Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 15530 - pubb. 01/07/2010

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Cassazione civile, sez. I, 27 Aprile 1998, n. 4259. Est. Pignataro.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Cessazione - Chiusura del fallimento - In genere - Opposizione allo stato passivo di creditore non ammesso - Accantonamento in sede di ripartizione finale - Necessità - Insussistenza



La chiusura del fallimento ex art. 118 n. legge fall. dev'essere disposta senza la previsione di accantonamenti diversi da quelli previsti dall'art. 117 in relazione all'art. 113 n. 3 legge fall. Consegue che il creditore non ammesso al passivo del fallimento che ha proposto opposizione allo stato passivo pendente al momento della chiusura della procedura non ha diritto ad accantonamenti in sede di ripartizione finale dell'attivo. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Antonio SENSALE - Presidente -
Dott. Giovanni LOSAVIO - Consigliere -
Dott. Vincenzo PROTO - Consigliere -
Dott. Alberto PIGNATARO - Rel. Consigliere -
Dott. Giovanni VERUCCI - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
BANCO AMBROSIANO VENETO SpA, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA S. GIACOMO 18, presso l'avvocato LUIGI FLAUTI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato FABRIZIO DEVESCOVI, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO IMPRESA RAMANI SERGIO, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA B. TORTOLINI 34, presso l'avvocato N. PAOLETTI, rappresentato e difeso dall'avvocato LINO GUGLIELMUCCI, giusta delega in calce al controricorso;
- controricorrente -
e sul 2^ ricorso n. 01863/96 proposto da:
BANCO AMBROSIANO VENETO SpA, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA S. GIACOMO 18, presso l'avvocato LUIGI FLAUTI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato FABRIZIO DEVESCOVI, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO IMPRESA RAMANI SERGIO, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA B. TORTOLINI 34, presso l'avvocato N. PAOLETTI, rappresentato e difeso dall'avvocato LINO GUGLIELMUCCI, giusta delega in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso il provvedimento della Corte d'Appello di TRIESTE, depositato il 28/11/95;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/11/97 dal Consigliere Dott. Alberto PIGNATARO;
udito per il ricorrente, Banco Ambrosiano Veneto, l'Avvocato Devescovi, che ha chiesto l'accoglimento di entrambi i ricorsi;
udito per il resistente, Fallimento Ramani Sergio, l'Avvocato Paoletti, con delega, che ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. Franco MOROZZO DELLA ROCCA che ha concluso per la riunione dei ricorsi e rigetto di entrambi.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 27 ottobre 1993 il tribunale di Trieste dichiarò il fallimento di Sergio Ramani, già deceduto. Il Banco ambrosiano veneto chiese di essere ammesso al passivo del fallimento in via chirografaria per la somma di L.396.809.991 e, a seguito di reiezione della richiesta da parte del giudice delegato, propose opposizione allo stato passivo.
In pendenza del relativo giudizio il giudice delegato, con decreto del 6 giugno 1995, approvava il piano di ripartizione finale dell'attivo (con il quale era disposto l'integrale pagamento dei crediti privilegiati e la distribuzione del residuo, con una percentuale del 33,42%, tra i creditori chirografari ammessi) , senza disporre accantonamenti a favore dei creditori le cui pretese erano oggetto di giudizi pendenti.
Con successivo decreto del 9 giugno 1995 il tribunale di Trieste dichiarava chiuso il fallimento ai sensi dell'art.118 n.3 l. fall. per compiuta ripartizione dell'attivo.
Il Banco ambrosiano veneto proponeva reclamo al tribunale ai sensi dell'art.26 della citata legge fallimentare contro il decreto del giudice delegato e reclamo davanti alla corte d'appello ai sensi dello art. 119 l. fall. contro il decreto di chiusura del fallimento, deducendo l'illegittimità dei provvedimenti impugnati per non essere stato disposto l'accantonamento necessario per la tutela del proprio credito in contestazione.
Con decreto del 29 giugno 1995 il tribunale di Trieste dichiarava non luogo a provvedere sul ricorso ex art.26 l. fall. e con decreto del 28 novembre 1995 la corte d'appello di Trieste, rigettava il reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento proposto dal Banco ambrosiano veneto (nonché quello - riunito al primo - proposto dalla s.p.a. Ocean quale creditore tardivo), osservando che i creditori esclusi dal passivo che abbiano proposto opposizione e quelli tardivamente insinuati non hanno diritto ad accantonamenti in base alle norme della legge fallimentare e ritenendo manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 117 e 118 l. fall. sollevata dal Banco ambrosiano veneto per non essere irrazionale la scelta fatta dal legislatore, nel conflitto tra creditori, a favore dei creditori ammessi al passivo rispetto a quelli non ammessi. Il Banco ambrosiano veneto ha proposto separati ricorsi per cassazione contro gli indicati decreti del tribunale e della corte d'appello di Trieste, deducendo, in relazione a ciascuno di essi, un solo articolato motivo illustrato da memoria.
Il fallimento di Sergio Ramani ed il curatore in proprio hanno resistito con controricorso.
Con ordinanza del 2 luglio 1997, previa riunione dei due ricorsi per connessione soggettiva ed oggettiva, è stata disposta la trasmissione degli atti al primo presidente per l'eventuale assegnazione della causa alle sezioni unite ai sensi dell'art.374, 2^ comma c.p.c. ed a seguito della restituzione degli stessi a questa sezione è stata rifissata l'udienza di discussione. Motivi della decisione
1 - Con l'unico motivo del ricorso proposto contro il decreto del tribunale di "non luogo a provvedere", per intervenuta chiusura del fallimento, sul reclamo ex art.26 l. fall. contro il provvedimento del giudice delegato di approvazione del progetto di ripartizione finale dell'attivo, il Banco ambrosiano veneto denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 26,110, 3^ comma, 117, 119 e 120 l. fall..
In particolare deduce che: a) il decreto di chiusura del fallimento, pur essendo immediatamente esecutivo ma essendo stato impugnato, non precludeva l'esame del reclamo peraltro non subordinato alla presentazione di osservazioni ex art.117 l. fall. da parte di esso creditore; b) sussisteva l'interesse a proporre tale reclamo per la tutela del diritto del creditore opponente allo stato passivo ad ottenere l'accantonamento delle somme necessarie per il soddisfacimento del credito in contestazione; c) in base all'opinione espressa dal tribunale si prospetterebbe una questione di illegittimità costituzionale, per contrasto con l'art.24 Cost., dell'art.26 l. fall. perché questa norma non consentirebbe la tutela del diritto dei creditori nei confronti dei provvedimenti del giudice delegato in materia di piani di ripartizione dell'attivo nel caso di chiusura del fallimento disposta con provvedimento non definitivo. 2 - Con l'unico motivo del ricorso contro il decreto della corte d'appello di reiezione del reclamo contro il provvedimento di chiusura del fallimento per ripartizione finale dell'attivo, la banca ricorrente, denunziando violazione dell'art.118 n.2 ("rectius", n.3) della legge fallimentare nonché vizi di motivazione, deduce: a) che i dubbi manifestati nel decreto impugnato circa l'improponibilità della impugnazione non avevano ragion d'essere in quanto l'impugnazione stessa doveva essere proposta per evitare l'inammissibilità per difetto d'interesse del ricorso contro il provvedimento di approvazione del progetto finale di ripartizione dell'attivo; b) che per la tutela del diritto alla "par condicio" del creditore opponente allo stato passivo (specie quando, come nella specie, sia probabile l'accoglimento della opposizione) la ripartizione finale dell'attivo fallimentare e la chiusura del fallimento possono disporsi - come ritenuto anche dalla giurisprudenza di questa corte di cassazione - solo se il giudice abbia previsto gli opportuni accantonamenti di somme per i crediti contestati che, se successivamente accertati, devono essere soddisfatti con la percentuale distribuita per gli altri crediti di pari grado; c) che l'interpretazione delle norme della legge fallimentare nel senso indicato dalla corte territoriale comporterebbe l'illegittimità degli artt. 117 e 118 della l. fall per contrasto con l'art.24 Cost. nella parte in cui, non prevedendo accantonamenti nel riparto finale a favore dei creditori opponenti allo stato passivo, rendono impossibile o estremamente difficile la tutela degli interessi di detti creditori. 3 - Il nucleo essenziale dei motivi di ricorso è costituito dalla tesi, prospettata con le censure comuni agli stessi e sopra indicate con la lettera b) , secondo la quale la ripartizione finale dell'attivo fallimentare e la chiusura del fallimento ai sensi dell'art. 118 n.3 della legge fallimentare potrebbero disporsi anche in pendenza di giudizi di opposizione all'esclusione di crediti o di impugnazione alla loro ammissione (o di insinuazione tardiva), purché il giudice delegato adotti opportune disposizioni, mediante accantonamenti di somme, affinché, in caso di esito del giudizio favorevole al creditore, questi veda rispettata la sua "par condicio" e riceva una percentuale del suo credito uguale a quella degli altri creditori di pari grado.
Detta tesi ha trovato accoglimento nella non recente giurisprudenza di questa corte di cassazione (v. sentenze 5 marzo 1979, n.1367; 6 aprile 1981, n.1938; 1^ luglio 1982, n.3949; 21 maggio 1984, n.3114 pure citate dalla banca ricorrente). Ma tale orientamento è stato superato dal diverso indirizzo - condiviso dal collegio - espresso da più recenti decisioni in relazione a fattispecie analoghe alla presente (v. sentenze 17 dicembre 1990, n.11961; 1^ marzo 1991, n.2186; 24 marzo 1993, n.3500, 9 settembre 1995 n.9506).
Come si è chiarito in queste ultime decisioni (v. in
particolare la sentenza n.2186/1991), le operazioni di ripartizione dell'attivo liquidato, in via ordinaria e generale concernono i crediti "ammessi al passivo" (art.111, primo comma nn.2 e 3 l.fall.), poiché lo accertamento dei crediti è condizione per l'assunzione, da parte dei creditori, della qualità di parti formali e sostanziali del procedimento con la corrispondente attribuzione di poteri e facoltà. Solo con l'ammissione al passivo i creditori passano da una posizione generale di concorsualità ad una posizione di conreta concorrenza in base alla quale divengono diretti destinatari dei risultati del processo fallimentare in senso giuridico ed economico, con diritto al voto in sede di concordato fallimentare (art.127, 1^ comma l. fall.).
Dalla sistematica della legge fallimentare si desume che le ipotesi di accantonamento di somme, in quanto introducono deroghe ai principi generali che reggono l'unitario procedimento di accertamento dei crediti regolato dagli artt. da 92 a 97 l. fall., hanno il carattere dell'eccezionalità e, quindi, della tassatività, con esclusione di possibilità di interpretazione analogica. Tutti i crediti per i quali l'accantonamento è previsto dall'art.113 l.fall. (salva l'ipotesi di cui al n.1 della stessa norma) sono già stati oggetto di verifica con una valutazione preventiva del giudice delegato o del tribunale nell'ipotesi di ammissione provvisoria del credito prevista dall'art.99, terzo comma della l.fall.; la disposizione contenuta nel n.2 dell'art.113 non è una norma in bianco, ma trova precise enunciazioni normative nell'art.110, terzo comma l.fall. e nell'art.102, quarto comma della stessa legge ed è applicabile ai creditori ammessi con riserva di presentazione del titolo che abbiano proposto opposizione. È vero che, ai sensi dell'art.113 n.1 l.fall., deve essere disposto l'accantonamento a favore di creditori non ammessi (quelli residenti all'estero per i quali non sia scaduto il termine per l'insinuazione tempestiva) . Ma per tali creditori l'accantonamento ha una ragione specifica espressa nella limitazione che il progetto di riparto avvenga prima della scadenza del termine prorogato dal giudice delegato di presentazione della domanda di ammissione al passivo ex art.92, 2^ comma l.fall.. Del resto tale accantonamento non è previsto per l'ipotesi di ripartizione finale dell'attivo nella quale l'accantonamento di somme è previsto esclusivamente (art.117 in relazione all'art.113 n.3 l.fall.) a favore dei creditori ammessi con riserva del verificarsi di condizione sospensiva; ipotesi nella quale potrebbe ricomprendersi quella - non ricorrente però nella specie - di ammissione provvisoria al passivo, ex art.99, terzo comma l.fall., del credito in contestazione nel giudizio di opposizione allo stato passivo.
I ritmi estremamente solleciti che il legislatore impone all'ufficio fallimentare unicamente con riferimento alla definitività dello stato passivo (che costituisce il momento di decorrenza della cadenza bimestrale dei progetti di riparto) e non alla definitività degli accertamenti di tutti i crediti concorsuali, costituiscono una forma di tutela essenziale delle posizioni dei creditori concorrenti le quali postulano una valutazione preventiva favorevole delle ragioni di credito da parte del giudice. In definitiva, ribadendosi il più recente indirizzo della giurisprudenza di questa corte basato su considerazioni che non sono scalfite dai rilievi critici mossi dalla banca ricorrente, deve affermarsi che il creditore non ammesso al passivo non ha diritto ad accantonamenti in sede di ripartizione finale dell'attivo, con la conseguenza che la chiusura del fallimento ex art.118 n.3 l.fall. deve essere disposta senza la previsione di accantonamenti diversi da quelli previsti dall'art.117 in relazione all'art.113 n.3 l.fall.. Nè il dubbio di illegittimità costituzionale degli artt. 117 e 118 l.fall., per contrasto con l'art.24 Cost., prospettato dalla banca ricorrente supera la soglia della non manifesta infondatezza. Tali norme non pregiudicano il diritto alla difesa
dell'opponente allo stato passivo a far valere il proprio diritto in contraddittorio col curatore del fallimento e ad ottenere l'ammissione provvisoria del credito al passivo ai sensi dell'art.99, terzo comma l.fall., ne' appare irragionevole la scelta operata dal legislatore, nel conflitto tra interessi dei creditori ammessi e di quelli non ammessi, di rendere prioritaria la tutela dei primi in considerazione della loro posizione di creditori concorrenti derivante dal provvedimento di ammissione al passivo. La ritenuta insussistenza di un diritto dei creditori non ammessi al passivo del fallimento ad ottenere accantonamenti di somme a garanzia dei propri crediti in contestazione, con la conseguente legittimità della chiusura del fallimento in mancanza di tali accantonamenti comporta il rigetto dei ricorsi, rendendo inutile l'esame degli altri profili di censura ed in particolare di quelli contenuti nel ricorso contro il provvedimento del tribunale di Trieste.
Ai sensi dell'art.92 c.p.c. si ritiene di compensare interamente tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 1997
Depositato in Cancelleria il 27 aprile 1998