Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1354 - pubb. 25/10/2008

Deposito delle liquidità della procedura, prelievi abusivi e responsabilità della banca

Tribunale Lecce, 01 Ottobre 2008. Est. Positano.


Fallimento – Rapporto di deposito delle liquidità della procedura – Onere della banca di pretendere il deposito delle firme del giudice delegato e del cancelliere – Sussistenza – Responsabilità della banca per la sottrazione abusiva di somme – Sussistenza.

Contratti bancari – Deposito – Obbligo del depositante di predisporre gli accorgimenti per l’esecuzione del contratto – Dovere di verifica della provenienza del documento di pagamento – Sussistenza.



Nel caso in cui l’istituto di credito, depositario delle somme della curatela ex art. 34 LF, consenta il ritiro delle somme da parte del curatore apparentemente munito di mandato di pagamento firmato dal giudice delegato e dal cancelliere senza pretendere preventivamente il deposito delle firme del giudice delegato e del cancelliere (soggetti entrambi che sottoscrivono il mandato di pagamento), la responsabilità per la sottrazione abusiva del denaro ricade sulla banca, oltre che sul curatore che ha materialmente eseguito le illegittime operazioni. La curatela che agisce per l'adempimento ha l’onere di provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, limitandosi alla allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa. (Gabriele Positano) (riproduzione riservata)

Nell'ambito del contratto di deposito bancario il soggetto tenuto a predisporre gli accorgimenti relativi alla esecuzione del contratto è il depositario e non il depositante. Il dovere di verifica della provenienza del documento di pagamento costituisce una prestazione generale che grava sul depositario in tema di depositi bancari e rapporto di conto corrente. (Gabriele Positano) (riproduzione riservata)



 

Sentenza ex art. 281 sexies c.p.c.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Tribunale di Lecce, in persona del Giudice Unico, Dr. Gabriele POSITANO, ha emesso la seguente sentenza nel giudizio n. 1098 del 2001 vertente tra:

Curatela del fallimento *** A.V., in persona dell’avv *** Giuseppe, difeso dall’Avv. C.S.

*** M.A., difesa dall'avvocato Concetta Napoli

 

S.p.A. Banca ***, difesa dall'avvocato Pasquale Corleto

All’udienza odierna la causa è stata oralmente discussa e decisa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c.

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione notificato il 25 maggio 2001 il curatore della fallimento *** A.V. ha esposto che con sentenza del Tribunale di Lecce del 27 marzo 1984 era stato dichiarato il fallimento, designando quale curatore, l'avvocato *** che aveva svolto le funzioni di curatore sino alla data del decesso, avvenuto il 7 giugno 1998. Successivamente, era stato nominato quale curatore del fallimento l'avvocato Giuseppe ***. Ha precisato che a seguito di verifiche del fascicolo della procedura fallimentare è risultato il prelievo di somme per Lit 802.676.000 in conseguenza di sei operazioni registrate sul libretto di deposito, ma non autorizzate dal giudice delegato. Si è trattato di prelievi eseguiti sulla base di ordinativi di pagamento contraffatti, con firma apocrifa, e con manomissioni del testo del documento e mancanza del timbro del tribunale. Da ciò si evince che il defunto avvocato *** ha commesso, nell'incassare le somme in questione, una serie di reati mediante falsificazione o creazione di ordinativi di pagamento con conseguente falsificazione di firme. Inoltre, è evidente che la Banca * ha effettuato i pagamenti con estrema disinvoltura non curandosi di verificare che gli ordinativi fossero stati effettivamente sottoscritti dal magistrato e che il prelievo fosse stato autorizzato. Ricorre, altresì, secondo la curatela, la responsabilità degli eredi del professionista, atteso che con la morte di questi si è estinta solo la sua responsabilità penale. Ciò premesso ha evocato in giudizio la S.p.A. Banca *, nonchè *** M.A., in proprio e quale legale rappresentante dei minori *** F. e F., che hanno accettato la eredità con beneficio d'inventario, per sentirli condannare a corrispondere la somma di Lit 802.000.676 oltre interessi, il maggior danno ai sensi dell'articolo 1224, secondo comma c.c. e le spese di lite.

Costituitosi l'istituto di credito ha preso atto che la parte attrice ha fatto valere una responsabilità contrattuale della banca, ritenuta responsabile di una condotta non diligente e della violazione di precise norme negoziali. Ha dedotto che il rapporto contrattuale è riferito al libretto di risparmio libero, nominativo, intestato al curatore per cui il prelievo è sottoposto a due condizioni: l'ordinativo di pagamento deve provenire dal giudice delegato ed essere sottoscritto di proprio pugno, va predisposto con specifiche formalità da parte della cancelleria fallimentare e, in secondo luogo, solo il curatore può dare esecuzione all'ordine del giudice delegato. Il cassiere deve adoperare con la diligenza del bonus argentarius e cioè verificare la rispondenza della firma del curatore con quella depositata sullo specimen. Tale profilo non ricorre nel caso di specie, perché le irregolarità riguardano la contraffazione della firma del giudice delegato, la firma del cancelliere e le date di emissione. Al cassiere non è consentito accertarsi che la firma corrisponda a quella del magistrato poiché presso la banca non esiste la firma depositata del giudice. In secondo luogo il cassiere non potrebbe verificare se il prelievo è stato autorizzato dal magistrato. Quanto alla costituzione del titolo per il pagamento, viene addebitato alla banca che gli ordinativi del 21 dicembre 1990 e 26 giugno 1991 sono privi della indicazione del numero di registro fallimentare, sono dattiloscritti, ad eccezione della data di emissione, le firme del magistrato e del cancelliere sono visibilmente contraffatte, il documento è privo di timbro atto ad identificare i firmatari. Rispetto a tali rilievi la banca ha dedotto che si tratta di circostanze la cui verifica non compete al cassiere. Ha precisato che la circolare del 28 novembre 1942 emanata con riferimento all'articolo 34 della legge fallimentare, prevede che il giudice delegato quando emette mandato di pagamento deve, per il tramite del cancelliere, dare comunicazione a mezzo lettera raccomandata all'istituto di credito. Inoltre, il giudice delegato ed il cancelliere devono depositare le proprie firme presso l'istituto di credito dove è stato eseguito il deposito delle somme. Tali raccomandazioni non risultano essere state osservate. Ha concluso per il rigetto della domanda e ha proposto domanda di rivalsa ai sensi dell'articolo 2033 c.c. nei confronti dell'altra convenuta per tutte le somme che fosse tenuta a pagare a seguito di sentenza di condanna.

Con una separato atto, si è costituita *** M.A., quale erede e legale rappresentante dei minori, facendo presente di avere accettato l'eredità con beneficio d'inventario il 3 agosto 1998 e di non conoscere i fatti di causa.

Ha genericamente contestato di addebiti.

La causa è stata istruita con il deposito della documentazione ritenuta opportuna dalle parti e con la acquisizione del fascicolo della procedura fallimentare in oggetto e dei documenti in possesso della Banca * relativi ai mandati di pagamento emessi in favore del curatore.

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Dalle risultanze processuali emerge pacificamente che i sei prelievi oggetto di causa sono stati effettuati nelle date indicate con la presentazione da parte del curatore dei documenti indicati in citazione e per tali pagamenti non sono mai stati emessi mandati di pagamento o ordini di pagamento. Infatti, la produzione dell'intero fascicolo fallimentare e la sua acquisizione al giudizio ha evidenziato che gli ordini di prelevamento allegati al fascicolo dell'attore non sono stati predisposti dal cancelliere e dal giudice delegato.

La documentazione esibita dalle parti dimostra che le somme in questione sono state prelevate indebitamente dal curatore dell'epoca, avvocato L.***, con conseguente responsabilità risarcitoria di quest'ultimo e dei suoi eredi.

L'incarico di curatore, infatti, va equiparato ad un contratto di mandato che va conseguentemente adempiuto con la diligenza del buon padre di famiglia, cosicché nel giudizio di responsabilità, ai sensi dell'art. 38 l. fall. - R.D. n. 267/1942, il nuovo curatore deve provare l'inadempimento, da parte del curatore revocato, di un obbligo di legge, il pregiudizio del patrimonio fallimentare e il nesso causale fra la condotta e il danno, presumendosi, invece, la colpa "iuris tantum" ai sensi dell'art. 1218 c.c. (Trib. Milano, 13/06/2006). L'attore ha fornito la prova documentale di tali elementi.

Infatti, è stato prodotto in giudizio il fascicolo del fallimento dal quale emerge che i mandati di pagamento sono stati riscossi dal curatore e la sottoscrizione di questo in calce ai documenti di incasso, prodotti dalla Banca commerciale, non è stata disconosciuta dagli eredi.

Con riferimento alla posizione della banca è pacifico che ricorre un rapporto contrattuale di deposito di somme di danaro, con emissione di un libretto nominativo, nel quale la banca depositaria ha l'obbligo di accertare la legittimazione del soggetto che effettua le operazioni di prelievo. In particolare, il prelievo delle somme è sottoposto alla condizione che l'ordinativo di pagamento deve provenire dal giudice delegato a mezzo di un provvedimento sottoscritto di proprio pugno e che va sottoposto a precise formalità da parte della cancelleria. Conseguentemente l'istituto di credito, per il tramite del proprio dipendente, deve verificare la rispondenza della copia conforme del mandato di pagamento del giudice delegato, che gli viene sottoposta, ai requisiti previsti dalla legge.

Trattandosi di azione contrattuale nella quale si deduce l'inadempimento è opportuno definire correttamente in che misura va ripartito l'onere probatorio.

Come è noto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affrontato la questione precisando che in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (Cass. civ., Sez. Unite, 30/10/2001, n. 13533).

Eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento o il risarcimento del danno, si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., risultando in tal caso invertiti i ruoli delle parti, in quanto il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione.

Per stabilire l'onere della prova occorre distinguere se è eccepito l'integrale inadempimento da parte dell'attore e cioè l'"exceptio inadimpleti contractus", in questo caso l’attore ha l'onere di provare di avere esattamente adempiuto; se, invece, il convenuto si limiti ad eccepire un inadempimento soltanto parziale, l'"exceptio non rite adimpleti contractus", grava sull'eccepiente stesso l'onere di dimostrare l'inesattezza dell'altrui adempimento. Tale specifico riparto probatorio rimane immutato anche a seguito della pronuncia delle Sezioni unite della Cassazione del 30 ottobre 2001, n. 13533, alla stregua della sua coerenza con il principio di riferibilità o di vicinanza della prova che regge le conclusioni delle Sezioni unite in tema di oneri probatori, in generale, sia che si agisca per l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno. Spetta al debitore provare i fatti estintivi o modificativi della pretesa azionata dal creditore (Cass. S.U. sent. n. 13533/01 - Trib. Genova, Sez. VI, 14/11/2006).

Nel caso di specie l'attore ha allegato l'inadempimento dell'istituto di credito poiché lo stesso non ha osservato la disciplina prevista all'articolo 34 LF, e la banca ha eccepito un parziale inadempimento rispetto all'onere previsto nella disciplina regolamentare (circolare 2775 del Ministero di Grazia e Giustizia del 28 novembre 1942) che prevede una serie di adempimenti a carico –secondo la banca- anche della curatela e del giudice delegato.

La circostanza non è stata contestata dalla parte attrice.

Orbene, sulla base di tali elementi occorre verificare se vi è stato inadempimento e, quindi, sulla base dell'onere probatorio stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione accertare se l'istituto di credito ha dimostrato di avere esattamente adempiuto e se l’exceptio non rite adimpleti contractus è rilevante ai fini della decisione.

L'articolo 34 della legge fallimentare prevede che il deposito "non può essere ritirato che in base a mandato di pagamento del giudice delegato”, questo significa che l'istituto di credito deve essere posto nelle condizioni di verificare direttamente che l'ordine di prelievo provenga effettivamente dal giudice delegato, astenendosi dall'effettuare il pagamento richiesto nei casi in cui tale verifica non sia udibile. La disciplina normativa, come rilevato dalla stessa banca, è stata da tempo integrata dal punto di vista regolamentare dalla circolare del Ministero di Grazia e Giustizia del 28 novembre 1942, la quale prevede che il giudice delegato al fallimento e il cancelliere devono depositare le proprie firme presso l'ufficio postale o l'istituto di credito dove è stato eseguito il deposito delle somme.

La circolare prevede anche altri adempimenti che nel caso di specie non sono rilevanti: "allorché il giudice delegato emette mandato di pagamento il cancelliere dà comunicazione a mezzo lettera raccomandata contenente gli estremi del mandato ed il visto dello stesso giudice delegato... all'istituto di credito presso cui le somme sono state depositate, sia alla parte a cui favore il mandato è stato emesso; l'intestatario del mandato di pagamento deve presentare... all'istituto di credito la lettera raccomandata per il ritiro della somma". Tali ultimi adempimenti, non rilevano ai fini della presente decisione (per ciò che riguarda la posizione dell’attore), essendo pacifico che il giudice delegato non ha emesso mandati di pagamento, pertanto non andava eseguita la comunicazione a mezzo di lettera raccomandata.

Rilevano, invece, per quanto si dirà, per valutare la condotta della convenuta.

La precedente disposizione, invece, rileva poiché è evidente che nell'ambito del contratto di deposito bancario il soggetto tenuto a predisporre gli accorgimenti relativi alla esecuzione del contratto è il depositario e non il depositante. La banca, infatti, ha a propria disposizione una struttura organizzativa, di mezzi e persone, specificamente deputata alla esecuzione di tali adempimenti per la realizzare delle obbligazioni previste nel contratto, che hanno natura strumentale e complementare rispetto all'obbligo di custodia e restituzione del denaro affidatole. È evidente, pertanto, che le indicazioni contenute nella circolare del Ministero riguardano principalmente il ruolo dell’istituto di credito il quale, al fine di realizzare il disposto dell'articolo 34, e cioè consentire il ritiro delle somme di denaro esclusivamente sulla base di un mandato di pagamento effettivamente proveniente dal giudice delegato, deve predisporre gli accorgimenti previsti nella predetta circolare. Per tale motivo è previsto il deposito delle firme del giudice delegato e del cancelliere (soggetti entrambi che sottoscrivono il mandato di pagamento) e l'ulteriore adempimento della comunicazione a mezzo raccomandata inviata all'istituto di credito che consente, poi, all'intestatario del mandato (curatore del fallimento) di presentarsi presso l'istituto di credito con tale lettera raccomandata (oltre che il mandato) per il ritiro della somma. Si tratta di una fattispecie complessa che richiede che il documento (mandato di pagamento) sia predisposto e completato in tutte le sue parti, firmato dal giudice delegato e dal cancelliere, richiede l'invio della comunicazione a mezzo di lettera raccomandata, la presenza del intestatario del mandato e la disponibilità della lettera raccomandata per il ritiro della somma. Infine, l’istituto di credito darà comunicazione al Tribunale di ciascuna operazione di ritiro di somme.

Va osservato che sulla base della legge, la banca ha assunto il dovere, nei confronti di un depositante qualificato (curatela fallimentare), di verificare che la sottoscrizione provenga effettivamente dalla persona del giudice delegato, poiché questo è il significato da attribuire alla disposizione dell'articolo 34 della legge fallimentare, che prevede che il deposito non può essere ritirato che in base a mandato di pagamento del giudice delegato. E tale è il significato da attribuire alla disposizione poiché il dovere di verifica della provenienza del documento di pagamento costituisce una prestazione generale che grava sul depositario in tema di depositi bancari e rapporto di conto corrente; tanto che la giurisprudenza valuta la diligenza della banca sulla base proprio di tale operazione, richiedendo che venga sempre espletato un esame attento tra la sottoscrizione del documento (ad esempio assegno o altro) e la firma depositata presso l'istituto di credito. Se questo è l’oggetto della obbligazione che per legge grava sulla banca e se tale disciplina è stata integrata, sin dal 1942, con una circolare ministeriale che definisce le peculiarità di tale forma di deposito è evidente che la banca non ha realizzato tutte le attività strumentali necessarie a garantire che la legittimazione dell'effettivo titolare del diritto e cioè non ha esercitato il potere-dovere di controllo sulla legittimazione del presentatore e sulla sussistenza dei presupposti per il valido esercizio della pretesa (Cassazione 4389 del 3 maggio 1999). In sostanza, la banca pur essendo legittimata dalla circolare ministeriale e pur avendo uno specifico obbligo di legge che si aggiunge all’obbligo negoziale (che, peraltro, la banca osserva nei rapporti di conto corrente o nei depositi con libretto nominativo) di verificare la apparente provenienza del documento cartaceo dalla persona fisica del giudice delegato, ha assunto egualmente l'incarico senza espletare tali adempimenti, posti a garanzia della corretta esecuzione del contratto: il deposito delle firme del cancelliere e del giudice delegato al fine di verificare, con un esame attento, benché a vista, le eventuali difformità delle sottoscrizioni (Cassazione 12.761 del 1993, per il caso di conto corrente); non ha preteso che il curatore fallimentare, quale intestatario del mandato di pagamento, si presenti presso l'istituto di credito con la lettera raccomandata per il ritiro della somma; non ha provveduto a dare comunicazione alla Cancelleria dell'ufficio fallimentare di ciascuna operazione di ritiro di somme (il che avrebbe interrotto le indebite sottrazioni di denaro). È evidente che con tale condotta l'istituto di credito ha fatto propria l'alea del contratto di deposito e cioè la possibilità che non vi sia una effettiva corrispondenza tra l'ordine apparentemente contenuto nel documento cartaceo ed il reale provvedimento del giudice delegato (nel caso di specie, inesistente).

Al contrario alla banca avrebbe dovuto adempiere puntualmente alle sue obbligazioni, rifiutando il pagamento in difetto di impossibilità di verificare quanto richiesto dalla legge, all'articolo 34 della LF, e dall’amministrazione della giustizia, attraverso la circolare citata.

Diversamente operando, la banca ha accettato il rischio di eseguire operazioni al di fuori dei parametri di cautela e quindi di diligenza richiesti dalla natura del contratto.

Non possono essere tratte valutazioni dalle caratteristiche dell'ordinativo di pagamento del 21 dicembre 2001, poiché tale produzione è avvenuta tardivamente oltre i termini previsti dall'articolo 184 c.p.c.

Analogamente non può essere presa in esame in questa sede l’eccezione di prescrizione decennale contenuta nella comparsa conclusionale della banca poiché la stessa è stata formulata oltre il termine dei 20 giorni precedenti l'udienza di trattazione.

In conclusione, come richiesto dalle Sezioni Unite della Cassazione, la curatela che ha agito per l'adempimento ha provato la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, limitandosi alla allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, non ha dimostrato di avere correttamente adempiuto. Il nuovo assetto della distribuzione dell'onere probatorio regolamentato dal Supremo Collegio impone di far ricadere sul convenuto ogni conseguenza connessa alla non esatta esecuzione del contratto.

Deve trovare accoglimento anche la richiesta del maggior danno per il ritardo nel pagamento delle somme poiché l'obbligo del curatore di depositare presso un ufficio postale o istituto di credito le somme riscosse durante la procedura fallimentare (art. 34 l.fall.) giustifica, con riguardo al ritardato pagamento dei debiti pecuniari nei confronti della massa, il riconoscimento, in via presuntiva, a titolo di maggior danno (art. 1224, 2° comma, c.c.) della sola differenza tra l'interesse praticato sui depositi e il minor interesse legale (Cass. civ., Sez. I, 06/11/1993, n.11013).

Va accolta anche la domanda di rivalsa formulata dalla Banca ai sensi dell'articolo 2033 c.c. nei confronti della convenuta *** M.A., nella qualità di erede del curatore fallimentare e legale rappresentante esercente la potestà sui figli minori che hanno accettato con beneficio d'inventario.

In considerazione della particolarità della vicenda, del mutato orientamento della giurisprudenza in tema di responsabilità contrattuale con riferimento all'onere della prova, ricorrono giusti motivi per compensare nella misura del 50% le spese di lite nei rapporti tra l'attore è l'istituto di credito, mentre vanno poste interamente a carico della convenuta *** quelle sostenute sia dall'attore che dalla banca.

PTM

accoglie per quanto di ragione le domande proposte dall'attore e condanna i convenuti (quanto agli eredi di *** L., nei limiti dell'attivo ereditario) a corrispondere alla Curatela del Fallimento A.V. la somma di euro 414.547,56 (pari a Lit 802.676.000) oltre interessi dei singoli prelevamenti e al risarcimento del maggior danno per il ritardo nel pagamento ai sensi dell'articolo 1224 s comma c.c.;

Condanna la S.p.A. * (banca, ndr) al pagamento della metà delle spese di lite sostenute dall'attore che, già decurtate di 1/2 si liquidano in euro 315 per spese, € 900 per diritti ed € 3500 per onorario di Avvocato, oltre accessori di legge se dovuti;

Condanna *** M.A., nella qualità in atti, al pagamento delle spese di lite sostenute dall'attore per il presente giudizio che si liquidano in € 630 per spese, € 1800 per diritti ed € 7.000 per onorario, oltre accessori di legge se dovuti;

Accoglie la domanda di rivalsa proposta dalla Banca nei confronti di *** M.A. (quanto agli eredi di *** L., nei limiti dell'attivo ereditario) che condanna, nella qualità in atti, a corrispondere all'istituto di credito tutte le somme che questa è tenuta a pagare in conseguenza della presente sentenza di condanna;

Condanna *** M.A., nella qualità in atti, al pagamento delle spese di lite sostenute dalla banca per il presente giudizio che si liquidano in € 437 per spese, € 1720 per diritti ed € 6.420 per onorario di Avvocato oltre accessori di legge se dovuti.

Sentenza letta in udienza ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c.

Il Giudice Unico

Dr. Gabriele Positano


Testo Integrale