Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19226 - pubb. 11/01/2018

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Cassazione civile, sez. I, 18 Dicembre 1995, n. 12904. Est. Bibolini.


Procuratore legale del fallimento - Poteri - Estensione - Disciplina ex art. 1708 cod. civ. - Applicabilità - Potere di nomina di un consulente di parte - Configurabilità - Autorizzazione del giudice delegato - Necessità - Esclusione



I poteri del procuratore legale del fallimento - una volta che sia stato nominato dal curatore su autorizzazione del giudice delegato - non differiscono da quelli ordinari, previsti in linea generale dall'art. 84 cod. proc. civ., ed i rapporti tra il professionista ed il fallimento sono retti dall'art. 1708 cod. civ. - applicabile anche con riguardo alla procura "ad litem" -, a norma del quale il mandato al procuratore - difensore, che conferisce il potere di conduzione della lite; si estende anche agli atti necessari al compimento dell'incarico, secondo un apprezzamento tecnico rientrante nei poteri del legale per l'ordinaria conduzione del processo, tra i quali rientra la nomina di un consulente di parte, a norma dell'art. 87 cod. proc. civ., senza che sia necessaria ne' la nomina della parte in senso sostanziale, ne' un mandato "ad hoc" della stessa, ne', infine, l'autorizzazione del giudice delegato, trattandosi della scelta di un difensore tecnico ausiliare del legale, non già di un ausiliare del curatore. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Giancarlo MONTANARI VISCO Presidente

" Renato SGROI Consigliere

" Salvatore NARDINO "

" Giovanni OLLA "

" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La curatela del fallimento della s.r.l. Xiria 2 si costituiva parte civile nel procedimento penale per i reati di bancorotta fraudolenta, falso in bilancio ed altro a carico di dieci persone, con l'assistenza dell'Avv. Paolo Barazzoni, munito di procura del curatore e nominato dal giudice delegato con provvedimento 25 agosto 1989 di autorizzazione all'esperimento dell'azione civile nel procedimento penale.

In sede di incidente probatorio veniva eseguita una perizia contabile e l'avvocato del fallimento nominava consulente di parte il dott. Silvio Facco.

Con istanze in data 27 settembre e 1 ottobre 1991 il curatore chiedeva al giudice delegato di approvare ad ogni effetto la nomina del consulente e di autorizzare una seconda perizia contabile; con successiva istanza in data 25 ottobre 1991 il curatore chiedeva di essere autorizzato al pagamento della parcella inviata dal Dott. Facco per l'attività di consulente espletata nel procedimento penale n. 371-89.

Il G.D. rigettava la prima richiesta, ritenendo che fossero inammissibili le approvazioni in via di ratifica di atti compiuti dal curatore non previamente autorizzati; rigettava la seconda istanza in considerazione dell'irregolarità della nomina da parte dell'amministrazione fallimentare.

Avverso i due provvedimenti proponeva reclamo al Tribunale di Reggio Emilia il Dott. Facco; la curatela proponeva reclamo contro il primo dei due provvedimenti.

Il Tribunale adito con decreto in data 27 aprile 1993 rigettava entrambi i reclami.

In particolare pur modificando, sul primo punto, la motivazione del giudice delegato (affermava in linea di diritto il potere di ratifica dell'operato della curatela da parte del giudice delegato), il Tribunale di Reggio Emilia riteneva che nella specie non fosse giustificata ratifica alcuna, sul presupposto che l'autorizzazione alla costituzione di parte civile non contenesse in sè alcun conferimento di poteri al curatore, o a terzi, di nominare prestatori di opera professionale nell'interesse del fallimento ed inoltre che detta nomina, oltre a non essere prevista, non era voluta dagli organi direttivi del fallimento.

Il tribunale, inoltre, giudicava infondata la tesi dei reclamati secondo cui il difensore non avrebbe necessità di alcuna autorizzazione alla nomina del C.T.U., ritenendo che neppure il curatore ha il potere, al di fuori dei casi previsti dalla legge, di compiere atti che impegnino il patrimonio destinato alla soddisfazione dei creditori.

Avverso detta decisione proponeva ricorso per cassazione il dott. Silvio Facco sulla base di due motivi, integrati da memoria; non svolgeva attività processuale la curatela del fallimento.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ) Con il primo mezzo di cassazione il dott. Silvio Facco deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 84 c.p.c., 1708 c.c. e 25 n. 4 L.F.

Rileva il ricorrente che al legale, nominato secondo la disciplina della Legge fallimentare, competono tutti i poteri inerenti alla conduzione della causa, ed in questi poteri è compresa anche la valutazione dell'opportunità di un'assistenza tecnica e la nomina del relativo consulente, a norma dell'art. 84 c.p.c.. Non sarebbe ipotizzabile una minore estenzione dei poteri del difensore quando il cliente sia costituitodal fallimento, non essendo al fine richiamabile la disciplina dell'art. 24 L.F., che concerne i poteri della curatela, non già quelli del difensore, che sono inerenti all'esercizio della sua professione una volta che la fattispecie di nomina sia perfezionata.

La tesi del ricorrente è fondata.

Ed invero, l'art. 24 comma 1, n. 4 L.F. riserva al giudice delegato il potere di autorizzare il curatore a stare in giudizio e di nominare gli avvocati e procuratori, ma non stabilisce con alcuna disposizione normativa specifica quali siano i poteri dei professionisti legali nominati per la conduzione della causa autorizzata. Conseguentemente i poteri del procuratore legale del fallimento, non differiscono da quelli ordinari previsti in linea generale dall'art. 84 c.p.c., ed inoltre i rapporti tra difensore-procuratore e la parte appartengono alla disciplina del diritto sostanziale e vanno ricondotti ad un contratto di prestazione d'opera intellettuale.

Ciò che differisce, tra una parte ordinaria e quella costituita dal fallimento, è il procedimento per addivenire alla nomina, che nella procedura concorsuale ha carattere di complessità, nella sequenza costituita dall'autorizzazione alla promozione della singola controversia giudiziale (o alla resistenza in un giudizio da terzi promosso), dalla designazione del professionista da parte del giudice delegato ed inoltre dal conferimento della procura da parte del curatore.

Una volta, peraltro, che la procedura sia espletata, i rapporti tra il fallimento ed il professionista legale sono retti dalla disciplina dell'art. 1708 c.c. che trova applicazione anche con riguardo alla procura ad litem (vedi Cass. 8 febbraio 1985 n. 1006), mentre i poteri del procuratore in causa sono regolati dall'art. 84 del codice di rito.

In base all'art. 1708 c.c., il mandato al procuratore-difensore, che conferisce il potere di conduzione della causa, si estende anche agli atti necessari al compimento dell'incarico, secondo un apprezzamento tecnico che rientra nei poteri del legale per l'ordinaria conduzione del processo. Al procuratore legale non sono conferiti (salvo procura speciale ad negotia) poteri relativi alla disponibilità del diritto controverso, tra i quali non rientra certamente la scelta relativa all'opportunità di assistenza in relazione ad una consulenza disposta d'ufficio dal giudice, che individua una situazione prettamente processuale inerente alla conduzione della causa, e rientrante nella discrezionalità tecnica che al legale compete nello svolgimento dell'attività professionale. L'art. 84 c.p.c., delinea sotto il profilo rituale il criterio distintivo degli atti inclusi da quelli estranei all'attribuzione di poteri (ius postulandi), criterio che fa leva sull'apparenenza, o non, dell'atto in contestazione alla serie di quelli con cui la parte esercita l'azione o, comunque, sta in giudizio per fare valere un diritto. In definitiva gli atti rientranti nel potere del procuratore-difensore, sono quelli che siano riconducibili alla scelta del mezzo tecnico più idoneo alla tutela degli interessi del cliente.

In tale ambito è riconducibile la nomina di un consulente di parte, a norma dell'art. 87 c.p.c.; consulente che, integrando sul piano tecnico l'opera del diensore giurista, rientra, nel criterio generale della difesa già conferita al legale, al quale compete sul piano processuale la nomina del consulente stesso, senza che sia necessaria ne' la nomina della parte in senso sostanziale ne' un mandato ad hoc della stessa.

Non si ritiene, poi, che il criterio generale ora enunciato subisca eccezione nel settore dei procedimenti concorsuali, in virtù dell'art. 25 n. 4 L.F. che riserva al giudice delegato l'autorizzazione alla nomina di collaboratori o ausiliari (salvo che la stessa legge conferisca il relativo potere al curatore stesso). La disciplina richiamata, infatti, concerne gli ausiliari del curatore. Il consulente tecnico di parte nel corso del processo, per contro, è un difensore tecnico come ausiliare del legale i cui poteri derivano dal disposto del successivo n. 6 dell'art. 25 citato, cui si connette sul piano sostanziale e processuale la disciplina già ricordata dell'art. 1708 c.c. e dell'art. 84 c.p.c.. Sotto il profilo indicato il primo mezzo di cassazione merita accoglimento e, sulla base di una nomina legittimamente avvenuta, compete al fallimento sostenere la relativa spesa liquidando il compenso relativo.

II ) Con il secondo motivo il ricorrente deduce la nullità del decreto emesso dal Tribunale in via dei reclamo a norma dell'art. 158 c.p.c., in quando componente del collegio era il giudice delegato al fallimento, che aveva già rigettato le relative istanze della curatela volte, tra l'altro, alla liquidazione del compenso al C.T. di parte.

Poiché il reclamo ex art. 26 L.F. è sostanzialmente un mezzo di impugnazione, il giudice delegato avrebbe dovuto astenersi perché, a norma dell'art. 51 c.p.c., aveva conosciuto della situazione come magistrato in altro grado del processo, in tesi, sulla regolarità della costituzione dell'organo giudicante ed avrebbe determinato la nullità della decisione assunta con decreto.

La tesi sostenuta dal ricorrente sulla base di principi del codice di rito, non tiene conto della specialità della disciplina sul piano della procedura concorsuale.

Ed invero l'art. 25 n. 1 L.F. attribuisce espressamente al giudice delegato la funzione di riferire al Tribunale su ogni affare per il quale è richiesto un provvedimento del collegio, ed il collegio, in base all'art. 23 comma 1, L.F. provvede, tra l'altro, a decidere il reclamo contro i provvedimenti del giudice delegato. La relazione al collegio in sede decidente, quindi, designa il g.d. come relatore e, in quanto tale, come componente necessario del collegio che provvede in sede di reclamo ex art. 26 L.F., secondo un'interpretazione che ha trovato anche recente riscontro da questa Corte (Cass. 4 febbraio 1992 n. 1209), con l'enunciazione del principio che la partecipazione del giudice delegato, quale relatore, al collegio del Tribunale fallimentare che decide sui reclami contro i provvedimenti del medesimo giudice delegato, ancorché di natura giurisdizionale, trova la sua ragione nel principio di concentrazione processuale negli organi della procedura di ogni controversia, nonché nella posizioone del giudice delegato, il quale è garante della rapidità delle fasi processuali, della continuità della conoscenza su situazioni coinvolte nella procedura, non implicando violazione dell'obbligo di astensione previsto dall'art. 51 n. 4 c.p.c.. Dando applicazione e continuità a detto principio, che all'epoca non era inciso dalle modifiche del codice di rito introdotte con la L. 26 novembre 1990 n. 353 non ancora entrate in vigore, la Corte ritiene il mezzo di cassazione in esame meritevole di rigetto.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo; cassa e rinvia, anche per decidere sulle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Reggio Emilia quale tribunale fallimentare.

Roma 16 marzo 1995.