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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19446 - pubb. 11/01/2018.

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Cassazione civile, sez. V, tributaria, 31 Marzo 2006. Est. Scuffi.

Ammissione al passivo - Dichiarazioni tardive - Ammissione ordinaria e tardiva al passivo fallimentare - Diverse fasi di uno stesso accertamento giurisdizionale - Insinuazione tardiva - Presupposto - Diversità del credito per "petitum" e "causa petendi" - Tributo e sanzione pecuniaria - Autonomia delle rispettive obbligazioni - Fondamento - Conseguenze


L'ammissione ordinaria e quella tardiva al passivo fallimentare sono altrettante fasi di uno stesso accertamento giurisdizionale, sicché, rispetto alla decisione concernente una insinuazione tardiva di credito, le pregresse decisioni, riguardanti la insinuazione ordinaria, hanno valore di giudicato interno e quindi un credito, per potere essere insinuato tardivamente, deve essere diverso, in base ai criteri del "petitum" e della "causa petendi", da quello fatto valere nella insinuazione ordinaria (e tale principio é estensibile alle insinuazioni tardive in progressione successiva). A tal riguardo, il fatto generatore della ragione del credito non può dirsi identico per l'imposta evasa come per la sanzione pecuniaria solo perché entrambi i titoli provengono da un unico rapporto d'imposta (nella fattispecie, IVA). E ciò perché mentre il tributo è espressione della potestà dello Stato di incidere fiscalmente su operazioni che esprimono produzione o passaggio di ricchezza e, dunque, capacità contributiva, le sanzioni discendono da irregolarità e violazioni di legge del contribuente, in termini di omissioni, ritardi o infedeltà, sia nella fase accertativa che in quella della riscossione, per cui, attesane la funzioni tipicamente afflittiva, non possono partecipare alla natura del tributo stesso. Ne consegue la sostanziale autonomia delle rispettive obbligazioni (tributo e sanzione), come tali esecutibili separatamente senza poter essere considerate momenti di esercizio frazionato di una unica pretesa fiscale. (massima ufficiale)

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