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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 15832 - pubb. 28/09/2016.

Canalizzazione degli incassi e concordato preventivo: la responsabilità degli amministratori


Tribunale di Milano, 26 Ottobre 2015. Pres., est. Elena Riva Crugnola.

Anticipazione bancaria – Inesistenza delle fatture anticipate – Responsabilità dell’amministratore – Concordato preventivo

Anticipazione bancaria – Canalizzazione dei pagamenti – Concordato preventivo – Responsabilità dell’amministratore


Sussiste la responsabilità risarcitoria dell’amministratore di una S.r.l. la quale, allorché già sussisteva uno stato di crisi, abbia richiesto alla banca anticipazioni bancarie su fatture il cui importo, ancorché canalizzato sul conto intrattenuto presso quest’ultima, sia stato poi versato sul conto intrattenuto presso altra banca su indicazione dello stesso amministratore, anche nel caso in cui sia stata depositata una domanda di concordato preventivo. (Luciana Cipolla) (riproduzione riservata)

Sussiste la responsabilità risarcitoria dell’amministratore di una S.r.l. la quale, allorché già sussisteva uno stato di crisi, abbia richiesto alla banca anticipazioni bancarie su fatture inesistenti e per le quali quindi vi era la consapevolezza ex ante della impossibilità di adempimento da parte del destinatario della fattura. (Luciana Cipolla) (riproduzione riservata)

Segnalazione dell'Avv. Luciana Cipolla


Il testo integrale




Anticipazione bancaria canalizzazione degli incassi e concordato preventivo: la responsabilità degli amministratori

di Luciana Cipolla

 

Nel giudizio che ha portato alla sentenza qui segnalata, la banca ha svolto nei confronti dell’amministratore di una società a responsabilità limitata una domanda risarcitoria, ai sensi degli artt. 2395 c.c. e/o 2043 c.c., lamentando il fatto che questi avrebbe presentato alla banca richieste di anticipazione in relazione ad una serie di fatture poi rimaste insolute in quanto o inesistenti o pagate presso altri istituti di credito su indicazione dello stesso amministratore.

Da qui il danno derivato alla banca in misura pari all’ammontare delle anticipazioni pagate e non “autoliquidatesi”.

Secondo la tesi della banca, l’amministratore della società, con il presumibile scopo di far fronte allo stato di crisi e di illiquidità della stessa, avrebbe operato in maniera del tutto illegittima, permettendo alla società di incamerare sia le somme anticipate dalla banca a fronte della presentazione delle fatture, sia gli importi – di cui alle predette fatture – corrisposti da parte dei debitori ceduti.

Tale impostazione è stata condivisa dal Tribunale di Milano il quale non solo ha riconosciuto i fatti descritti e provati dalla banca come fonte di responsabilità risarcitoria per l’amministratore ma ha contestato la tesi di quest’ultimo secondo la quale l’operazione, pur se “contrattualmente illecita”, sarebbe, “nello specifico caso, giustificata dall’intento di salvaguardare la par condicio creditorum, poichè la società, in liquidazione dal 31 luglio 2012, ha depositato domanda di preconcordato preventivo ex art. 161 comma 6 l.f. in data 20 settembre 2012, sicchè, nell’ipotesi di fallimento, i pagamenti che fossero stati effettuati alla banca reclamante sarebbero stati revocabili ex art. 67 comma 2 l.f. In ogni caso, la decanalizzazione è consentita, in uno stato di crisi della società che pur si assume essere affrontabile a livello concordatario, in quanto atto conservativo a tutela appunto del pari trattamento dei creditori”.

Come ha correttamente rilevato il Tribunale meneghino tali considerazioni, anche a prescindere da ogni questione quanto al carattere del tutto ipotetico della deduzione relativa alla revocabilità dei pagamenti in caso di fallimento (peraltro neppure intervenuto alla data di emissione della sentenza), non sarebbero comunque stati documentati dall’amministratore convenuto che non avrebbe fornito alcuna prova in ordine alla effettiva destinazione delle somme in discussione dopo il loro afflusso sui conti della società.

Del resto, molte delle fatture anticipate erano state presentate in epoca anteriore al deposito della domanda di preconcordato ma allorché già sussisteva lo stato di insolvenza della società – che presentava un patrimonio netto negativo – di talché l’amministratore non poteva che essere consapevole sia della impossibilità di adempiere agli impegni contrattualmente assunti con la banca sia della potenziale lesione della par condicio creditorum.

 

Ancorché, nel caso che ha interessato il Tribunale di Milano, l’amministratore della società fosse unico, giova precisare che per fondare la responsabilità in solido di tutti gli eventuali componenti l’organo gestorio non è necessario dimostrare né che le operazioni fraudolente siano state poste in essere congiuntamente da tutti gli amministratori, né che questi fossero quantomeno a conoscenza delle predette operazioni.

In materia, infatti, sono vigenti, in capo a tutti i componenti dell’organo gestorio, doveri di vigilanza e diligenza, sia con riguardo all’operato di eventuali soggetti dagli stessi diretti (culpa in vigilando), sia con riguardo agli altri componenti dell’organo gestorio medesimo.

L’eventuale non conoscenza di quanto accaduto potrà rilevare solo nei rapporti interni tra le parti, ma non rispetto alle pretese avanzate dalla banca.

Sul tema della responsabilità dell’organo gestorio giova, in termini generali, precisare altresì che la responsabilità risarcitoria dell'amministratore verso il socio o il terzo, ai sensi dell'art. 2395 c.c., non è invocabile in base al riscontro dell'inopportunità delle scelte gestionali e della loro incidenza negativa sul patrimonio del socio o del terzo, ma esige un fatto illecito, cioè un comportamento che integri violazione degli obblighi specifici, inerenti alla carica, o generali, stabiliti dall'ordinamento a tutela dei diritti dei terzi (in tal senso, Cass. civ., 4 aprile 1997, n. 2934, in Il fisco, 1997, 7487).

 

Il diritto all'azione individuale sussiste, infatti, anche nell'ipotesi in cui il patrimonio della società abbia tratto vantaggio dall'atto degli amministratori (in tal senso, Cass. civ., 28 marzo 1996, n. 2850, in Impresa c.i., 1996, 1162). In giurisprudenza è stato anche sostenuto che “per quanto riguarda l'azione del terzo, essa deve fondarsi su una condotta dell'amministratore idonea a pregiudicare i suoi interessi, il che, ad esempio, si può verificare, a seguito di false comunicazioni sociali, anche non concretatesi in illecito penale, per i danni da affidamento (Trib. Bologna, 19 gennaio 1993, in Le società, 1993, 1063).

La forma utilizzata dall'art. 2395 c.c. per sancire l'ammissibilità dell'azione individuale svincola l'azione de qua dai limiti fissati dai precedenti artt. 2393 e 2394 c.c., riconfermando il principio generale, sancito dall'art. 2043 c.c., con cui viene riconosciuto a chiunque subisca un danno ingiusto il diritto di essere risarcito da chi quel danno ha provocato, principio che non esclude ovviamente dalla legittimazione passiva gli amministratori nell'ambito della loro attività gestoria. L'azione concessa individualmente al socio o al terzo per il risarcimento dei danni ad essi derivati da atti colposi o dolosi degli amministratori rientra, quindi, negli schemi della responsabilità extracontrattuale.

L’esercizio dell’azione in oggetto richiede la coesistenza dei seguenti elementi:

·         un danno diretto sul patrimonio del socio o del terzo;

·         un atto o un’omissione dolosa o colposa degli amministratori, nell’esercizio della loro funzione gestoria;

·         un nesso di causalità tra l’atto illecito e il danno subito dal socio o dal terzo.

I singoli soci o i terzi devono, inoltre, basare l'azione di responsabilità su una condotta dell'amministratore che produca un danno al patrimonio senza “passare attraverso il patrimonio sociale” (Salafia, La responsabilità civile degli amministratori, in Le Società, 1993, 591).

È evidente, infatti, che l’indicazione effettuata dalla Società ai propri clienti (ceduti) di disporre i pagamenti delle fatture (anticipate dalla Banca) su conti diversi da quelli pattuiti comporti l’automatica mancata “autoliquidazione” del predetto conto, causando così un grave danno in capo alla banca che si consolida (per quanto visto in precedenza) nel momento dell’accesso alla procedura concordataria da parte della società.