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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 18160 - pubb. 01/07/2010.

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Cassazione civile, sez. I, 26 Settembre 1990. Est. Bibolini.

Fallimento - Organi preposti al fallimento - Tribunale fallimentare - Provvedimenti - Operazioni di liquidazione dell'attivo - Contestazione della legittimità in correlazione e posizioni di diritto soggettivo - Ricorso per cassazione - Ammissibilità - Fattispecie


A differenza dei provvedimenti del giudice delegato al fallimento in tema di operazioni di liquidazione dell'attivo, ivi compreso quello che dispone la vendita con incanto, che hanno carattere ordinatorio, i provvedimenti resi dal tribunale fallimentare, su reclamo avverso i detti decreti, per risolvere contestazioni insorte sulla legittimità di tali operazioni in correlazione a posizioni di diritto soggettivo, assumono carattere decisorio, oltre che definitivo, e sono, pertanto, impugnabili con ricorso per Cassazione, ai sensi dell'art. 111 cost.. Pertanto deve riconoscersi carattere decisorio al provvedimento del tribunale fallimentare in ordine al reclamo di un creditore ipotecario, che abbia chiesto la sospensione della vendita con incanto e la revoca del relativo provvedimento del giudice delegato deducendo il diritto (nella specie, ex art. 30 del R.d. 29 luglio 1927 n. 1443), ad assumere in via esclusiva quale creditore ipotecario l'iniziativa della procedura liquidatoria della società titolare di concessione mineraria per la captazione di acque minerali, con conseguente contestazione del potere degli organi della procedura di provvedere alla vendita delle attività inventariate. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati

Dott. Alessandro FALCONE Presidente

" Domenico MALTESE Consigliere

" Alessandro ANGARANO "

" M. Rosario DE MUSIS "

" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

TRIBUZIO Donato, res. in Rionero in V-re (PZ) Via Roma, 225 ed elettiv. dom.to in Roma, V.le Angelico, 92 presso lo studio dell'Avv. Emanuele Fornario, rappresentato e difeso da sè medesimo.

Ricorrente

contro

Curatela Fallimentare della S.p.A. Pompei, in persona del Curatore Furno Erik.

intimata

Avverso il provvedimento del Tribunale di MELFI del 20.5.1986. Udita la relaz. svolta dal Cons. Rel. G.C. BIBOLINI.

Udito per il ricorr. l'Avv. Tribuzio.

Udito il P.M. Dr. Antonio MARTINELLI, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 19.11.1982 il Tribunale di Melfi dichiarava il fallimento della s.p.a. POMPEI, società titolare di concessione mineraria per la captazione di acque minerali.

Il giudice delegato alla procedura concorsuale, con ordinanza notificata al creditore ipotecario avv. Donato Tribuzio, disponeva la vendita ad incanto del complesso industriale attrezzato per la captazione, gassatura ed imbottigliamento di acqua minerale, della società fallita.

L'avv. Donato Tribuzio, agendo a titolo personale e nella veste di creditore ipotecario, proponeva reclamo avverso detta ordinanza davanti al Tribunale di Melfi, chiedendo la sospensione della vendita e la revoca del provvedimento del giudice delegato.

A fondamento del richiesto provvedimento, il reclamante deduceva:

di essere l'unico creditore ipotecario della procedura, essendosi surrogato nei titoli di prelazione spettanti allo I.M.I., il cui credito verso la s.p.a. POMPEI aveva adempiuto;

di essere, in tale veste, l'unico soggetto legittimato, a norma degli artt. 22 e 30 del R.D. 29 luglio 1927 n.. 1443, ad attivare l'esproprio del diritto di concessione e di tutto il complesso di beni oggetto della disposta vendita ad incanto;

aggiungeva che la Regione Basilicata, con delibera n.. 6089 del 16 novembre 1985, aveva revocato la concessione mineraria della predetta società e disposto l'acquisizione al patrimonio disponibile della Regione di tutto il complesso industriale della s.p.a. POMPEI; che sul provvedimento amministrativo esisteva controversia davanti al Giudice Amministrativo, proposta sia dalla curatela fallimentare, sia dallo stesso Avv. Donato Tribuzio;

che fino a quando non si fosse provveduto all'annullamento del predetto provvedimento regionale, ne' il curatore, ne' alcun altro soggetto, poteva disporre dei beni, oggetto della prospettata vendita fallimentare.

Il Tribunale di Melfi, provvedendo sul reclamo con decreto in data 20.5.1986, rigettava l'istanza dell'Avv. Donato Tribuzio, assumendo:

che i motivi addotti non individuavano una pregiudizialità tra procedimento davanti al Giudice Amministrativo e la liquidazione fallimentare, tale da comportare la sospensione dell'ordinanza di vendita;

che la richiesta di sospensione non poteva provenire da parte di un creditore del fallimento.

Avverso detto provvedimento proponeva ricorso, integrato da successiva memoria, l'Avv. Donato Tribuzio; non si costituiva con controricorso l'intimata amministrazione fallimentare.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il sintetico provvedimento del Tribunale di Melfi si articola su due proposizioni, e cioè:

1) la carenza di pregiudizialità tra la controversia pendente davanti al T.A.R. in ordine alla avvenuta revoca della concessione mineraria, da una parte, e la procedura di liquidazione fallimentare, dall'altra. tale da potere determinare la sospensione dell'ordinanza di vendita;

2) l'impossibilità che una richiesta di sospensione possa provenire da un creditore del fallimento.

L'Avv. Donato Tribuzio, agendo in proprio nella veste di creditore ipotecario sui beni della s.p.a. POMPEI, propone tre mezzi di ricorso, deducendo:

a) la propria legittimazione a proporre la revoca dell'ordinanza di vendita ad incanto, sostenendo il vizio del decreto del Tribunale sotto il profilo dell'art. 360 n. 5 c.p.c. per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (1 mezzo);

b) la violazione degli artt. 22, 23, 27, 30 e 46 del R.D. 29 luglio 1927 n. 1443 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., assumendo

che egli, quale creditore ipotecario, era l'unico soggetto cui fosse consentita l'espropriazione dei beni strumentali della società fallita (11 mezzo);

c) il proprio interesse ad agire col reclamo al Tribunale di Melfi, sostenendo, sotto il profilo dell'art. 360 n.. 1 e 3 c.p.c., la violazione degli artt. 100 c.p.c., 36 L.F., e 4 della L. 20.3.1865 n.. 2248 E. (III mezzo).

L'ordine logico degli argomenti, presuppone che le questioni inerenti all'interesse ad agire (III mezzo), in quanto concernenti una condizione dell'azione preliminare all'indagine sull'esistenza della stessa legittimazione (I mezzo), oltre che a quella sul merito del vantato diritto (II mezzo), vengano esaminate per prime. Nella trattazione, quindi, il terzo motivo deve precedere il primo ed il secondo, in sequenza.

Pregiudiziale alle questioni proposte dal ricorrente è, comunque, quella inerente all'ammissibilità del ricorso ex art. 111 della Costituzione della Repubblica avverso il decreto del Tribunale di Melfi emesso su reclamo in materia di liquidazione dell'attivo fallimentare, questione sollevata dal Procuratore Generale, in quanto si verterebbe in materia estranea alla tutela di diritti assertivamente lesi.

Giova sul punto ricordare i precedenti giurisprudenziale di questa Corte, secondo cui, mentre il provvedimento del giudice delegato al fallimento in tema di operazioni di liquidazione dell'attivo, ivi compreso quello che dispone la vendita con incanto, hanno carattere ordinatorio, i provvedimenti resi dal Tribunale Fallimentare, su reclamo avverso detti decreti per risolvere contestazioni insorte sulla legittimità di tali operazioni in correlazioni a posizioni di diritto soggettivo, assumono carattere decisorio, oltre che definitivo, e sono, pertanto, impugnabili con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (v. Cass. 2 aprile 1985 n.. 2252; Cass.31.7.1981 n.. 4869). Nè in contrario può addursi il tenore della pronuncia Cass. 28 aprile 1982 n.. 2649, secondo cui il provvedimento del Tribunale (reclamo proposto non al fine di fare valere posizioni di diritto soggettivo, assertivamente pregiudicato da provvedimento del giudice delegato, ma al limitato scopo di conseguire la sospensione della vendita medesima) ha natura ordinatoria, come tale non impugnabile con ricorso per cassazione a norma del citato art.111 Cost. Al fine di valutare se la controversia decisa in fase di reclamo dal Tribunale, risolva una controversia fra parti contrapposte e se la relativa pronuncia sia idonea ad assumere autorità di giudicato, occorre valutare in concreto se la controversia sollevata con il reclamo attenga, nella prospettazione del reclamante, alla asserita lesione di diritto, o no.

La contestazione del potere degli organi della procedura di provvedere alla vendita delle attività inventariate, ovvero di procedere in un determinato momento procedurale in virtù di un asserito della parte, determina una controversia attinente a diritti, il cui provvedimento conclusivo assume, per ciò stesso, il carattere della decisorietà. La prospettazione di una semplice inopportunità di procedere alla liquidazione, posta a fondamento di un'istanza di sospensione (è l'ipotesi decisa con la citata pronuncia n.. 2649-82); esula da una controversia su diritti ed impedisce al provvedimento sul reclamo di assumere il carattere della decisorietà ai fini della ricorribilità ex art. 111 Cost. Nel caso di specie l'avv. Donato Tribuzio, nel proporre reclamo, aveva esposto una serie di proposizione volte a sostenere l'esistenza di un proprio diritto, nonché la lesione di detto diritto con l'ordinanza di vendita ad incanto da parte del giudice delegato, ed aveva chiesto un provvedimento coerente con il diritto vantato, atto ad evitare la asserita e prospettata lesione di situazione giuridica soggettiva attiva e perfetta.

Egli, infatti, aveva sostenuto:

A) di essere creditore ipotecario iscritto sui beni oggetto dell'ordinanza di vendita, tanto che detto provvedimento, in detta veste ed a norma dell'art. 108 L.F., gli era stato notificato;

B) di essere, in virtù della qualifica enunciata ed a norma degli artt. 22 e 30 del R.D. 29 luglio 1927 n.. 1443, l'unico soggetto legittimato ad attivare l'esproprio del diritto di concessione e di tutto il complesso dei beni oggetto dell'ordinanza di vendita (v. le premesse del ricorso);

C) sostanzialmente, quindi, adduceva l'impossibilità di attivare la procedura esecutiva, a seguito della revoca della concessione mineraria e della acquisizione al patrimonio indisponibile della Regione di tutto il complesso industriale per la captazione, la gassatura e l'imbottigliamento di acqua minerale, disposta dalla regione Basilicata con la delibera n.. 6089-1985, situazione per la quale pendeva controversia davanti al Giudice Amministrativo proposta dalla stessa curatela, oltre che dal reclamante.

Come conseguenza della situazione giuridica addotta. chiedeva la sospensione della vendita con la revoca del provvedimento del giudice delegato.

Sul piano delle allegazioni del reclamante, quindi, la controversia proposta con il reclamo non atteneva ne' ad un rapporto di pregiudizialità tra giudizio amministrativo e liquidazione fallimentare, ne' ad una sospensione motivata con semplici motivi di opportunità o di convenienza della procedura concorsuale, ma alla sussistenza di un preteso diritto del creditore ipotecario ad assumere egli, in via esclusiva, l'iniziativa per la procedura liquidatoria, negando identico potere alla curatela, diritto di cui si adduceva il pregiudizio per il solo fatto dell'emissione dell'ordinanza di vendita da parte del giudice delegato. Nè può sostenersi l'inconferenza del presupposto del reclamo (il vantato diritto) al tipo di provvedimento richiesto (la sospensione della liquidazione fallimentare), assumendosi che il preteso diritto avrebbe dovuto esercitarsi con l'istanza di separazione dei beni inventariati, beni di cui il ricorrente sostiene la sostanziale "impignorabilità". - Ed invero, da una parte nulla esclude che chi sostiene la sussistenza di un diritto, eminentemente di natura procedurale, possa esercitare su piani diversi la forma di tutela ritenuta dovuta e detta tutela, di fronte all'imminente liquidazione dei beni, ben poteva esercitare sul piano della pura e semplice sospensione della procedura liquidatoria concorsuale. D'altra parte, il fatto che i beni fossero stati, con la citata delibera della Regione Basilicata, acquisiti al patrimonio indisponibile dell'Ente Pubblico, con controversia pendente, rendeva esperibile, come unico mezzo di immediata ed attuale fattibilità di fronte all'iniziativa liquidatoria dell'Ufficio Fallimentare, proprio la richiesta revoca dell'ordinanza, che a detta fase liquidatoria aveva dato inizio. Dalle svolte osservazioni, quindi, emerge innanzi tutto che la controversia davanti al Tribunale di Melfi in fase di reclamo, atteneva alla sussistenza di un addotto diritto, per cui il decreto che risolveva il reclamo assumeva il carattere della decisorietà, rendendo ammissibile il ricorso in esame.

Dai rilievi svolti, però, emerge anche la fondatezza del terzo mezzo di ricorso, della cui pregiudizialità si è già detto. Ed invero, l'interesse ad agire, integra un requisito di fondatezza soltanto ipotetica della domanda e mira ad ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile, non conseguibile altrimenti che con l'intervento dell'autorità giudiziaria. Nella specie, tutte le caratteristiche indicate erano integrate nel reclamo proposto dall'Avv. Donato Tribuzio, il quale, assumendo la propria legittimazione esclusiva a dare impulso alla liquidazione coattiva in base all'art. 30, I comma, del R.D. n.. 1443-27 (il comma recita:

"L'espropriazione del diritto del concessionario della miniera può essere promossa soltanto dai creditori ipotecari"), ed intendendo impedire il pregiudizio del vantato diritto, non aveva altro mezzo se non il ricorso all'organo che, investito dell'intera procedura concorsuale e del potere di riesame in fase di reclamo dei provvedimenti del giudice delegato, aveva altresì il potere di revocare l'ordinanza dalla cui esecuzione sarebbe derivato la situazione pregiudizievole dedotta in controversia. I rilievi svolti, infine, danno anche ragione della fondatezza del primo mezzo di ricorso perché, giustificando la legittimazione al reclamo dell'Avv. Donato Tribuzio in virtù delle allegazioni esposte, chiarisce come il Tribunale di Melfi, non cogliendo il senso essenziale del reclamo, che doveva essere apprezzato nella correlazione tra i presupposti di diritto enunciati ed il tenore del provvedimento richiesto, non abbia per nulla motivato ne' in ordine alla carenza di interesse, che sembra essere soltanto enunciata nel decreto del tribunale negandosi al creditore il potere di chiedere la sospensione, ne' in ordine alla sussistenza, o no, del diritto esclusivo di iniziativa per la liquidazione coattiva dal reclamante pur asserito e posto a base del reclamo steso, ne' in ordine alla coerenza, con il diritto affermato, del tipo di provvedimento richiesto. Si tratta di situazioni essenziali ai fini della decisione, la cui carenza motivazione non può non essere rilevata. Il decreto, infatti, è stato essenzialmente impostato sulla mancanza di pregiudizialità tra giudizio amministrativo e liquidazione concorsuale, senza rilevare che il significato del richiamo al giudizio amministrativo, da parte del reclamante, non atteneva direttamente ad un rapporto di pregiudizialità tra procedimenti giurisdizionali, ma serviva al reclamante soltanto ad illustrate la non attuale esercitabilità, da parte del creditore ipotecario ed in virtù dell'invocato art. 30 del R.D. n.. 1443-27, del vantato diritto esclusivo di iniziativa della liquidazione coattiva, diritto che costituiva, comunque, secondo la coerente allegazione della parte, il fondamento del tipo di tutela richiesto.

La fondatezza del III e del I mezzo, sia sul piano dell'interesse ad agire sia su quello della carenza motivazionale in ordine ad un punto essenziale della controversia, assorbe in sè il secondo motivo, essendo chiamato il giudice del rinvio ad accertare se il diritto vantato dalla parte esista e se, in relazione ad esso, la richiesta del reclamante abbia, o no, il carattere della fondatezza.

Dalla conseguente cassazione del decreto del Tribunale di Melfi, deriva il rinvio degli atti allo stesso Tribunale perché provveda anche sulle spese della presente fase processuale.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso; cassa e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Melfi.

Roma 12.2.1990.