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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 15604 - pubb. 01/07/2010.

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Cassazione civile, sez. I, 28 Gennaio 1993. Est. Vignale.

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Liquidazione dell'attivo - In genere - Mutuatario - Fallimento - Istituti di credito fondiario - Esecuzione individuale sui beni ipotecati - Prosecuzione - Ammissibilità - Giudice delegato al fallimento - Vendita coattiva dei beni - Ammissibilità - Condizioni - Fattispecie


Il potere degli istituti di credito fondiario, di proseguire l'esecuzione individuale sui beni ipotecati - iniziata a norma del R.D. n. 645 del 1905 - anche dopo la dichiarazione di fallimento del mutuatario, non esclude che il giudice delegato al fallimento possa disporre la vendita coattiva dei beni perché le due procedure espropriative non sono incompatibili ed il loro concorso va risolto in base all'anteriorità del provvedimento che dispone la vendita. (Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto legittima l'ordinanza di vendita emessa dal giudice delegato, in quanto la vendita dello stesso immobile, pur ordinata anteriormente nella procedura esecutiva individuale, era stata, nella stessa, "sospesa" e non ancora rifissata, dovendosi pertanto ritenere provvisoriamente revocata la relativa ordinanza del giudice dell'esecuzione). (V. Sent. 393/1988, Corte Costituzionale). (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Giuseppe SCANZANO Presidente
" Pellegrino SENOFONTE Consigliere
" Salvatore NARDINO "
" M. Rosario VIGNALE Rel. "
" Giulio GRAZIADEI "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
CREDITO FONDIARIO DELLA CASSA DI RISPARMIO DELLE PROVINCE LOMBARDE, con sede in Milano, in persona del Presidente in carica, elett.te dom.to in Roma, Via Rasella, 157 c-o l'Avv. Domenico Guidi che lo rapp.ta e difende con gli Avv.ti Adalberto Urzì e Franco Vitale, giusta procura speciale per notaio Luigi Piontelli dell'8.5.87, Rep. n. 394361.
Ricorrente
contro
FALL.TO DELLA SNC MASSIMO DEL FANTE E FIGLI e dei soci in proprio MASSIMO DEL FANTE SENIOR, DAVIDE DEL FANTE E MASSIMO DEL FANTE JUNIOR, in persona del curatore Dr. Elio Scricchi, elett.te dom.to in Roma, Via Boncompagni, 47, c-o l'Avv. Paolo Velani che lo rapp.ta e difende, giusta delega a margine del controricorso. Controricorrente
Avverso il provvedimento del Tribunale di Avezzano del 13.4.87;
Udita la relazione svolta dal Cons. Vignale;
Udito per il ric. l'Avv. Guidi;
Udito per il res. l'Avv. Velani;
Udito il P.M. Dr. Manfredo Grossi che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel corso della procedura fallimentare a carico della s.n.c. Del Fante Massimo e Figli dei soci in proprio pendente innanzi al Tribunale di Avezzano, la Sezione di Credito Fondiario della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde procedette al pignoramento di un immobile di proprietà di Massimo Del Fante. Il pignoramento fu riunito ad altre procedure individuali iniziate prima della dichiarazione di fallimento. Il giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Roma, nel 1984, dispose la vendita all'incanto di tale mobile, ma poi la "sospese", su istanza della curatela fallimentare;
successivamente, il giudice delegato al fallimento, con ordinanza del 24 febbraio 1987, ne fissò a sua volta la vendita forzata. Il Credito Fondiario propose allora reclamo contro quel provvedimento, ritenendolo lesivo del suo diritto a proseguire l'esecuzione individuale ai sensi dell'art. 42 R.D. 16 luglio 1905 n. 646. Il Tribunale di Avezzano, con decreto del 13 aprile 1987, affermò che dall'interpretazione della norma invocata non discendeva automaticamente la sottrazione agli organi fallimentari del potere di liquidare i beni e che il concorso tra il procedimento individuale e quello fallimentare andava risolto in base all'anteriorità del provvedimento di vendita. Contro questo decreto il Credito Fondiario della CARIPLO ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un solo motivo, illustrato da una memoria. Resiste con controricorso la curatela fallimentare.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 42, II co., 39 e 51 R.D. n. 646 del 1905, nonché degli artt. 51, 107 e 108 L.F., sostenendo che la prima di queste due leggi speciali ha inteso sottrarre agli organi fallimentari ogni iniziativa per la liquidazione dei beni del fallito, quando questi siano oggetto anche di una procedura esecutiva promossa da un Istituto di Credito Fondiario; per cui, se l'Istituto esercita questo suo diritto, il fallimento non può procedere alla liquidazione del beni stessi. In ogni caso, soggiunge l'Istituto di credito, nel concorso tra le due procedure, la precedenza andrebbe riconosciuta a quella promossa dal soggetto che per primo si è attivato per la liquidazione dei beni, con la conseguenza che, nella fattispecie, avendo l'Istituto di credito fondiario notificato il pignoramento e presentato l'istanza di vendita, restava precluso al giudice delegato ordinare la vendita degli stessi beni.
Il ricorso è infondato. Il problema dei rapporti tra la procedura esecutiva disciplinata dalla legge sul credito fondiario (T.U. 16 luglio 1905 n. 646) e quella fallimentare è stato già affrontato da questa Corte e risolto nel senso che il potere degli Istituti di credito fondiario di proseguire l'esecuzione individuale sui beni ipotecati, pur in pendenza di una procedura fallimentare a carico del mutuatario inadempiente, non preclude al giudice delegato al fallimento di disporre la vendita coattiva dei beni stessi, dovendo il concorso tra i due procedimenti espropriativi risolversi in base all'anteriorità del provvedimento che dispone la vendita (cfr. Cass. 30 gennaio 1985 n. 582).
Ed invero, come risulta dai lavori preparatori delle leggi trasfuse nel citato T.U. n. 646 del 1905, la procedura privilegiata accordata ai suddetti Istituti di credito (e consistente, in particolare, nel potere loro attribuito di immettersi nel possesso dell'immobile ipotecato e di percepirne le rendite: art. 41; di promuoverne la vendita al prezzo corrispondente al valore fissato nel contratto di mutuo: art. 49; di surrogarsi ad altri creditori nella prosecuzione dell'espropriazione: art. 51; di osservare e di pretendere l'osservanza di termini processuali più brevi: art. 52;
si non essere tenuti a subire, se non in casi particolari, la sospensione dell'esecuzione: artt. 49 e 54; di ottenere il diretto pagamento del prezzo da parte dell'aggiudicatario, senza essere costretti ad attendere il provvedimento giudiziale di distribuzione del ricavato: art. 55; si spiega soltanto con la necessità di accelerare al massimo i tempi per la realizzazione del credito, al fine di mettere gli Istituti stessi in grado di far fronte col minor danno possibile alle obbligazioni da loro assunte, in occasione della concessione del mutuo, con l'emissione delle cartelle fondiarie. Infatti, come è noto, gli enti erogatori del mutuo non operano con capitali dei qualii sono già in possesso, ma con quelli che acquistano attraverso l'emissione di tali cartelle, sicché, alla scadenza di queste, essi sono tenuti al pagamento degli interessi a favore dei possessori; un pagamento al quale, di regola, fanno fronte con le semestralità rimborsate dal mutuatario, ma cui devono provvedere con i propri capitali, in caso di inadempienza di quest'ultimo.
Ebbene, per quanto il II co. dell'art. 42 T.U. del 1905 stabilisca che le disposizioni sul credito fondiario sono applicabili anche in caso di fallimento del debitore, ciò non vuol significare, tuttavia, che sussista un'assoluta incompatibilità tra procedura fallimentare e normativa speciale e che, quindi, per garantire il rispetto delle prerogative assegnate dalla legge agli Istituti di credito fondiario, debba necessariamente prevalere sulla prima la procedura esecutiva individuale promossa dagli stessi, ma soltanto che la liquidazione concorsuale dei beni del debitore non può in nessun caso risolversi in un pregiudizio per i predetti Istituti di credito. Non può, invero, trarsi un principio d'incompatibilità tra queste due procedure dalle norme del codice di rito civile che, in materia di esecuzione, escludono la coesistenza di due o più procedure esecutive relative allo stesso bene, giacché tali disposizioni concernono solamente i rapporti tra procedure esecutive individuali. La compatibilità del concorso tra procedura privilegiata degli Istituti di credito fondiario e fallimento è, invece, comprovata non solo dallo stesso art. 42 del T.U. del 1905, per il quale, in caso di fallimento del mutuatario, è sempre il curatore che acquisisce il possesso degli immobili (pur se è tenuto a versarne all'Istituto creditore le rendite), ma dalla considerazione che anche la disposizione dell'art. 55, il quale svincola l'Istituto dall'obbligo di attendere la distribuzione del ricavato, autorizzandolo a riscuotere direttamente dall'aggiudicatario la somma corrispondente al proprio credito per semestralità scadute ed interessi, non lo sottrae certamente all'osservanza delle regole sul concorso dei creditori, e, quindi, gli impone di rispettare l'ordine delle cause di prelazione, tal che, in presenza di creditori del fallito assistiti da privilegio, l'Istituto di credito fondiario può pretendere non più che l'aggiudicatario gli versi l'intera parte del prezzo avanzi dopo che sia stato versato al fallimento la parte (più o meno consistente) destinata a soddisfare i crediti con diritto di prelazione poziore. Come pure, infine, la compatibilità di tale coesistenza è dimostrata dal rilievo che, in ogni caso, la parte di prezzo che supera il credito dell'Istituto deve essere versata al fallimento. Dalla compatibilità del concorso tra le due procedure si deve trarre, pertanto, la conclusione che, quando, per un motivo qualsiasi, la procedura fallimentare si presenti più celere di quella individuale, nulla osta alla liquidazione del bene ipotecato in sede fallimentare, purché - beninteso - anche in questa sede vengano poi osservate tutte le disposizioni che consentono agli Istituti mutuanti la sollecità acquisizione delle somme necessarie all'assolvimento delle obbligazioni da loro assunte. Ne può ritenersi che il provvedimento di vendita pronunciato dal giudice delegato al fallimento sia illegittimo in quanto atto iniziale di una procedura di per sè incompatibile con le norme di favore previste per detti Istituti di credito, perché nulla impedisce che tali disposizioni siano osservate anche in sede fallimentare. Che se poi le paventate violazioni della normativa speciale si dovessero verificare, dovrebbero essere i relativi provvedimenti a formare oggetto di reclamo e non già quello iniziale col quale il giudice delegato, nell'inerzia del giudice dell'esecuzione e, quindi, in sintonia anche con la logica di celerità del procedimento disciplinato dalla legge sul credito fondiario, disponga la vendita coattiva dell'immobile ipotecato.
Ed allora, in mancanza di altro specifico interesse degli Istituti di credito fondiario a preferire la procedura esecutiva individuale, il conflitto tra questa procedura e quella concorsuale, non può che risolversi nel senso di privilegiare quella che presenti maggiore speditezza in termini di liquidazione del bene. Per cui dovrà attribuirsi prevalenza non tanto alla procedura nella quale prioritariamente sia stata proposta l'istanza di vendita (a tal fine, di per sè insufficiente), ma a quella nella quale per prima sia stata disposta la vendita dell'immobile.
Nella specie, è certo che la vendita, ordinata per prima dal giudice dell'esecuzione, fu poi, come riferisce la resistente curatela, "sospesa" dal medesimo giudice, sicché, al tempo dell'analogo provvedimento emesso in sede fallimentare, non era ancora stata rifissata. L'Istituto di credito fondiario ha contestato che, nella pecie, si potesse parlare di sospensione e questa osservazione è corretta, giacché, a stretto rigore terminologico, nella specie non trattavasi di un'ipotesi di sospensione ai sensi degli artt. 623 o 624 cod. proc. civ.; ma è evidente che, pur se adoperando una terminologia impropria, il giudice dell'esecuzione intese emettere sostanzialmente un provvedimento di revoca provvisoria dell'ordinanza di vendita, per procedere prima ad altri adempimenti. Da ciò discende, tuttavia, che, quando il giudice delegato emise il suo provvedimento, in sede di esecuzione individuale la vendita dell'immobile non risultava fissata, per cui, in una logica di speditezza della liquidazione dei beni (unico criterio che, non emergendo alcuna altro pregiudizio, in quel momento potesse dar corpo ad un interesse dell'Istituto di credito fondiario), non sussistevano ragioni di carattere processuale idonee a paralizzarne l'esecuzione.
Il ricorso deve essere, quindi, rigettato. Ne consegue la condanna dell'Istituto ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessive L. 2.558.600, di cui L. 2.500.000 di onorari.
Roma, 20 marzo 1991.