Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 16262 - pubb. 25/11/2016

Fallimento, eccezione riconvenzionale e domanda riconvenzionale di compensazione

Tribunale Savona, 08 Novembre 2016. Est. Poggio.


Fallimento – Giudizio ordinario promosso dal curatore – Eccezione riconvenzionale di accertamento di un controcredito verso il fallimento – Ammissibilità

Fallimento – Giudizio ordinario promosso dal curatore – Domanda riconvenzionale di accertamento di un controcredito e di condanna verso il fallimento – Inammissibilità



Nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito del fallito, il terzo convenuto può sempre opporre in via di eccezione riconvenzionale la propria pretesa creditoria a prescindere dalla previa insinuazione al passivo. (Alessandro Albè) (riproduzione riservata)
 
Nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito del fallito, al terzo convenuto è precluso proporre una autonoma domanda riconvenzionale, dovendo per essa essere proposta una domanda di ammissione al passivo ai sensi dell’art. 93 L.F. (Alessandro Albè) (riproduzione riservata)


Segnalazione dell'Avv. Alessandro Albè


Il testo integrale




Nota al provvedimento

(I) Nel caso che ha dato luogo alla pronuncia in esame, il creditore aveva presentato domanda di insinuazione al passivo fallimentare oltre il termine previsto dall’art. 101, comma 1, L.F., chiedendo anche la compensazione di un proprio controcredito vantato verso la società fallita. Il Giudice Delegato, accertata la ‘ultratardività’ della domanda in assenza di prova in merito alla non imputabilità del ritardo ai sensi dell’art. 101, comma 4, L.F., aveva escluso il credito, non riconoscendo di conseguenza neppure i presupposti richiesti dall’art. 56 L.F. per la compensazione. Il provvedimento di esclusione del Giudice Delegato veniva confermato dal Tribunale all’esito del giudizio di opposizione allo stato passivo.

Il decreto del Tribunale di Savona si segnala in quanto offre lo spunto per fare il punto della situazione sullo stato attuale della giurisprudenza con riferimento agli aspetti squisitamente processuali dell’istituto della ‘compensazione’ c.d. fallimentare.

L’art. 56 L.F. ammette che a certe condizioni il creditore che sia anche debitore del soggetto fallito possa compensare le proprie reciproche ragioni di credito e di debito. La compensazione costituisce una delle più importanti eccezioni al principio della par condicio creditorum, perché consente al creditore di soddisfarsi integralmente per l’ammontare comune dei reciproci crediti sfuggendo così alla falcidia fallimentare.

La compensazione può essere fatta valere sia in ambito fallimentare, ossia in sede di verifica dei crediti davanti al Giudice Delegato, sia in ambito giudiziale extrafallimentare, ossia in un giudizio ordinario promosso dal curatore per il recupero di un credito vantato dal soggetto fallito nei confronti del creditore-debitore, sia infine in sede stragiudiziale. A seconda della sede e delle modalità con cui verrà opposta la compensazione, si avranno risvolti processuali differenti. In particolare:

- in sede fallimentare, la compensazione si fa valere mediante dichiarazione da effettuare nella domanda di ammissione al passivo, così da consentire al creditore di essere ammesso al passivo fallimentare per la differenza tra il credito e il debito verso il fallito. In questi casi, il provvedimento di ammissione al passivo per un importo pari alla differenza tra il credito e il debito presuppone l’accertamento da parte del Giudice Delegato della sussistenza delle condizioni prescritte dall’art. 56 L.F. per la compensazione;

- in sede giudiziale extrafallimentare, ossia in un giudizio civile promosso dal curatore nei confronti di un soggetto debitore che sia al tempo stesso anche creditore del fallito, la compensazione può assumere il carattere di “eccezione riconvenzionale” – qualora la deduzione del controcredito abbia il solo scopo di paralizzare la pretesa del curatore che agisca per il recupero di un credito vantato dal Fallimento al fine di beneficiare di una condanna ridotta, oppure quello di “domanda riconvenzionale” – qualora miri invece a ottenere una vera e propria pronuncia di condanna nei confronti del Fallimento. In sede giudiziale extrafallimentare la giurisprudenza prevalente ritiene ammissibile solo la compensazione nelle forme della mera “eccezione riconvenzionale”, perché la domanda di accertamento e di condanna dell’eventuale maggior credito nei confronti del fallimento non può che essere oggetto esclusivo di verifica del passivo secondo il procedimento speciale delineato dagli artt. 93 e ss. L.F. (Cass., sez. VI, 15 luglio 2016, n. 14615; Cass., sez. III, 10 gennaio 2012, n. 64; per la giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Monza, sez. II, 17 novembre 2015 e Trib. Lucca 8 luglio 2015 in banca dati Ius Explorer; Trib. Treviso 3 novembre 2014, in Foro it. Rep. 2015, voce Fallimento, n. 306; Trib. Fermo 21 dicembre 1992, in Foro it., Rep. 1994, voce Fallimento, n. 360; alle stesse conclusioni è giunta anche la giurisprudenza arbitrale, cfr. Arb. Firenze 6 novembre 2007, in Foro it., Rep. 2008, voce Contratti pubblici, n. 1427; si segnala altresì Trib. Modena 7 marzo 2012 in banca dati Ius Explorer, che ritiene ammissibile, in sede di giudizio ordinario di recupero crediti promosso dal curatore, la domanda riconvenzionale tesa all’accertamento autonomo di un contrapposto credito nei confronti del fallimento, ma solo ove la domanda sia diretta in modo esplicito contro il soggetto fallito “per quando sarà tornato in bonis”). In altre parole, il soggetto convenuto dal curatore in un giudizio civile ordinario di recupero del credito (ma lo stesso vale naturalmente anche nel caso in cui sia il Fallimento ad essere convenuto in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, attesa la natura sostanziale di convenuto della parte opponente: cfr., fra le tante, Cass., sez. lav., 24 giugno 2015, n. 13117) potrà solo paralizzare la pretesa del Fallimento eccependo in compensazione un proprio controcredito, senza tuttavia ambire ad ottenere in quella sede anche una pronuncia di condanna del curatore al pagamento della somma di denaro in eccedenza che dovesse residuare dalla differenza aritmetica fra le reciproche ragioni di credito e di debito. Una domanda del genere sarebbe inammissibile nel giudizio ordinario di cognizione se proposta dopo la dichiarazione di fallimento, oppure improcedibile se proposta prima del fallimento e poi riassunta nei confronti del curatore fallimentare.

Va precisato che la giurisprudenza ritiene ammissibile l’eccezione riconvenzionale di compensazione anche nell’ipotesi in cui il creditore (convenuto in giudizio dal curatore per ottenere il pagamento di una somma dovuta al fallito) non abbia preventivamente chiesto l’ammissione al passivo del proprio credito (Cass., sez. III, 10 gennaio 2012, n. 64; Cass., sez. I, 14 luglio 2011, n. 15562; Trib. Nola, sez. II, 20 settembre 2007 in banca dati Ius Explorer; per la dottrina, cfr. Bonocore e Bassi, Trattato di diritto fallimentare, vol. II, Padova, 2010, 316), oppure nell’ipotesi in cui pur avendo chiesto l’ammissione al passivo del proprio credito sia stato escluso con provvedimento del giudice delegato divenuto definitivo (cfr. la giurisprudenza richiamata in Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, sub. art. 56, Padova, 2013, 362).   

A questa tesi si contrappone l’orientamento giurisprudenziale che ritiene invece che la compensazione – sia che assuma il carattere di eccezione riconvenzionale o di domanda riconvenzionale – possa essere riconosciuta solo in sede fallimentare: “in tema di fallimento, l’accertamento dei crediti vantati nei confronti della massa deve aver luogo con il medesimo rito previsto per i crediti concorsuali poiché il credito opposto in compensazione può essere riconosciuto soltanto in sede fallimentare e, anche se dedotto solo in via di eccezione, presuppone l’accertamento del debito del fallito” (Cass., sez. II, 4 settembre 2014, n. 18691; Cass., sez. I, 27 marzo 2008, n. 7967; Cass., sez. I, 12 giugno 2007, n. 13769; nello stesso senso sembrerebbe orientato anche Trib. Savona 3 novembre 2015 in www.ilcaso.it);

            - in sede stragiudiziale, la dichiarazione di volersi avvalere della compensazione rivolta dal debitore-creditore del fallito al curatore in presenza dei requisiti prescritti dall’art. 56 L.F. produce l’estinzione dei reciproci crediti, senza la necessità di una manifestazione di volontà da parte degli organi della procedura fallimentare (e senza quindi la necessità per il curatore di acquisire le autorizzazioni previste dall’art. 35 L.F. per la conclusione ad esempio di transazioni e di accordi finalizzati alla riduzione di crediti).

[Alessandro Albé]


Testo Integrale