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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 16493 - pubb. 11/01/2017.

Responsabilità da eterodirezione e fallimento della super-società di fatto


Cassazione civile, sez. I, 20 Maggio 2016. Est. Magda Cristiano.

Società – S.r.l. – Partecipazione a società di persone – Società di fatto – Delibera autorizzativa – Nullità – Amministratori – Rappresentanza – Limiti ai poteri

S.r.l. – Partecipazione a società di persone – Società di fatto – Delibera autorizzativa – Nullità – Liquidazione – Società di fatto in liquidazione

Partecipazione di società di capitali a società di persone – Società di fatto holding – Fallimento – Estensione – Soci illimitatamente responsabili – Società occulta – Art. 147 comma 5 l. fall. – Responsabilità da eterodirezione

Fallimento – Soggetti – Società di fatto – Partecipazioni di società – Affectio societatis – Vincolo sociale – Comune intento sociale – Prova – Prova a favore – Prova contraria

Imprenditore individuale – Imprenditore occulto – Società occulta – Estensione fallimento – Applicazione estensiva


Non può ammettersi che la società di capitali che abbia svolto attività di impresa, operando in società di fatto con altri, possa in seguito sottrarsi alle eventuali conseguenze negative derivanti dal suo agire (ivi compreso il fallimento per ripercussione nel caso in cui sia accertata l’insolvenza della società di fatto) in forza di una violazione di legge perpetrata dai suoi amministratori non rispettando le disposizioni di cui all’art. 2361, 2° comma, c.c. (Giovanni Esposito) (riproduzione riservata)

Quand’anche si volesse aderire all’opposta opinione, secondo cui il mancato rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 2361, 2° comma, c.c. comporta l’invalidità o l’inefficacia dell’assunzione della partecipazione o del vincolo associativo, il fenomeno non resterebbe irrilevante per l’ordinamento, in quanto non varrebbe a determinare la caducazione retroattiva dell’esistenza dell’ente, attesa la disciplina peculiare del contratto di società, espressa dall’art. 2332 c.c., ritenuto applicabile anche alle società di persone. (Giovanni Esposito) (riproduzione riservata)

Come è stato correttamente rilevato in dottrina, l’art. 147 l. fall. non si presta all’estensione al dominus (società o persona fisica) dell’insolvenza del gruppo di società organizzate verticalmente e da questi utilizzate in via strumentale, ma piuttosto all’estensione ad un gruppo orizzontale di società, non soggetto ad attività di direzione e coordinamento, che partecipano, eventualmente anche insieme a persone fisiche, e controllano una società di persone (la c.d. supersocietà di fatto). (Giovanni Esposito) (riproduzione riservata)

La prova della sussistenza di tale società deve essere fornita in via rigorosa, in primo luogo attraverso la dimostrazione del comune intento sociale perseguito, che deve essere conforme, e non contrario, all’interesse dei soci. Il fatto che le singole società perseguano invece l’interesse delle persone fisiche che ne hanno il controllo (anche solo di fatto) costituisce, piuttosto, prova contraria all’esistenza della supersocietà di fatto e, viceversa, prova a favore dell’esistenza di una holding di fatto, nei cui confronti il curatore potrà eventualmente agire in responsabilità e che potrà eventualmente essere dichiarata autonomamente fallita, ove ne sia accertata l’insolvenza a richiesta di un creditore. (Giovanni Esposito) (riproduzione riservata)

Il riferimento all’imprenditore individuale contenuto nell’art. 147, 5° comma l. fall. valenza meramente indicativa dello “stato dell’arte” dell’epoca in cui la norma, pur eccezionale, è stata concepita, che non può essere di ostacolo ad una sua interpretazione estensiva, tenuto conto del mutato contesto nel quale essa deve attualmente trovare applicazione, ne adegui la portata in senso evolutivo, includendovi fattispecie non ancora prospettabili alla data della sua emanazione. Un’interpretazione che conducesse all’affermazione dell’applicabilità della norma al solo caso (di fallimento dell’imprenditore individuale) in essa espressamente considerato, risulterebbe in contrasto col principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. (Giovanni Esposito) (riproduzione riservata)

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