Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1601 - pubb. 21/02/2009

Esdebitazione e crediti insoddisfatti

Tribunale Rovigo, 22 Gennaio 2009. Est. Marzella.


Esdebitazione - Condizioni - Crediti concorsuali insoddisfatti - Nozione.



La esdebitazione è possibile solo se tutti i debiti da dichiarare inesigibili siano stati almeno parzialmente soddisfatti e non può essere concessa qualora vi siano crediti del tutto incapienti. (Mauro Bernardi) (riproduzione riservata)


Massimario Ragionato



 


IL TRIBUNALE DI ROVIGO
omissis

DECRETO
letta l’istanza depositata in Cancelleria il 16.6.08 da G. G., nato a S. M. di V. in data *, con la quale si richiede l’emissione di un provvedimento di esdebitazione; verificata la regolarità delle notifiche effettuate nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti; procedutosi alla audizione del curatore e preso atto che i componenti del Comitato dei creditori non si sono presentati in udienza, sebbene debitamente notiziati; rilevato che sia l’Agenzia delle Entrate sia la “Equitalia Polis s.p.a.” hanno manifestato il proprio parere contrario all’accoglimento dell’istanza; esaminata la documentazione allegata all’istanza; sentita la relazione del Giudice Delegato; osservato, in primo luogo, che a mente del disposto dell’ultimo comma dell’art. 19 del D. Lgs. 12.9.07 n. 169, la procedura di esdebitazione può essere applicata anche alle procedure fallimentari già in precedenza definite, purché entro un anno dall’entrata in vigore del predetto decreto, risalente al 16.10.07, gli interessati presentino la relativa istanza; considerato che nella fattispecie il fallimento di G. G., dichiarato dal Tribunale di Rovigo in data 29.2.96, era poi stato chiuso con decreto del medesimo ufficio giudiziario emesso il successivo 18.6.07, e che l’istante ha tempestivamente depositato la richiesta di esdebitazione il 16.6.08; considerato, in secondo luogo, che i criteri ai quali risulta subordinata l’ammissione al beneficio previsto dall’art. 142 della legge fallimentare sono rappresentati:
- dalla fattiva collaborazione prestata dal fallito agli organi della procedura mediante la spontanea indicazione di tutte le informazioni ed i documenti utili ad un proficuo svolgimento delle operazioni, con particolare riferimento sia alla fase di individuazione dei beni mobili e dei cespiti immobiliari dell’impresa sia a quella di accertamento del passivo,
- dalla assenza di comportamenti volti a ritardare lo svolgimento della procedura;
- dalla intervenuta consegna al curatore di tutta la corrispondenza riguardante i rapporti compresi nel fallimento a lui pervenuta nel corso della procedura,
- dalla inesistenza di un previo provvedimento di esdebitazione ottenuto nei dieci anni precedenti alla richiesta,
- dalla inesistenza di attività di distrazione dell’attivo e di fittizia esposizione di passività o comunque di condotte di abusivo ricorso al credito ovvero tali da aver causato od aggravato il dissesto, rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari,
- dalla mancanza di precedenti condanne, passate in giudicato, per bancarotta fraudolenta o altri delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, ovvero compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa,
- dal soddisfacimento, almeno parziale, di tutti i creditori concorsuali, siano essi privilegiati ovvero chirografari; considerato, in particolare, con riguardo a tale ultimo requisito, che in effetti la disposizione in esame debba essere interpretata nel senso di subordinare l’ammissione al beneficio al previo soddisfacimento, almeno parziale, di tutti i creditori ammessi al concorso a seguito della ripartizione finale dell’attivo, così che la medesima risulti utile per tutti, traducendosi nel pagamento di una percentuale sia pur minima di quanto dovuto; atteso infatti che con l’espressione “qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali”, il legislatore sembra aver voluto riferirsi non già al numero dei creditori che ricevono qualcosa, nel senso che l’esdebitazione sarebbe possibile laddove almeno alcuno di essi abbia ricevuto alcunché, bensì alla “quota” di soddisfacimento che i creditori ricevono, nel senso, cioè, che tutti devono essere stati almeno in parte soddisfatti in sede di riparto; ricordato, in proposito, che il sesto comma, lett. a), n. 13) dell’art. 1 della legge di delega per la riforma del sistema fallimentare demandava al legislatore il compito di introdurre la disciplina dell’esdebitazione “prevedendo che essa consista nella liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti, con il che si rendeva appunto evidente l’intento di considerare necessario l’avvenuto pagamento di almeno una parte di tutti i crediti; rilevato, altresì, che una conferma di tale impostazione si trae dal primo comma dell’art. 143, secondo il quale il Tribunale dichiara inesigibili “i debiti non soddisfatti integralmente”; considerato invero che la predetta locuzione necessariamente presuppone che tali debiti siano stati soddisfatti parzialmente e debbano essere tutti quelli aventi titolo al soddisfacimento giacché, diversamente argomentando, dovrebbe giungersi ad affermare che la pronuncia riguardi solo, tra i debiti che debbono essere soddisfatti nel fallimento, quelli “non soddisfatti integralmente” e non anche quelli per nulla soddisfatti, ciò che costituirebbe una evidente incongruità ove si ricordi che a mente del primo comma dell’art. 142 la pronuncia deve comunque riguardare tutti i debiti residui; reputato, d’altro canto, che anche la dizione da ultimo menzionata non può che fare riferimento a debiti che già in parte hanno ricevuto soddisfazione, poiché altrimenti non potrebbero essere qualificati siccome residui; opinato pertanto doversi concludere che la esdebitazione è possibile solo se tutti i debiti da dichiarare inesigibili siano stati almeno parzialmente soddisfatti mentre resta viceversa inammissibile qualora vi siano crediti del tutto incapienti, come appunto stabilito dal secondo comma dell’art. 142; notato poi che ulteriore conferma della interpretazione prescelta si ricava dalla disposizione del successivo art. 144, secondo cui l’esdebitazione nei confronti dei creditori concorsuali non insinuatisi “opera per la sola eccedenza rispetto a quanto i creditori avrebbero avuto diritto di percepire nel concorso”, apparendo incontestabile che si possa parlare di “eccedenza” solo rispetto qualora tutti i partecipanti alla procedura concorsuale abbiano ottenuto almeno una quota di soddisfacimento del proprio credito; considerato inoltre, sotto il profilo della ratio legis, che la restrizione dell’applicazione dell’istituto alle sole ipotesi in cui si sia avuto un parziale pagamento di tutti i creditori concorsuali si giustifica:
- per un verso in considerazione del fatto che, venendo tale meccanismo di carattere premiale per il fallito ad incidere in maniera estremamente vessatoria nei confronti dei creditori, ai quali risulta sottratta qualsiasi possibilità di un futuro soddisfacimento delle proprie ragioni anche nei confronti del fallito tornato in bonis, appare congruo pretendere che questi ultimi abbiano quanto meno recuperato una sia pur modesta quota di quanto loro dovuto,
- per altro verso, in ragione della circostanza che, qualora si optasse per la tesi interpretativa qui avversata, si giungerebbe di fatto a togliere qualsiasi senso alla previsione del secondo comma dell’art. 142, bastando in ipotesi la soddisfazione “nummo uno” di un solo creditore privilegiato a perfezionare il requisito in esame, laddove invece si dimostra evidente l’intento del legislatore di subordinare l’operatività dell’istituto premiale alla esistenza di un comportamento che non risulti solo formalmente corretto da parte del debitore ma anche sostanzialmente utile alla massa dei creditori; rimarcato infatti sul punto in esame che, versandosi nell’ambito di una procedura di carattere sostanzialmente liquidatorio dell’intero patrimonio del debitore, appare necessariamente congruo ritenere che il legislatore abbia inteso stimolare una condotta di quest’ultimo più consapevole degli interessi e dei diritti dei creditori, tale da sollecitargli, al fine di godere del predetto beneficio, l’adozione anche prima del fallimento di tutte quelle cautele idonee a conservare al meglio la garanzia rappresentata ex art. 2740 cc dal patrimonio dell’impresa; opinato anzi che in tale ottica – lungi dal favorirsi quella sostanziale indifferenza alle vicende dell’impresa in crisi che conseguirebbe ad una lettura meno rigorosa della norma in questione, in forza della quale il debitore, una volta evitate condotte appropriative, distrattive o di abusivo ricorso al credito, ben potrebbe disinteressarsi degli esiti concreti delle medesime, potendo comunque contare sulla previsione di una futura esdebitazione – si incoraggia invece una più consapevole valutazione della conduzione della propria attività da parte dell’imprenditore sfortunato ma onesto, che vede conseguentemente premiata la capacità di interrompere la propria gestione in perdita entro termini tali da evitare quel completo dissesto che comporta l’impossibilità di far fronte se non in minima parte alle proprie obbligazioni, così di fatto travolgendo nel dissesto anche i creditori insoddisfatti; ritenuto quindi, conclusivamente, che la condizione oggettiva di cui all’art. 142, secondo comma implica che l’esdebitazione – la quale rappresenta un vero e proprio beneficio di carattere speciale – sia concedibile solo in presenza di un piano di riparto finale dell’attivo, in cui siano utilmente, anche se solo parzialmente, collocati tutti i creditori ammessi al passivo; atteso che nella fattispecie sono alcuni dei creditori privilegiati hanno ottenuto un pagamento parziale di quanto loro dovuto, mentre i chirografari sono rimasti del tutto incapienti; osservato, d’altronde, che anche a voler superare la predetta considerazione, il curatore ha riferito l’avvenuto compimento da parte del fallito di attività di distrazione dell’attivo, concretatesi sia nella sottrazione del saldo contabile di cassa pari a £ 77.000.000, non più reperite in sede fallimentare, sia nell’indebito prelievo a titolo personale della assai cospicua somma di circa £ 925.000.000, anch’esse poi non più reperite, in epoca nella quale il dissesto dell’impresa già appariva evidente; ravvisata di conseguenza l’insussistenza dei presupposti previsti dalla legge;

P. Q. M.
rigetta l’istanza.
Rovigo, 22 gennaio 2009


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