Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 18149 - pubb. 01/07/2010

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Cassazione civile, sez. I, 23 Aprile 1992, n. 4893. Est. Borrè.


Fallimento - Liquidazione dell'attivo - Vendita di immobili - Modalità - Immobile destinato ad abitazione coniugale - Procedimento di liquidazione - Eventuali irregolarità - Coniuge del fallito - Deducibilità - Ammissibilità - Esclusione



Con riguardo alla vendita all'incanto di un bene immobile di proprietà del fallito destinato ad abitazione coniugale, il coniuge del fallito difetta di legittimazione a far valere eventuali irregolarità del procedimento di liquidazione, perché rispetto ad esse - e alla loro riparazione in funzione di un migliore risultato liquidatorio - non sussiste un interesse diretto e tutelabile del coniuge stesso, ma soltanto un interesse indiretto e di mero fatto a ritardare il momento in cui, con il compimento della liquidazione, l'immobile dovrà essere liberato (nella specie, trattavasi di reclamo contro il provvedimento con cui il giudice delegato aveva concesso all'aggiudicatario del bene una proroga per il deposito del prezzo). (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Andrea VELA Presidente

" Renato SGROI Consigliere

" Angelo GRIECO "

" Giuseppe BORRÈ Rel. "

" Giovanni OLLA "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

PAOLETTONI MARISA, elettivamente domiciliata in Roma, via Nizza n. 51, presso l'avv. Gianluigi Cocco, che la rappresenta e difende con l'avv. E. N. Anelli giusta delega a margine del ricorso.

Ricorrente

contro

ANGELO BORRINI, e per quanto occorrer possa della Dott.ssa GABRIELLA SALVINI (coniuge in regime di comunione), elettivamente domiciliati in Roma, viale dell'Università n. 11, presso l'avv. Angusto Ermetes, che li rappresenta e difende con l'avv. Francesco Marini, giusta delega in calce al controricorso.

Controricorrente

e contro

FALLIMENTO S.A.S. ALTINI DI ALTINI PIERO E C., in persona del curatore dott. Arturo Franci, elettivamente domiciliato in Roma, via Vigliena n. 10, presso l'avv. Luigi Calabrese che lo rappresenta e difende con l'avv. Francesco P. Luiso, giusta delega a margine del controricorso.

Controricorrente

Avverso il provvedimento del Tribunale di Pisa del 4.11.87. Udita la relazione della causa svoltasi nella Pubblica Udienza del 07.05.91 dal Cons. Rel. Dott. Borrè.

Udito per il resistente Fallimento Altini l'avv. Ermetes che chiede il rigetto o l'inammissibilità del ricorso.

Udito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Francesco Simeone che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO

Con sentenza 4 luglio 1984 il Tribunale di Pisa dichiarò il fallimento della s.a.s. Altini e del socio accomandatario Piero Altini.

Il 20 marzo 1987 il giudice delegato dispose la vendita con incanto di un immobile di proprietà dell'Altini, stabilendo che il prezzo venisse depositato nel termine di trenta giorni dalla aggiudicazione.

Con ricorso del 29 luglio 1987 Marisa Paolettoni, moglie dell'Altini, propose reclamo al tribunale ai sensi dell'art. 26 legge fall. avverso il provvedimento con cui il giudice delegato aveva concesso all'aggiudicatario una proroga per il deposito del prezzo. Premesso che la propria legittimazione al reclamo discendeva sia dalla destinazione dell'immobile ad abitazione coniugale, sia dalla propria qualità di fideiussore del marito, la cui esposizione sarebbe diminuita per effetto dell'incremento patrimoniale che al fallimento derivato dalla decadenza dell'aggiudicatario e dalla conseguente confisca della cauzione da lui versata, sostenne la Paolettoni che il termine per il deposito del prezzo (art. 576 n. 7 c.p.c.) ha carattere perentorio ed era stato, pertanto, illegittimamente prorogato.

Con decreto 4 novembre 1987 il Tribunale respinse il reclamo, osservando che, essendo richiamate per la liquidazione fallimentare le norme sull'espropriazione individuale (art. 105 legge fall.), l'impugnazione del decreto del giudice delegato doveva essere proposta nelle forme previste dal codice di procedura civile; che la Paolettoni difettava comunque di interesse all'impugnazione; e infine che la proroga non era illegittima perché contenuta in misura tale da non essere complessivamente superato il termine massimo che sarebbe stato fin dall'inizio concedibile.

Contro tale provvedimento la Paolettoni ha proposto ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., affidandolo a quattro mezzi e notificandolo, oltreché al curatore, all'aggiudicatario Angelo Borrini. Resistono con controricorso entrambi gli intimati (e unitamente al Borrini, "per quanto occorrer possa", Gabriella Salvini, coniuge in regime di comunione legale), i quali hanno anche depositato memoria.

DIRITTO

1. La Corte deve preliminarmente darsi carico di una eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata da entrambi i resistenti. I provvedimenti emessi dal tribunale fallimentare in sede di reclamo - essi affermano - in tanto sono suscettibili di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., in quanto il provvedimento, di cui trattasi, "abbia natura decisoria, e cioè quando incida su diritti soggettivi" (così, testualmente, il controricorso della curatela). Nel caso di specie, invece, il decreto del giudice delegato avrebbe "natura meramente ordinatoria, come del resto tutti quelli che riguardano la liquidazione dell'attivo" (ibidem). Quest'ultima affermazione è certamente esatta, ma il discorso richiede un approfondimento.

Decisioni meno recenti di questa Corte, muovendo da una sorta fra incidenza su diritti soggettivi e decisorietà (equazione di cui vi è traccia anche nel passo sopra riportato del controricorso della curatela), hanno ritenuto che rientrassero nella categoria dei "provvedimenti del giudice delegato (costituenti) esplicazione dei poteri giurisdizionali eccezionalmente attribuitigli dalla legge per la risoluzione di controversie riguardanti diritti soggettivi" (così Cass. 7 ottobre 1975 n. 3184), per esempio, il decreto del giudice delegato che sospende la vendita di un immobile a trattativa privata (è il caso di cui alla sentenza citata), o quello di sospensione della vendita con incanto nelle more fra aggiudicazione e trasferimento per essere stata offerta una somma superiore al prezzo di aggiudicazione (Cass. 22 novembre 1978 n. 5437). L'incidenza sull'aspettativa dell'acquirente a trattativa privata, nell'un caso, e quella sulla situazione soggettiva dell'aggiudicatario, nell'altro, costituivano, secondo tali impostazioni, ragione di decisorietà del decreto del giudice delegato; era poi conseguenziale che il provvedimento del tribunale sul reclamo fosse considerato anch'esso di tale natura, in quanto pronuncia sull'impugnativa di un provvedimento decisorio. Si prospettava così una sequenza di provvedimenti decisori (tale essendo ritenuto non solo quello sul reclamo ma anche quello del giudice delegato) non diversa dalla sequenza rilevabile, ad esempio, fra provvedimento del giudice delegato di approvazione del piano di riparto e provvedimento del tribunale sull'eventuale reclamo (che è la più tipica e più indiscussa fra le ipotesi di eccezionale attribuzione di un potere decisorio al giudice delegato). Più recente giurisprudenza di questa Corte ha invece riconosciuto, ai provvedimenti di liquidazione del giudice delegato, natura di giurisdizione esecutiva, suscettibile di incidere su diritti soggettivi (si pensi al decreto di trasferimento), ma non perciò decisoria: in tal senso Cass. 17 luglio 1980 n. 4647. Tale impostazione, che appare da condividere, non esclude tuttavia la ammissibilità del ricorso per cassazione contro il provvedimento del tribunale sul reclamo. Come si legge nella sentenza appena richiamata, "il decreto (in tema di liquidazione) non ha affatto natura decisoria, ma - appunto - esecutiva, mentre natura decisoria ha il decreto del tribunale che decide sul reclamo, impugnabile per cassazione ex art. 111 Cost.". Tale risultato interpretativo si spiega considerando che il reclamo sostanzialmente assolve, nei riguardi degli atti di giurisdizione esecutiva del processo fallimentare una funzione di controllo assimilabile a quella che, nel processo esecutivo individuale, è propria dell'opposizione ex art. 617 c.p.c.: va infatti riconosciuta una sostanziale equipollenza dei due strumenti in termini di struttura e di funzione di garanzia, ove si consideri che il tipo di vizi denunciabili (illegittimità formali, errori di procedura) rende sufficiente un procedimento rapido e tipicamente documentale; che gli elementi di salvaguardia del contraddittorio riconosciuti al procedimento di reclamo (Sezioni unite, n. 2255-1984) riducono la distanza rispetto all'accennato rimedio del processo esecutivo ordinario; e infine che la sentenza in tema di opposizione agli atti esecutivi è definita dall'art. 618 c.p.c. "non impugnabile", così come l'art. 23 legge fall. dice "non soggetto a gravame" il provvedimento che il tribunale pronuncia sul reclamo. In conclusione, il ricorso per cassazione contro il provvedimento del tribunale, che decide un reclamo su un atto esecutivo della procedura fallimentare, va ritenuto ammissibile non sulla base (intrinsecamente contraddittoria) di una pretesa "decisorietà" dell'atto "esecutivo", ma per la stessa ragione per cui tale ricorso è ammesso - nel processo esecutivo individuale - contro la sentenza pronunciata ai sensi degli art. 617 e 618 c.p.c, alla quale, per le considerazioni sopra svolte e in relazione al concetto di sentenza di cui all'art.111 Cost., può essere senza sforzo assimilata la decisione del tribunale sul reclamo contro atti esecutivi del giudice delegato. Da ciò deriva che la ricorribilità contro il provvedimento del tribunale fallimentare che decide sul reclamo non è riconducibile ad un'unica premessa sistematica. Nei casi - tipici ed eccezionali - in cui al giudice delegato è conferito un potere decisorio (classico esempio è quello del piano di riparto), il reclamo, che questa Corte ritiene operante in quanto rimedio generale "salvo disposizione contraria" (art. 26 legge fall.), introduce una sorta di secondo grado in un procedimento complessivamente cognitorio e decisorio. Nel caso, invece, di provvedimenti di giurisdizione, manca per definizione la sequenza di due atti decisori, e decisoria è soltanto la pronuncia del tribunale sul reclamo, perché risolve un incidente (di tipo cognitorio) sulla ritualità del provvedimento esecutivo del giudice delegato. Resta da precisare che il reclamo (in funzione corrispondente a quella dell'opposizione agli atti esecutivi) e il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. rappresentano una strumentazione adeguata quando si tratti di vizi di forma o di procedura, ma non quando l'atto esecutivo si scontra con diritti soggettivi sostanziali incompatibili, come nel caso dei cosiddetti decreti di acquisizione nei confronti di soggetti non consenzienti, per i quali vanno tenute ferme le conclusioni (esperimento di una autonoma azione di nullità) di cui alla sentenza n. 2258-1984 delle Sezioni unite.

Alla luce delle esposte considerazioni va disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso, essendo sicuramente non decisorio il provvedimento di proroga del termine per il deposito del prezzo, ma tale natura dovendo invece riconoscersi (nel senso sopra chiarito) alla pronuncia sul reclamo.

2. Con il primo mezzo la Paolettoni, lamentando la violazione degli artt. 323 e 339 c.p.c., deduce la nullità del provvedimento del tribunale per vizio nella composizione del collegio giudicante, del quale faceva parte il giudice delegato che aveva emesso il provvedimento oggetto del reclamo.

Il motivo è infondato. Le stesse norme invocate dalla ricorrente indicando che essa si riferisce al concetto di impugnazione in senso stretto, cioè ai mezzi di impugnazione della sentenza disciplinati dal titolo terzo del libro secondo del codice di rito, e in particolare all'appello, mentre il reclamo si caratterizza proprio per il fatto di porsi all'interno dell'ufficio fallimentare, di cui il giudice delegato è parte integrante. Astraendo da altri possibili spunti (si pensi alle sentenze della Corte costituzionale n. 158-1970 e 94-1975 che hanno negato la illegittimità della partecipazione del giudice delegato al collegio che decide l'opposizione allo stato passivo), appare comunque decisiva, per il rigetto della censura, proprio l'assimilazione, sopra tracciata, fra procedimento di reclamo e opposizione ex art. 617 c.p.c., avuto presente che quest'ultima o è decisa dallo stesso giudice dell'esecuzione o, quando il giudizio è collegabile, come nel caso di espropriazione immobiliare, è istruita da tale giudice che poi partecipa al collegio. Con il terzo motivo, che va esaminato con precedenza rispetto ai rimanenti, la ricorrente censura il provvedimento del tribunale nella parte in cui le nega un interesse, giuridicamente rilevante, a dolersi dell'atto esecutivo fatto oggetto del reclamo. Anche questa doglianza è infondata. Premesso che della qualità di fideiussore, indicata nel reclamo come fonte di legittimazione, più non si parla nel ricorso a questa Corte, resta il solo argomento della destinazione dell'immobile a casa coniugale. Al riguardo va tenuta presente la disposizione di cui all'art. 47 capov. legge fall., secondo cui "la casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all'abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività". Seppur fosse sostenibile che l'interesse all'abitazione familiare, configurato da tale norma, è difendibile anche dal coniuge del fallito (estraneo alla proprietà dell'immobile), per esempio contro un provvedimento che negasse o limitasse eccessivamente la fruibilità del bene, nondimeno sarebbe da escludere la legittimazione del predetto coniuge, in quanto tale. a far valere eventuali irregolarità del procedimento di liquidazione, perché rispetto ad esse - e alla loro riparazione in funzione di un migliore risultato liquidatorio - non sussiste un interesse diretto e tutelabile del coniuge stesso, ma soltanto un interesse indiretto e di mero fatto a ritardare il momento in cui, con in compimento della liquidazione, l'immobile dovrà essere liberato.

Il rigetto del terzo motivo, concernente la legittimazione della Paolettoni al reclamo, rende superfluo l'esame degli altri, con cui la ricorrente - essendo il tribunale ugualmente entrato nel merito - si duole delle conclusioni dallo stesso raggiunte.

3. Sussistono giusti motivi per la totale compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e il terzo motivo del ricorso, dichiarando assorbiti il secondo e il quarto. Compensa le spese. Così deciso in Roma il 7 maggio 1991.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 23 APRILE 1992