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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 18155 - pubb. 01/07/2010.

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Cassazione civile, sez. I, 29 Gennaio 1992, n. 930. Est. Vignale.

Fallimento - Liquidazione dell'attivo - Vendita di immobili - Modalità - Vendita all'asta - Comitato dei creditori - Parere - Obbligatorietà - Esclusione


Ai fini della vendita di immobili appartenenti all'attivo fallimentare, la richiesta, ai sensi dell'art. 108 legge fall., del parere del comitato dei creditori (non prevista, peraltro, a pena di nullità) è obbligatoria solo quando il giudice delegato intenda procedere a vendita senza incanto, e non anche quando per la liquidazione dell'attivo sia prescelto il sistema della vendita all'asta. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Italo BOLOGNA Presidente

" Renato SGROI Consigliere

" Giovanni OLLA "

" M. Rosario VIGNALE Rel. "

" M. Giuseppe BERRUTI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

MICHELINI LINO, residente in Padova, elettivamente domiciliato in Roma, Via M. Prestinari n. 13 presso l'avvocato Giuseppe Ramadori che lo rappresenta e difende con l'avvocato Bruno Pase, giusta delega in calce al ricorso;

Ricorrente

contro

FALL.TO IMMOBILIARE PARADISO S.R.L. in persona del suo curatore pro-tempore dott. Bruno Radice.

Intimati

Avverso la sentenza del Tribunale di Trento del 9.7.87. È presente l'avvocato G. Ramadori

Udito nella pubblica udienza il Consigliere relatore dr. Vignale che svolge la pubblica udienza il 6.2.91.

Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. LO CASCIO che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel 1987, il giudice delegato al fallimento della s.r.l. Immobiliare Paradiso dispose la vendita all'incanto di un immobile appartenente alla società. Il creditore Ciro Michelini chiese la sospensione della vendita a causa del basso livello del prezzo. Il G.D. rinviò ogni decisione alla data dell'asta e poi, essendo quest'ultima andata deserta, rigettò il reclamo, dichiarandolo irrilevante, data la diserzione dell'incanto, oltre che infondato. Il Tribunale di Trento, investito, di ulteriore reclamo, lo rigettò, ritenendo congrua la valutazione e insussistente il denunciato vizio di mancata richiesta del parere del comitato dei creditori, in quanto tale parere non è vincolante per il giudice delegato.

Contro tale provvedimento il Michelini ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, il Michelini, premessa la natura decisoria del decreto del giudice delegato e, quindi, la ricorribilità in cassazione della decisione che ha rigettato il reclamo, ne lamenta il difetto di motivazione, affermando che il Tribunale si è limitato a far proprie le considerazioni del giudice delegato, il quale a sua volta non si era pronunciato sulle ragioni prospettate dal reclamante.

Col secondo mezzo, lamenta che illegittimamente il decreto di vendita sia stato emesso prima della nomina del comitato dei creditori, il cui parere era obbligatorio.

Col terzo, lamenta che il giudice delegato non abbia proceduto alla nomina del consulente tecnico con l'osservanza del codice di rito e, in particolare, non gli abbia fatto prestare giuramento. Con il quarto ed il quinto motivo, il ricorrente, in relazione alla valutazione dell'immobile, lamenta che erroneamente sia stato ritenuto argomento decisivo per il rigetto dell'istanza di sospensione per prezzo inadeguato, che l'asta fosse andata deserta, omettendo ogni esame delle critiche apportate alla stima del consulente d'ufficio.

Il P.G. presso questa Corte ha chiesto sia dichiarata l'inammissibilità del ricorso per tre distinte ragioni: perché il provvedimento contro il quale fu proposto reclamo (il decreto del giudice delegato, di rigetto dell'istanza di sospensione della vendita all'asta) non aveva natura decisoria ne' carattere definitivo, tal ché il provvedimento del Tribunale sarebbe insuscettibile d'impugnazione a norma dell'art. 111 Cost.; perché, anche se al decreto del giudice delegato si fosse potuto attribuire efficacia decisoria, il reclamo, comunque, sarebbe stato proposto tardivamente; ed, infine, perché, non avendo la vendita avuto luogo, sarebbe venuto meno l'interesse del ricorrente ad impugnare il provvedimento di rigetto della sua istanza di sospensione. I prospettati motivi d'inammissibilità dell'impugnazione appaiono insussistenti. Invero, in relazione al primo dei profili d'inammissibilità dell'impugnazione delineati dal P.G., questa Corte ha costantemente affermato il principio che il decreto pronunciato da tribunale fallimentare sul reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato di rigetto dell'istanza di sospensione della vendita ai sensi dell'art. 108 L.F., ha contenuto decisorio e carattere definitivo ed è, pertanto, impugnabile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (22 novembre 1978 n. 5437; 3 dicembre 1974 n. 3939; 10 febbraio 1970 n. 316). Nè sussistono ragioni per discostarsi da questo enunciato.

Priva di fondamento appare, poi, la questione circa la tardività del reclamo, considerato che il G.D. rigettò l'istanza di sospensione della vendita con provvedimento del 17 giugno 1987 ed il reclamo fu proposto il 19 giugno successivo, ossia certamente entro il termine stabilito dall'art. 26 L.F..

Quanto, infine, alla prospettata mancanza d'interesse al reclamo, va osservato che la diserzione dell'asta e la conseguente mancata aggiudicazione dell'immobile, non potevano essere ritenute circostanze sufficienti a far venir meno l'interesse del reclamante alla sospensione della vendita, perché il rigetto dell'istanza di sospensione lasciava inalterato il rischio che l'immobile, nel successivo esperimento d'asta, venisse aggiudicato per il prezzo base precedentemente fissato o per un prezzo inferiore, ossia per un importo che il ricorrente aveva ritenuto tanto inadeguato da indurlo a chiedere la sospensione della vendita.

Il ricorso, tuttavia, non può essere accolto. Invero, nella decisione impugnata, il Tribunale, ancorché richiamando e facendo proprie le argomentazioni del giudice delegato, ha sufficientemente motivato in ordine all'inopportunità di sospendere la vendita e di disporre una nuova valutazione del cespite, allorché ha affermato che il prezzo base dell'incanto (che non è certamente quello di aggiudicazione, ma solo la cifra dalla quale devono partire i partecipanti alla pubblica asta per ottenere l'aggiudicazione, dopo aver effettuato le offerte in aumento ai sensi del comb. disp. degli artt. 105 L.F. e 576 n. 6 cod. proc. civ.) doveva essere fissato con riferimento non tanto al suo valore astratto, quanto alla somma che prevedibilmente il mercato avrebbe potuto stabilire in concreto. Sono, quindi, infondate le censure di cui al primo, al quarto e al quinto motivo di ricorso.

Nè può ritenersi (come sostenuto dal ricorrente nel II motivo di ricorso) che la determinazione del prezzo base d'asta sia stata inficiata dalla circostanza che la vendita fu disposta dal giudice delegato senza aver ascoltato il parere del comitato dei creditori, giacché, per l'art. 108 L.F., la richiesta di tale parere (dalla norma, peraltro, non prevista a pena di nullità) è obbligatoria solo quando il giudice delegato intenda procedere a vendita senza incanto e non, quindi, anche nell'ipotesi che il sistema da lui prescelto per la liquidazione dell'attivo fallimentare sia, come nella specie, quello della vendita all'asta.

E neppure, infine, è ragione di invalidità della determinazione del prezzo base d'asta (come, invece, prospettato dal ricorrente con il terzo motivo di ricorso) la circostanza che l'esperto designato dal giudice delegato per la valutazione dell'immobile sia stato irritualmente nominato e non abbia prestato giuramento, posto che l'osservanza di queste formalità non è prescritta dalla legge a pena di nullità della relazione di consulenza ed il giudice, in veste di peritus peritorum, può utilizzare i dati fornitigli dall'esperto, indipendentemente dal fatto che lo stesso sia stato ritualmente nominato e abbia prestato il giuramento (cfr. Cass. 24 settembre 1986 n. 5737; 17 settembre 1970 n. 1531). Il ricorso va, quindi, rigettato.

Nulla per le spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Roma 6 febbraio 1991.