Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19221 - pubb. 11/01/2018

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Cassazione civile, sez. I, 02 Gennaio 1995, n. 2. Est. Proto.


Decreto del giudice delegato per acquisire mobili o immobili detenuti da terzi - Diritto dei terzi - Incompatibilità con la pretesa degli organi fallimentari - Predetto decreto e provvedimento di conferma del Tribunale - Provvedimenti abnormi - Configurabilità - Provvedimento del Tribunale - Impugnazione con ricorso per Cassazione - Inammissibilità - "Actis nullitatis" - Esperibilità



Il decreto emesso dal giudice delegato ai sensi dell'art. 25 n. 2 legge fallimentare allo scopo di acquisire mobili o immobili detenuti da terzi, i quali rivendichino su di essi un proprio diritto (esclusivo), incompatibile con la pretesa degli organi fallimentari, e il provvedimento di conferma emesso su reclamo dal Tribunale devono considerarsi abnormi per carenza del relativo potere e quindi insuscettibili di passare in giudicato. Pertanto, il ricorso per Cassazione proposto a norma dell'art. 111 della Costituzione avverso detto ultimo provvedimento è inammissibile, mentre resta proponibile in ogni tempo, per accertare la sua inidoneità a produrre effetti giuridici, l'"actio nullitatis". (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Mario CORDA Presidente

" Renato BORRUSO Consigliere

" Giancarlo BIBOLINI "

" Antonio CATALANO "

" Vincenzo PROTO Rel. "

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 27 febbraio 1992 il giudice delegato al fallimento della s.r.l. Immobiliare Rover dispose, ai sensi dell'art. 25 n. 2 l. fall., l'acquisizione e l'immediato rilascio di alcuni immobili, occupati dalla signora Mirella Masi, a lei ceduti in godimento, a titolo di locazione, dalla società fallita con contratti stipulati il giorno prima della dichiarazione di fallimento (9 luglio 1987), ma in epoca successiva al pignoramento immobiliare (trascritto il 28 giugno 1986) nei confronti della stessa Rover. Nel provvedimento il giudice delegato rilevò che il contratto di locazione era inopponibile al fallimento e che l'occupazione dei beni si risolveva in un pregiudizio per la massa.

Avverso il decreto la Masi propose reclamo al tribunale fallimentare, che lo respinse (decreto del 26 maggio 1992), osservando che l'assorbimento del processo esecutivo singolare all'interno della procedura fallimentare rendeva inaccettabile la tesi, sostenuta dalla ricorrente, della inefficacia del pignoramento immobiliare, in conseguenza della mancata sostituzione del curatore al creditore procedente nella procedura individuale. Aggiunse che sussisteva il requisito del danno grave per la procedura, pervenuta alla fase di liquidazione, pregiudicata dall'occupazione degli immobili, e, infine, che il comportamento del curatore (il quale aveva regolarmente riscosso le somme corrisposte dalla reclamante per la locazione degli immobili) non era concludente, in quanto realizzato da soggetto privo di capacità dispositiva senza la preventiva autorizzazione degli organi della procedura. Contro questa pronunzia la Masi ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost. Il curatore si è costituito, eccependo, in via pregiudiziale, l'inammissibilità del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo del ricorso la Masi denunzia la violazione dell'art. 25 n. 2 l. fall., in quanto nella fattispecie la norma sarebbe stata applicata fuori del suo contesto, e cioè in relazione a beni che erano stati già, pacificamente, acquisiti alla massa del fallimento, per risolvere una controversia sulla legittimità (o meno) del titolo vantato dalla ricorrente nei confronti della procedura, circa il godimento degli immobili acquisiti, incidendo sui diritti di un terzo ad essa estraneo. Col secondo motivo lamenta che il Tribunale, in sede di reclamo, non abbia considerato che, ai fini del subentro del curatore nel contratto di locazione, non è prevista alcuna autorizzazione da parte del giudice delegato, vericandosi esso ex lege, e che, nella specie, il fallimento aveva regolarmente riscosso i canoni relativi alla locazione degli appartamenti. Col terzo motivo sostiene che il mancato subentro del curatore nella procedura esecutiva aveva comportato la estinzione della procedura stessa e, conseguentemente, il venir meno di ogni effetto conseguente al pignoramento degli immobili, promosso prima della dichiarazione di fallimento.

2. Il ricorso è inammissibile.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, costituente ormai ius receptum, il decreto di acquisizione al fallimento di beni detenuti da terzi (art. 25 n. 2, l. fall), può essere emesso dal giudice delegato quando il terzo non contesti l'appartenenza del bene alla massa fallimentare; non, invece, quando egli opponga un proprio diritto soggettivo, prospettato come incompatibile e prevalente rispetto alle ragioni del fallimento. Il decreto di acquisizione, emesso in quest'ultima ipotesi, e il successivo provvedimento di conferma, emesso su reclamo dal tribunale, devono, quindi, considerarsi abnormi, per carenza del relativo potere (v., ex pluribus, Cass. S.U. 9 aprile 1984, n. 2258 e 2270; nonché Cass. 6 ottobre 1988, n. 5408; Cass. 6 aprile 1992, n. 4214; Cass. 5 maggio 1992, n. 5306 e Cass. 27 marzo 1993, n. 3735). Da tali principi, che vanno qui ribaditi, conseguono due ordini di considerazioni.

2.1 Il primo è che il decreto con cui, nella fattispecie, il giudice delegato ha disposto "l'acquisizione" e "l'immediato rilascio" degli immobili sui quali la Masi esercitava i diritti inerenti al contratto di locazione posto in essere prima della dichiarazione di fallimento, e senza base normativa ed è stato, perciò, emanato in carenza di potere.

Infatti, la pretesa della Masi di (continuare a) disporre degli immobili ceduti in locazione dalla società fallita, per i quali aveva sempre versato al curatore i relativi canoni, si poneva in conflitto con le ragioni della curatela. E ciò ostava, indipendentemente dalla fondatezza delle rispettive posizioni, alla emanazione di provvedimenti urgenti di conservazione previsti dalla richiamata disposizione, e rendeva, invece, esperibili i rimedi ordinari.

Invero, la giurisprudenza ha da tempo chiarito che il decreto emesso dal giudice delegato ai sensi dell'art. 25 n. 2 l. fall., non può essere utilizzato allo scopo di acquisire mobili o immobili detenuti da terzi, i quali rivendichino su di essi un proprio diritto (esclusivo), incompatibile con la pretesa degli organi fallimentari: anche quando esso sia inteso ad assicurarne provvisoriamente il possesso alla massa, sovvenendo a tale esigenza gli strumenti cautelari di diritto comune, cui possono ricorrere anche gli organi fallimentari nei confronti di terzi, titolari di posizioni soggettive in contrasto con l'estensione degli effetti del fallimento. La norma, infatti, si limita ad attribuire al giudice delegato un potere di conservazione dei beni apparentemente compresi nel patrimonio del fallito: cioè dei beni non ancora inventariati, da lui posseduti e di quelli che, sebbene posseduti dalla moglie, si presumono di sua proprietà (nei limiti in cui possa ritenersi ancora applicabile l'art. 70 l. fall.), nonché, quanto ai beni posseduti da terzi, quelli che essi volontariamente esibiscono o di cui, comunque, non sia contestata l'appartenenza alla massa fallimentare. E questo potere sussiste soltanto se è esercitato secondo il modello normativo.

2. 2. Il secondo ordine di considerazioni è che, se si nega qualsiasi effetto al decreto di acquisizione emesso in carenza di potere, viene meno, conseguentemente, qualsiasi attitudine del decreto stesso (e del provvedimento di conferma emesso dal tribunale) al giudicato.

Il provvedimento impugnato non è, pertanto, suscettibile di ricorso a norma dell'art. 111 della costituzione, mentre resta proponibile in ogni tempo, per accertare la sua inidoneità a produrre affetti giuridici, l'actio nullitatis.

3. Il ricorso, dunque, deve essere dichiarato inammissibile. Rimane, conseguentemente, precluso l'esame del merito. Ricorrono giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese processuali del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dalla signora Mirella Masi e dichiara interamente compensate le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma il 26 settembre 1994, nella camera di consiglio della prima Sezione civile.