a prestazioni professionali espletate a favore della cooperativa. Con successivo ricorso del 14.4.1986 lo stesso avv. Tessadri, premesso di avere errato sia nell'applicazione della tariffa che nell'enunciazione delle pratiche nelle quali aveva prestato la propria assistenza e difesa, chiedeva di essere tardivamente ammesso al passivo per gli ulteriori crediti di L. 85.854.968 in via privilegiata e di L. 79.791.000 in via chirografaria.

Riuniti i giudizi, il Tribunale di Roma, con sentenza 20 luglio 1990, in parziale accoglimento sia dell'opposizione allo stato passivo che della domanda di insinuazione tardiva, disponeva l'ammissione del credito di L. 87.365.000 in via privilegiata e del credito di L. 40.251.310 in via chirografaria, in relazione all'opposizione allo stato passivo, e dei crediti di L. 4.500.000 in via privilegiata e di L. 30.000.000 in via chirografaria, in relazione alla domanda di insinuazione tardiva, dichiarando la domanda stessa inammissibile per le altre voci.

Detta decisione veniva impugnata in via principale dall'avv. Tessadri ed in via incidentale dalla cooperativa Colle Paradiso, la quale preliminarmente ribadiva l'eccezione di difetto di legittimazione passiva, già sollevata e disattesa dal tribunale. Con sentenza 23.3 - 13.4.1993, la Corte d'appello di Roma, riaffermata la legittimazione passiva della cooperativa, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, elevava a L. 107.507.000 in via privilegiata e riduceva a L. 22.667.210 in via chirografaria i crediti ammessi nel giudizio di opposizione allo stato passivo, ed elevava a L. 39.000.000 la minor somma liquidata in via chirografaria nel giudizio di insinuazione tardiva.

Avverso tale sentenza l'avv. Massimo Tessadri ha proposto ricorso, illustrato da memoria. Resiste con controricorso la liquidazione coatta amministrativa della cooperativa Colle Paradiso, la quale propone altresì ricorso incidentale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, devono essere riuniti il ricorso principale e quello incidentale, ai sensi dell'art. 335 c.p.c. Per ragioni di ordine logico, è opportuno esaminare in primo luogo il ricorso incidentale, in quanto attinente alla legittimazione passiva della cooperativa Colle Paradiso.

Detto ricorso, articolato in tre motivi, si incentra sull'interpretazione della lettera 29.12.1983 a firma del presidente della cooperativa Colle Paradiso, diretta all'avv. Tessadri. La ricorrente; partendo dalla premessa che con tale lettera la cooperativa si era assunta un'obbligazione sussidiaria di garanzia per i crediti maturati dall'avv. Tessadri sino al 31.12.1983, per i quali l'obbligazione diretta era stata assunta dal COLACO, che si era inoltre direttamente ed esclusivamente impegnato al pagamento dei compensi successivi a tale data (come da accordo del 23.11.1983 tra la cooperativa ed il consorzio e da accordo del 28.12.1983 tra il consorzio e l'avv. Tessadri), censura la sentenza impugnata per avere, da un lato, fornito una qualificazione giuridica delle obbligazioni assunte dalla cooperativa con la suddetta lettera 29.12.1983 (definite dai giudici d'appello obbligazioni dirette per le prestazioni afferenti il periodo sino al 31.12.1983 e obbligazioni di garanzia per le prestazioni successive) diversa rispetto alla qualificazione stabilita dal tribunale, senza che sul punto fosse stata proposta impugnazione, e, d'altro lato, per avere adottato un'interpretazione del citato documento contrastante con le regole di ermeneutica contrattuale e viziata di illogicità e contraddittorietà, per avere trascurato di valutare le risultanze dell'accordo trilatero tra l'avv. Tessadri, la cooperativa ed il COLACO, che attribuiva a quest'ultimo in via esclusiva l'obbligo di pagamento delle prestazioni successive al 31.12.1983. La censura attinente all'asserita violazione del giudicato interno si palesa infondata.

Premesso che, trattandosi di questione rilevabile d'ufficio, questa Corte ha il potere-dovere di interpretare direttamente la sentenza nella quale la questione di cui si discute è stata esaminata, compiendo, eventualmente, anche indagini di fatto, allo scopo di accertare e definire se ed entro quali limiti l'effetto preclusivo del giudicato si realizzi e si riverberi sulle successive vicende processuali del giudizio (v. Cass. 5194-1989), va osservato che, diversamente dall'assunto della ricorrente, la qualificazione giuridica delle obbligazioni assunte dalla cooperativa nei confronti dell'avv. Tessadri non risulta divergente nella sentenza d'appello rispetto alla pronuncia di primo grado.

Questa, infatti, ha definito obbligazione di garanzia quella assunta dalla cooperativa con riferimento all'incarico professionale proveniente dal COLACO, di cui alla lettera del 28.12.1983 diretta dal COLACO all'avv. Tessadri, destinato a svolgersi a partire dall'1.1.1984, da quando - cioè - il COLACO era subentrato nel rapporto con la posizione di stazione appaltante, ma ha evidenziato che, per il periodo precedente, l'avv. Tessadri aveva ricevuto ampio mandato professionale dalla cooperativa, che aveva assolto con piena soddisfazione della mandante: la considerazione conclusiva, quindi, che con la citata lettera del 29.12.1983 la cooperativa Colle Paradiso aveva assunto nei confronti dell'avv. Tessadri la garanzia del pagamento delle prestazioni professionali, nell'ipotesi - che poi ebbe a verificarsi - di cessazione del rapporto tra la cooperativa e l'appaltatore generale, non differisce dall'interpretazione fornita dai giudici d'appello, secondo cui, con il suddetto documento, la cooperativa aveva ribadito la propria diretta responsabilità per i crediti maturati dall'avv. Tessadri relativamente alle prestazioni oggetto del mandato del 1981, ed aveva assunto altresì la garanzia del pagamento delle prestazioni di cui al successivo mandato professionale conferito dal consorzio, nel caso di fallimento della convenzione intercorsa con il consorzio stesso, e fino alla effettiva e definitiva cessazione del rapporto professionale. D'altro lato, con l'impugnazione incidentale proposta avverso la sentenza di primo grado, la cooperativa ha messo in discussione proprio l'interpretazione del documento in questione, affermando che l'efficacia dell'obbligazione di garanzia doveva intendersi limitata alle prestazioni espletate ed ai crediti maturati sino al 31.12.1983. In tal modo, la statuizione emessa dal tribunale veniva globalmente investita dall'impugnazione, devolvendosi "in toto" al giudice di secondo grado la materia della qualificazione giuridica delle obbligazioni assunte dalla cooperativa nei confronti dell'avv. Tessadri.

Anche sotto questo profilo, quindi, la censura di violazione del giudicato interno appare destituita di fondamento, avendo la proposizione dell'appello impedito la formazione del giudicato in ordine alla statuizione relativa alla sussistenza ed all'estensione dell'obbligazione assunta dalla cooperativa.

Circa, poi, l'interpretazione fornita dai giudici d'appello, la stessa si sottrae alle censure di illogicità e contraddittorietà, nonché di violazione dell'art. 1362 c.c., avanzate dalla ricorrente. Premesso che questa seconda censura si palesa del tutto generica, poiché la ricorrente, al di là dell'indicazione della norma di legge asseritamente violata, non ha specificato in quale modo la corte d'appello si sarebbe discostata dai canoni di ermeneutica contrattuale, la motivazione della sentenza impugnata risulta giuridicamente corretta, nonché pienamente logica e coerente nello svolgimento delle argomentazioni, là dove osserva che, essendo l'obbligazione di garanzia per definizione un'obbligazione sussidiaria volta ad assumere la responsabilità di un debito altrui, la stessa non poteva che riferirsi all'obbligo di pagamento assunto dal COLACO per il periodo successivo all'1.1.1984, mentre, a sua volta, il mandato conferito dal COLACO all'avv. Tessadri, pur tenendo conto, nella determinazione del corrispettivo pattuito, dell'attività precedentemente svolta a favore della cooperativa, non era idoneo ad estinguere le obbligazioni direttamente assunte dalla cooperativa stessa.

Nè, infine, il documento citato in questa sede (situazione debitoria della cooperativa al 16.5.1985, ove è previsto, in una postilla, lo scorporo dei crediti professionali dell'avv. Tessadri inerenti al periodo 1.1 - 31.12.1984, in quanto di competenza del COLACO), del quale la ricorrente addebita ai giudici d'appello il mancato esame, appare suscettibile di modificare le conclusioni cui è pervenuta la corte di merito, trattandosi di dichiarazione redatta dalla stessa cooperativa, che pertanto ha valenza di mera affermazione di parte a sostegno della propria tesi: la circostanza, quindi, che nella sentenza impugnata tale documento non risulti menzionato non configura vizio di omesso esame, dato il valore certamente non decisivo del documento medesimo, inidoneo ad indirizzare in maniera diversa la decisione adottata. Il ricorso incidentale, rivelatosi infondato in ogni sua censura, deve dunque essere respinto.

Iniziando, ora, l'esame del ricorso principale, con il primo motivo dello stesso, deducendo violazione dell'art. 112 c.p.c. e dell'art. 209 L.F., nonché insufficiente motivazione, il ricorrente censura la sentenza impugnata per la ritenuta inammissibilità della domanda di insinuazione tardiva relativa ai maggiori importi dei compensi, calcolati in base alla tariffa professionale vigente all'epoca delle prestazioni, anziché in base alla precedente tariffa, erroneamente applicata nella istanza di ammissione al passivo. Sostiene il ricorrente che la corte d'appello, nell'incentrare la propria decisione sulla perentorietà del termine stabilito dall'art. 209, 2 comma, L.F. per le opposizioni allo stato passivo, ha trascurato di considerare (così omettendo di pronunciare su una parte del gravame proposto, o quanto meno fornendo sul punto una motivazione insufficiente) che con la dichiarazione tardiva era stata avanzata una domanda nuova, di diverso oggetto, inerente a compensi professionali non richiesti con l'istanza di ammissione al passivo.

La censura è infondata.

La sentenza impugnata, infatti, ha confermato l'inammissibilità dell'insinuazione tardiva, già dichiarata in primo grado, considerando non abilitata la parte, la quale abbia chiesto l'ammissione al passivo ed abbia quindi proposto opposizione avverso il provvedimento di esclusione, a far valere il medesimo credito, ancorché diversamente qualificato, con domanda di insinuazione tardiva, limitata alla differenza in più, rispetto alla domanda in opposizione, conseguente alla diversa qualificazione. La ragione del rigetto si basa quindi sull'insussistenza, nella specie, del requisito della diversità dei due crediti, e sull'inammissibilità della doppia insinuazione, ordinaria e tardiva, del medesimo credito, essendo il termine di opposizione stabilito dall'art. 209, 2 comma, L.F. richiamato soltanto al fine di sottolineare l'impossibilità di proporre, sotto forma di insinuazione tardiva, una sostanziale nuova opposizione alla mancata ammissione del medesimo credito.

La motivazione è pienamente corretta, essendo noto che un credito, per poter essere insinuato tardivamente, deve essere di verso per "petitum" e per "causa petendi" da quello fatto valere nell'insinuazione ordinaria: l'insinuazione tardiva deve infatti ritenersi ammissibile esclusivamente per quei crediti per i quali non sia stata già richiesta tempestivamente l'ammissione al passivo, perché, in caso contrario, avverso il mancato accoglimento, in tutto o in parte, della relativa domanda, unico rimedio consentito è l'opposizione allo stato passivo, ai sensi dell'art. 98 L.F., richiamato dal successivo art. 209, secondo comma (Cass. 1531-1979). Ed esattamente ii requisito della diversità, per "petitum" e "causa petendi", è stato ritenuto non ricorrente nella specie, uguale essendo la causale del credito professionale, e non essendo sufficiente il dato quantitativo conseguente all'applicazione di una nuova tariffa ad integrare il requisito richiesto, dovendo la diversità investire entrambi gli elementi del credito e non uno soltanto.

Il motivo deve pertanto essere rigettato.

Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo violazione dell'art. 112 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, lamenta che la sentenza impugnata abbia negato il diritto al compenso per "esame e studio della pratica con aggiornamenti periodici" per difetto di prova della "sostanziale gestione giuridica della società" addotta dall'appellante, senza considerare che il diritto all'onorario per la voce in questione non necessitava di alcuna specifica prova, poiché emergeva da tutte le prestazioni professionali realizzate e riconosciute nell'arco di vari anni, per l'espletamento delle quali era presupposto indispensabile lo studio e l'esame delle varie situazioni oggetto di controversia, con i relativi aggiornamenti.

La doglianza è priva di fondamento e deve essere respinta. Non è ravvisabile alcun vizio di omessa pronuncia o carenza di motivazione, avendo i giudici d'appello correttamente ritenuto che, mancando la dimostrazione di una specifica attività ulteriore rispetto alle varie prestazioni singolarmente compensate, difettasse la prova del presupposto in fatto della domanda, non individuabile nelle sole argomentazioni dell'appellante. Nè le argomentazioni avanzate in questa sede dal ricorrente sono idonee a modificare tale conclusione: ogni voce di onorario, infatti, deve essere correlata ad una prestazione effettivamente svolta, senza che possa, se non incorrendosi in duplicazione di compensi, considerarsi la prova di una specifica attività professionale emergente dal contesto delle altre prestazioni effettuate.

Con il terzo motivo, ancora deducendo violazione dell'art. 112 c.p.c., oltre che degli artt. 121 e 244 c.p.c., il ricorrente si duole che la corte d'appello abbia negato il diritto agli onorari per modificazioni statutarie, per difetto di prova ed inammissibilità della prova testimoniale articolata sul punto in via subordinata, in quanto carente dell'indicazione dei testi: sostiene che l'indicazione dei testi così come fornita (componenti del consiglio d'amministrazione della cooperativa e notaio rogante il verbale dell'assemblea straordinaria ove furono deliberate le modifiche statutarie) era di per sè sufficiente, e che, in ogni caso, l'indicazione poteva essere integrata ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 244 c.p.c. Anche questa censura è priva di fondamento.

La corte d'appello ha esattamente considerato inammissibile la prova per mancata indicazione dei nominativi dei testi, e ciò in ottemperanza - e non certamente in violazione - dell'art. 244 c.p.c., che prescrive l'indicazione specifica delle persone da interrogare, ed ha ritenuto, nell'esercizio della propria valutazione discrezionale, di non dover ulteriormente concedere termine per l'integrazione degli elementi carenti. Nè tale valutazione è sindacabile in questa sede, posto che, com'è noto, il potere del giudice, previsto dall'art. 244, terzo comma, c.p.c., di assegnare alle parti un termine perentorio per l'indicazione dei testi è meramente discrezionale, in quanto esercitato in base ad un criterio di opportunità e di prudente apprezzamento delle esigenze istruttorie della causa: donde l'insindacabilità, in sede di legittimità, del suo mancato esercizio, per il quale non è nemmeno necessaria un apposita motivazione (Cass. 3239-1989; 8157-1992). Con il quarto motivo il ricorrente, deducendo violazione degli artt. 1322 e 1362 c.c. e dell'art. 345 c.p.c., si duole che, in accoglimento dell'appello incidentale, la sentenza impugnata abbia detratto dall'importo delle spettanze globalmente riconosciute in via chirografaria la somma di L. 44.704.300, pari alla differenza tra l'importo versato dalla cooperativa per l'assistenza giudiziaria prestata in occasione di istanze di fallimento presentate da tre creditori e la somma liquidata a tale titolo dal tribunale. Deduce il ricorrente che la detrazione operata contrasta con l'autonomia negoziale delle parti e le regole di ermeneutica contrattuale, posto che il pagamento dell'onorario in questione rappresentava il regolamento del rapporto liberamente concordato tra le parti, e la cifra così versata non poteva essere altrimenti imputata se non violando tale accordo negoziale ed accogliendo - fra l'altro - non una mera istanza di contabilizzazione avanzata dalla cooperativa, ma una vera e propria nuova domanda (in violazione dell'art. 345 c.p.c.), volta alla ripetizione di somme versate prima del giudizio ad altro titolo.

La doglianza è priva di pregio e va disattesa.

Ed invero, la sentenza impugnata, considerato che il tribunale, dopo aver liquidato per la voce in questione L. 2.647.600, e dopo aver rilevato che a fronte della stessa voce era stata versata la somma di L. 47.351.960, non aveva poi operato la detrazione dell'importo versato in eccedenza, ha provveduto, in accoglimento dell'appello incidentale proposto dalla cooperativa, a conteggiare la differenza in più rispetto alla liquidazione effettuata dal tribunale tra gli acconti corrisposti all'avv. Tessadri. Così operando, la corte d appello ha semplicemente risposto ad una esigenza di corretta contabilizzazione, senza incorrere nelle violazioni di legge lamentate dal ricorrente. Non dell'art. 345 c.p.c., non essendo ravvisabile nell'appello incidentale l'introduzione di una domanda nuova (ma bensì un semplice adeguamento delle somme versate alla liquidazione operata dal tribunale); non degli artt. 1322 e 1362 c.c., posto che l'accordo negoziale dedotto dal ricorrente per giustificare il regolamento dell'onorario nella cifra versata dalla cooperativa doveva formare - come esattamente osservato nella sentenza impugnata - oggetto di appello principale, allo scopo di ottenere la maggiorazione della liquidazione effettuata per la voce in questione, per adeguarla alla pattuizione concordata tra le parti, ma non poteva essere invocato per legittimare - ferma restando la liquidazione del tribunale una eccedenza di L. 44.704.360 tra onorari liquidati ed onorari corrisposti.

Il quinto ed il sesto motivo attengono al tema degli interessi e della rivalutazione monetaria.

Con il quinto motivo il ricorrente, deducendo violazione dell'art.345 c.p.c., si duole che la sentenza d'appello abbia dichiarato l'inammissibilità della domanda relativa agli interessi, per non essere stata proposta sul punto impugnazione avverso la pronuncia del tribunale (che tali interessi, benché richiesti, non aveva attribuito), senza considerare che la domanda era stata avanzata, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 345 c.p.c., limitatamente agli interessi maturati dopo la sentenza di primo grado.

Con il sesto motivo, deducendo violazione degli artt. 1224 c.c. e 345 c.p.c., il ricorrente analogamente censura la dichiarata inammissibilità della domanda di rivalutazione monetaria, ritenuta proposta in violazione del divieto di "ius novorum" in appello. Sostiene, al contrario, che la domanda, in quanto limitata al risarcimento del danno sofferto dopo la sentenza di primo grado, era proponibile ed accoglibile, in ottemperanza al disposto dell'art. 345 c.p.c., non essendovi ragione per escludere i debiti di valuta dall'applicazione di tale norma.

La prima censura appare fondata.

Considerato, infatti, che la domanda di corresponsione degli interessi proposta in grado d'appello risultava limitata agli interessi maturati dopo la sentenza di primo grado, senza che fosse avanzata alcuna pretesa relativamente alla pregressa fase processuale, non v'era ragione per dichiararne l'inammissibilità per difetto d'impugnazione sul punto della sentenza ai primo grado, posto che la domanda non accolta in quella sede era stata abbandonata e che, ai sensi dell'art. 345 c.p.c., potevano, in deroga al divieto di domande nuove in appello, richiedersi in tale giudizio gli interessi maturati dopo la sentenza di primo grado.

Diversamente è da dirsi in ordine all'istanza di rivalutazione monetaria, posto che la stessa risulta avanzata per la prima volta in appello.

Ritiene, infatti, questo Collegio - pur consapevole dell'esistenza di orientamenti giurisprudenziali non univoci in argomento - che, in materia di crediti di valuta, il risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria possa richiedersi in appello, per il periodo successivo alla sentenza di primo grado, soltanto se analoga domanda sia stata già avanzata in primo grado.

Ed invero, in tema di crediti pecuniari, la svalutazione monetaria verificatasi durante la mora del debitore non giustifica in sè alcun risarcimento automatico che possa essere attuato con la rivalutazione della somma dovuta: con la conseguenza che il risarcimento dell'eventuale maggior danno, rispetto a quello coperto dagli interessi legali, non può essere liquidato dal giudice in difetto di specifica domanda, la quale, se omessa in primo grado, non può essere proposta per la prima volta in appello, neanche al limitato fine della liquidazione del danno verificatosi successivamente alla decisione di primo grado, in quanto l'eccezione che il primo comma dell'art. 345 c.p.c. reca al principio dell'inammissibilità di domande nuove in appello, per ciò che concerne i frutti naturali o civili ed i danni maturati dopo la sentenza, opera a condizione che in primo grado sia stata proposta analoga domanda per frutti o danni maturati in precedenza (Cass. 2061-1991; in senso conforme: Cass.6466-1990; 2801-1990).

Deve essere pertanto accolto il quinto motivo, mentre deve essere rigettato il sesto.

In applicazione dell'art. 384, comma primo, c.p.c., nel testo introdotto dalla legge 26 11.1990 n. 353 applicabile al presente giudizio in virtù della disciplina transitoria dettata dal d.l. 21.6.1995 n. 238, poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, l'accoglimento del quinto motivo determina, decidendosi sul punto la causa nel merito, l'accoglimento della domanda di attribuzione degli interessi legali per il periodo successivo alla sentenza di primo grado. Detti interessi - va tuttavia precisato - sono da intendersi limitati ai crediti assistiti da privilegio generale ex art. 2751 bis n. 2 c.c. (L. 107.507.000, nel giudizio di opposizione allo stato passivo e L. 4.500.000 nel giudizio di insinuazione tardiva, secondo la liquidazione effettuata nella sentenza d'appello), per i quali soltanto, diversamente che per i crediti chirografari, l'apertura della procedura concorsuale non sospende il decorso degli interessi, ai sensi dell'art. 55 L.F., applicabile anche alla liquidazione coatta amministrativa in virtù del richiamo operato dal successivo art. 201: con l'avvertenza che gli interessi legali maturano in via chirografaria e che il corso degli interessi stessi cessa integralmente con la liquidazione delle attività mobiliari del debitore, se questa si verifichi in unico contesto, ovvero gradualmente e proporzionalmente, se la liquidazione medesima venga effettuata per fasi successive. (v. Cass. 1670-1982; 7396-1983; 4583-1984; 1377-1987; 7772-1993).

Circa infine le spese della presente fase del giudizio, appare equo operarne la compensazione, ravvisandosi una situazione di reciproca soccombenza a seguito del rigetto del ricorso incidentale e di cinque dei sei motivi del ricorso principale.

P.Q.M.

La Corte

Riunisce i ricorsi.

Accoglie il quinto motivo del ricorso principale e, in riforma della sentenza impugnata, dichiara dovuti gli interessi legali maturati successivamente alla sentenza di primo grado. Rigetta gli altri motivi e il ricorso incidentale.

Dichiara compensate le spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma il 26 giugno 1995.