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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1285 - pubb. 12/07/2008.

Gruppi di imprese e responsabilità degli organi delle controllate


Tribunale di Biella, 17 Novembre 2006. Est. Eleonora Reggiani.

Gruppi di società – Definizione – Disegno unitario imposto dalla capogruppo – Distinta soggettività giuridica e formale indipendenza giuridica delle società del gruppo.

Gruppi di società – Potere di direzione e coordinamento della capogruppo – Fonte.

Gruppi di società – Adozione delle direttive impartite dalla capogruppo – Responsabilità degli amministratori delle società controllate – Sussistenza – Onere di motivazione – Giustificazione.


Il gruppo di società consiste in un’aggregazione di imprese formalmente autonome e indipendenti l’una dall’altra ma assoggettate tutte ad una direzione unitaria. Tutte sono sotto l’influenza dominante di un’unica società (la capogruppo) che direttamente o indirettamente controlla e dirige, secondo un disegno unitario, la loro attività d’impresa per il perseguimento di uno scopo unitario e comune a tutte le società del gruppo (cd. interesse di gruppo). In altre parole, nei gruppi, ad un’unica impresa sotto il profilo economico corrispondono più imprese sotto il profilo giuridico, restando fermo nel nostro ordinamento il principio cardine della distinta soggettività e della formale indipendenza giuridica delle società del gruppo. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Nell’ambito del gruppo di società, il generale potere di direzione e coordinamento della capogruppo nei confronti delle società controllate esiste per il solo fatto dell’esistenza del gruppo e dei poteri che di fatto la capogruppo esercita e quindi indipendentemente da eventuali previsioni contenute negli statuti o regolamenti. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Nel gruppo di società, gli amministratori delle società controllate che si adeguano alle disposizioni impartite dalla capogruppo sono comunque tenuti al controllo dei parametri di legalità delle decisioni assunte e sono personalmente responsabili delle loro decisioni nei confronti dei soci della società amministrata. A conferma di tale impostazione, depone anche l’obbligo di motivazione imposto dall’art. 2497 ter cod. civ. per le decisioni adottate dalle società soggette ad attività di direzione e coordinamento quando sono da questa influenzate, decisioni che devono essere analiticamente motivate e devono recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

 

r.g. 823/05

omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, gli attori, componenti del consiglio di amministrazione della Cassa di Risparmio di X s.p.a. (di seguito B.), e l’interveniente Fondazione Y (di seguito Fondazione), socia di minoranza della B., convenivano in giudizio quest’ultima, chiedendo l’annullamento della delibera del consiglio di amministrazione, assunta in data 11.01.05, che aveva approvato il regolamento del gruppo, esponendo quanto segue: all’art. 4 comma 6 dello statuto vigente della B. era previsto che, facendo quest’ultima parte del gruppo bancario denominato “Gruppo I.”, essa era tenuta all’osservanza delle disposizioni della capogruppo, emanate “per l’esecuzione delle istruzioni impartite dalla Banca d’Italia”; all’art. 15 dello stesso statuto era previsto che alcune delle deliberazioni dell’assemblea straordinaria dei soci, tra cui quelle aventi ad oggetto le modifiche all’art. 4 dello statuto, avrebbero dovuto essere approvate con la maggioranza qualificata dell’81%; il testo dell’art. 4 comma 6 dello statuto, al momento dell’approvazione, era stato oggetto di discussione tra i soci, perché la capogruppo voleva che la B. fosse tenuta all’osservanza delle disposizioni della capogruppo, emanate anche per l’esecuzione delle istruzioni impartite dalla Banca d’Italia”, mentre i rappresentanti delle due fondazioni non intendevano accettare che la capogruppo desse disposizioni vincolanti anche in materia diversa da quella funzionale all’esecuzione delle disposizioni della Banca d’Italia; sulla congiunzione copulativa “anche” si era sviluppata la discussione, finché la capogruppo non aveva accettato la formulazione voluta dagli altri soci; la stessa questione si era riproposta in sede di approvazione del regolamento di gruppo nel 2001 e per questo il regolamento non era stato portato alla discussione del consiglio di amministrazione; nell’estate del 2004 veniva presentato il nuovo regolamento di gruppo, che, nonostante i dissensi e i pareri contrari, veniva approvato in data 11.01.05; il regolamento di gruppo approvato recava all’art. 2 comma 3 una clausola nella quale compariva la sopra menzionata congiunzione “anche”, con l’aggiunta di una frase rafforzativa della tassatività dell’obbligo delle società del gruppo di attenersi alle disposizioni della capogruppo, e inoltre conteneva una dettagliata enunciazione, esemplificativa e non esaustiva, dei poteri gerarchici riconosciuti alla capogruppo; gli attori avevano votato contro l’approvazione di tale regolamento.

Gli attori, con l’intervento adesivo della Fondazione, impugnavano pertanto la delibera del consiglio di amministrazione della B., con la quale era stato approvato il regolamento del gruppo, prospettando i seguenti motivi di illegittimità:

1)  violazione dello statuto

Il regolamento di gruppo, introducendo la congiunzione “anche” stravolgeva l’originario significato dell’art. 4 comma 6 dello statuto, violando l’art. 15 dello statuto, che prevedeva che ogni modifica al sopra menzionato articolo 4 avrebbe dovuto essere approvato non dal consiglio di amministrazione ma dall’assemblea straordinaria dei soci, peraltro con una maggioranza qualificata.

2)  violazione del testo unico bancario (TUB)

Il regolamento era stato approvato in violazione dell’art. 61 comma 4 TUB (contenente una disposizione identica a quella prevista all’art. 4 comma 6 dello statuto B.), che limitava il potere di indirizzo della capogruppo alla presenza di istruzioni della Banca d’Italia (limite oggettivo) e alla necessità di dare attuazione a quelle istruzioni che servivano a garantire la stabilità del gruppo (limite funzionale), mentre invece il regolamento prevedeva un potere di direzione più ampio e per fini anche diversi.

3)  violazione del codice civile

Anche ammettendo un potere di direzione e coordinamento più ampio rispetto a quello disciplinato dallo statuto e dal TUB, tale potere doveva comunque essere esercitato nel rispetto della disciplina codicistica in tema di poteri e di responsabilità degli amministratori di società di capitali. Il regolamento violava pertanto il disposto dell’art. 2380 bis c.c., il quale stabilisce che la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori (tant’è che questi ultimi, in applicazione dell’art. 2364 coma 1 n. 5 c.c., non possono essere esentati da responsabilità verso i creditori sociali per il solo fatto che hanno agito in base a direttive dell’assemblea), mentre invece il regolamento ridisegnava i rapporti tra il consiglio di amministrazione e la capogruppo, socio di maggioranza, secondo un legame di rigida subordinazione gerarchica, che prevedeva il recepimento passivo di direttive provenienti da un organo esterno.

Con comparsa ritualmente notificata, si costituiva in giudizio la convenuta, contestando in toto le domande avversarie e chiedendone il rigetto. In particolare deduceva che: Banca I. era controllante di B. in virtù della partecipazione di maggioranza assoluta da essa posseduta; in virtù del suddetto potere di controllo, Banca I. non solo esplicava il suo potere di indirizzo e di coordinamento attraverso il diritto reale, consistente nella proprietà della maggioranza del capitale e nel conseguente diritto di nominare la maggioranza dei componenti del consiglio di amministrazione, ma anche assumeva la responsabilità per l'attività di direzione e coordinamento compiute, come pure si ricava dalle nuove disposizioni contenute agli artt. 2497 e seguenti c.c.; con specifico riferimento al suo ruolo di capogruppo di un gruppo bancario, Banca I. era anzi obbligata ad assicurare la corretta esecuzione delle istruzioni impartite dalla Banca d'Italia ai sensi dell'art. 61 n. 4 TUB e delle correlate istruzioni di vigilanza; in forza di tali Istruzioni, la capogruppo doveva ritenersi obbligata ad effettuare un controllo di merito sulla gestione delle singole società appartenenti al gruppo; il regolamento approvato era pertanto espressione, non solo delle facoltà spettanti al socio di controllo, ma anche, ed assai più significativamente, degli obblighi imposti dalla normativa vigente per assicurare un'armoniosa e corretta gestione del gruppo bancario.

In ordine agli specifici motivi posti a fondamento dell’opposizione, deduceva inoltre:

ad 1) violazione dello statuto

Non poteva ritenersi che il regolamento di gruppo approvato fosse in contrasto con l’art. 4 dello statuto, perché tale disposizione non vietava che i rapporti con la capogruppo potessero essere regolati in modo più incisivo e penetrante. Lo statuto della società appartenente al gruppo e il regolamento di gruppo operavano su piani diversi, contenendo il primo l’ordinamento interno della società e il secondo la regolamentazione dei rapporti all’interno del gruppo, sicché il regolamento in sé non poteva ritenersi illegittimo, dovendo semmai tale verifica essere compiuta con riguardo al contenuto concreto delle singole direttive, da impartirsi in armonia con i principi stabiliti dall’art. 2497 c.c.

Ad 2) la violazione del Testo Unico Bancario

Il disposto dell’art. 61 TUB non costituiva un limite al potere-dovere di direzione e controllo della capogruppo, tenuto conto che le disposizioni contenute nel TUB e nelle correlate istruzioni di vigilanza, ancor prima della riforma del codice civile, avevano già riconosciuto in caso di gruppo bancario un disegno imprenditoriale unitario, tant’è che l’art. 67 TUB, in caso di inerzia della capogruppo, consentiva alla Banca d’Italia di impartire alla capogruppo istruzioni riguardanti le controllate, in settori elencati solo a titolo esemplificativo (in materia di assetti patrimoniali, di contenimento dei rischi, di partecipazioni detenibili e di organizzazione amministrativa e contabile oltre che di controlli interni), così presupponendo la spettanza di tale potere in via primaria in capo alla capogruppo stessa. Il regolamento di gruppo, così come formulato, non era espressione di sole facoltà della capogruppo, ma di obblighi ad essa imposti dalla normativa vigente, essendo di fatto responsabile dell’assetto patrimoniale della controllata, tant’è che poteva essere sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa, ove si rendesse inadempiente a quanto previsto all’art. 61 n. 4 TUB.

Ad 3) la violazione del codice civile

La vera questione non riguardava l’introduzione del regolamento di gruppo, ma la concreta applicazione del regolamento stesso. Il potere-dovere di influenzare e dirigere la gestione costituiva infatti l’ovvio bilanciamento della responsabilità presunta della capogruppo esistente per il solo fatto che detiene la posizione di controllo (art. 2497 e s. c.c. e 61 n. 4 TUB), ma le disposizioni della capogruppo non hanno nessuna efficacia diretta nella sfera della controllata, assumendo rilevanza ed efficacia solo quando gli amministratori le assumono, essendo questi ultimi comunque tenuti a darvi esecuzione in tanto in quanto legittime e scegliendo liberamente le modalità di applicazione.

A seguito di notificazione dell’istanza di fissazione di udienza, veniva emesso decreto ex art. 12 d.l.vo 5/03.

Depositate memorie conclusionali, all’udienza collegiale le parti procedevano alla discussione orale della causa, all’esito della quale, in applicazione dell’art. 16 comma 5 seconda parte d.l.vo 5/03, veniva depositata la seguente sentenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Le istanze istruttorie

Deve essere integralmente richiamato il decreto ex art. 12 d.l.vo 5/03, nella parte in cui ha rigettato in quanto superflue le richieste istruttorie tutte, tenuto conto delle rispettive allegazioni delle parti e in particolare della mancata contestazione di quanto oggetto di prova.

Le previsioni del regolamento di gruppo contestate

Il regolamento di gruppo, approvato con la deliberazione del consiglio di amministrazione impugnata, contiene all'art. 2 comma 3 una clausola del seguente tenore: "In conformità con le vigenti previsioni normative, Banca I., in qualità di Capogruppo del Gruppo Bancario I., emana, nell'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento, disposizioni alle componenti del Gruppo, anche per l'esecuzione delle istruzioni impartite da Banca d'Italia. Le società del Gruppo sono tenute ad osservare le predette disposizioni " (doc. 14 fasc. att.).

Nel regolamento si trovano dettagliate enunciazioni esemplificative di tali poteri riconosciuti alla capogruppo nei confronti delle società.

La dedotta violazione dello statuto

Gli attori e l’intervenuta hanno in primo luogo allegato che il recepimento del regolamento di gruppo, contenente la disposizione supra riportata, è in contrasto con gli artt. 4 e 15 dello statuto B..

All’art. 4 commi 5 e 6 di tale statuto si legge: “La Società fa parte del gruppo bancario ‘Gruppo Banca I.’ (o in forma abbreviata ‘Gruppo I.’) inscritto all’Albo dei Gruppi Bancari presso la Banca d’Italia. In tale qualità è tenuta all’osservanza delle disposizioni che la Capogruppo, nell'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento, emana per l'esecuzione delle istruzioni impartite da Banca d'Italia nell’interesse della stabilità del Gruppo. Gli Amministratori della società forniscono alla Capogruppo ogni dato e informazione per l’emanazione delle disposizioni.”

Al successivo art. 15 comma 2 dello stesso statuto si legge: “…l’Assemblea straordinaria delibera validamente in qualunque convocazione con il voto favorevole di almeno l’81% di azioni quando si deliberi circa: fusioni e scissioni; modifica degli articoli 1, 2, 4, 6, 15, 16, 19, 25 e 30 del presente statuto; aumenti di capitale superiore al quinto; introduzione, modifica o rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni”.

Il motivo di impugnazione si fonda sull’assunto che in virtù dello statuto la capogruppo avrebbe potuto adottare disposizioni, nell’esercizio del potere di direzione e coordinamento, solo per l’esecuzione delle istruzioni impartite da Banca d’Italia nell’interesse della stabilità del gruppo e invece adesso, in virtù della deliberazione del consiglio di amministrazione impugnata, può ingerire su ogni attività della controllata, peraltro in violazione di quanto previsto all’art. 15 comma 2 dello statuto, che consente la modifica dell’art. 4 dello statuto soltanto con il consenso di una maggioranza qualificata di soci riuniti in assemblea straordinaria.

Il rilievo è tuttavia infondato.

Non può infatti ritenersi che la fonte del generale potere di direzione e coordinamento della capogruppo sia costituita dall’art. 4 comma 6 statuto.

È incontestato che B. sia controllata da Banca I. (v. art. 2359 comma 1 n. 1 c.c.), essendo quest’ultima divenuta proprietaria della maggioranza del capitale sociale (55% delle azioni).

È altresì incontestato che B. in forza di tale rapporto di controllo sia entrata a far parte del Gruppo I., di cui è capogruppo la Banca I..

La migliore dottrina definisce il gruppo di società come un’aggregazione di imprese formalmente autonome e indipendenti l’una dall’altra, ma assoggettate tutte ad una direzione unitaria. Tutte sono sotto l’influenza dominante di un’unica società (la capogruppo), che direttamente o indirettamente controlla e dirige, secondo un disegno unitario, la loro attività d’impresa, per il perseguimento di uno scopo unitario e comune a tutte le società del gruppo (cd. interesse di gruppo). In altre parole, nei gruppi, ad un’unica impresa sotto il profilo economico corrispondono più imprese sotto il profilo giuridico, restando fermo nel nostro ordinamento il principio cardine della distinta soggettività e della formale indipendenza giuridica delle società del gruppo.

Tale ricostruzione è stata offerta anche dalla più attenta giurisprudenza di legittimità, ove si è precisato che “…dal punto di vista economico il gruppo di società costituisce una aggregazione di unità produttive giuridicamente autonome (le singole società), collegate sul piano organizzativo attraverso la c.d. direzione unitaria al fine d'una migliore attuazione degli obiettivi perseguiti dal complesso. Peraltro, il deciso orientamento del nostro ordinamento positivo per una visione atomistica della funzione societaria e per l'autonomia della società quale centro autonomo di decisione, fa sì che il fenomeno economico non possa realizzarsi appieno sul piano giuridico. Infatti, non esistono ostacoli di carattere giuridico a che le decisioni adottate a livello dell'organo gestorio del gruppo vengano poi attuate dalle società del gruppo. Tanto, tuttavia, a due condizioni. Le decisioni delle società in conformità alle linee direttive del gruppo, devono essere assunte formalmente dagli organi delle società collegate (assemblea o consiglio di amministrazione) competenti secondo le regole statutarie. Inoltre, l'interesse della società non deve contrastare con quello del gruppo…” (così in motivazione Cass. 13.02.92 n. 1759; conf. Cass. 15.06.00 n. 8159 sempre in motivazione).

In un’altra pronuncia la medesima giurisprudenza di legittimità, trattando un caso di cd. ‘holding pura’ ha precisato quanto segue: “… La scienza economica, delle cui risultanze ci si può avvalere per descrivere il fenomeno, comunemente configura il gruppo come un'aggregazione di unità produttive, giuridicamente autonome, ma collegate sul piano organizzativo al fine di una migliore attuazione degli obiettivi perseguiti dal complesso. La direzione economica unitaria e l'autonomia formale delle imprese partecipanti al gruppo costituiscono momenti qualificanti del fenomeno. Con la direzione unitaria si consegue il risultato di imprimere unità di indirizzo e di azione alle diverse imprese aggregate; con l'autonomia formale si persegue il vantaggio di conferire all'organismo economico, unitariamente considerato, flessibilità strutturale e delimitazione dei rischi…” ( così in motivazione Cass. 26.02.90 n. 1439; v. sempre in motivazione Cass. 15.06.00 n. 1859, ove, nel recepire la nozione di gruppo adottata nella sentenza impugnata, si è dato rilievo alla concentrazione della titolarità delle partecipazioni societarie nelle stesse persone (fisiche o giuridiche) e alla unicità di direzione; v. anche Cass. 11.03.01 n. 2001, ove la cognizione ha riguardato un’operazione posta in essere in adempimento di direttive impartite dalla capogruppo o comunque di obblighi assunti nell'ambito di una più vasta aggregazione imprenditoriale).

Come affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza sopra richiamante, deve pertanto ritenersi che la capogruppo può esercitare in via generale un potere di direzione e di coordinamento sulle società del gruppo, in ragione del solo fatto che queste ultime fanno parte di un gruppo di società da lei controllato.

Tale potere è espressione di una supremazia di fatto, derivante dal controllo.

Nella specie tale controllo è consentito dalla proprietà della maggioranza del capitale della società controllata.

Autorevole dottrina ha evidenziato che in questi casi è la proprietà delle azioni, nella misura idonea a consentire il controllo, il fondamento ultimo della supremazia della controllante sulla controllata. La prima esercita le facoltà inerenti il diritto di proprietà allorché vota nell’assemblea per eleggerne o revocarne gli amministratori o per dotarla, deliberando sul capitale sociale, dei mezzi finanziari necessari per conseguire l’oggetto sociale. E se la controllante impartisce direttive agli amministratori della controllata circa la conduzione degli affari sociali ciò essa è in grado di fare in forza di quel potere, inerente al diritto reale sulle azioni, che la abilita a nominare e a confermare o revocare la maggioranza degli amministratori oppure a decidere operazioni sul capitale. Questa ingerenza è esercitata sugli amministratori della controllata, e si esprime in disposizioni che, per essere operative all’interno della controllata, devono essere fatte proprie da tali amministratori. Tali disposizioni non sono coercibili, non avendo la capogruppo poteri per imporre forzatamente agli amministratori la loro osservanza, né per annullare o sostituire gli atti di gestione in contrasto con esse. Tuttavia la controllante è in grado di impartire le disposizioni, e anche di ottenere il loro adempimento, in virtù della forza persuasiva che, come appena evidenziato, le è attribuita dalle facoltà inerenti al diritto reale sulle azioni.

La legislazione precedente alla riforma del diritto delle società ha dato per presupposto, nel disciplinare alcune fattispecie, l’esercizio di una influenza dominante della capogruppo nei confronti delle altre società del gruppo (v. artt. 60 ss. e 98 s. TUB; art. 12 e 93 TUF; art. 90 d.l.vo 270/99 e prima l’art. 3 comma 10 l. 95/79; v. anche la ratio sottesa agli art. 2359bis c.c. e ss. anche nella disciplina previgente) e in alcuni casi ha attribuito rilevanza al gruppo considerato unitariamente (v. art. 23 e ss. d.l.vo 127/91 che ha imposto alla controllante di redigere annualmente il bilancio consolidato di gruppo; v. art. 1 comma 4 l. 287/90 che, recependo la nozione di ‘unità concorrenziale’ comunitaria, considera il gruppo un’unica impresa anche per la disciplina antitrust nazionale).

La riforma del diritto delle società (d.l.vo 6/03) ha introdotto una disciplina in materia dotata di una certa organicità.

Com’è noto la l. 366/01 (delega al governo per la riforma del diritto societario) all’art 2 comma 1 lett. h) della l. 366/01, tra i principi generali in materia di società di capitali, ha previsto quello di “disciplinare i gruppi di società secondo i principi di trasparenza e di contemperamento degli interessi coinvolti” e al successivo art. 10 ha precisato che “La riforma in materia di gruppi è ispirata ai seguenti principi e criteri direttivi: a) prevedere una disciplina del gruppo secondo principi di trasparenza e tale da assicurare che l’attività di direzione e di coordinamento contemperi adeguatamente l’interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di queste ultime …”.

È evidente pertanto che nelle disposizioni della legge delega appena riportate è espressamente riconosciuto un generale potere di direzione e coordinamento in capo alla capogruppo.

        Si deve tuttavia subito precisare che il decreto delegato non ha fornito una definizione dei gruppi societari, ma si è ispirato al principio di effettività, recando la disciplina di un fatto, l’attività di direzione e coordinamento di società, a prescindere dalle fonti di tale potere.

Di tale scelta è dato conto nella relazione ministeriale al d.l.vo 6/03, ove si legge quanto segue: “…si è ritenuto che il problema centrale del fenomeno del gruppo fosse quello della responsabilità, in sostanza della controllante, nei confronti dei soci e dei creditori sociali della controllata. Per dare corretta impostazione e soluzione a questi problemi di responsabilitàoccorreva porre a base della disciplina il ‘fatto’ dell’esercizio di attività di direzione e coordinamento di una società da parte di un diverso soggetto,sia esso una società o un ente, e la circostanza che l’azione fosse comunque riconducibile al perseguimento di un interesse imprenditoriale proprio o altrui, sebbene svolto in violazione dei corretti principi di gestione societaria. Si è altresì ritenuto che l’esercizio di una tale attività sia del tutto naturale e fisiologico da parte di chi è in condizioni di farlo e che non implica, né richiede, il riconoscimento o l’attribuzione di particolari poteri. Sotto altro aspetto, però, l’esercizio di questa attività solleva delicati problemi quando chi la esercita sia portatore di interessi non omogenei con gli interessi tipicamente ‘societari’ degli altri soci della controllata. In questo panorama, il limite all’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, limite che ne riconosce la legittimità di base e tiene presente e non penalizza i legittimi interessi di chi la esercita, è apparso dovesse essere costituito dal rispetto dei valori essenziali del ‘bene’ partecipazione sociale, bene che la legge individua nella partecipazione all’ ‘esercizio in comune di una attività economica al fine di dividerne gli utili’ (art. 2247 c.c.). Questi valori da proteggere e tutelare possono dunque individuarsi nei principi di continuità dell’impresa sociale, redditività e valorizzazione della partecipazione sociale. Spetterà a dottrina e giurisprudenza individuare e costituire i principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria posti nel nuovo testo a tutela del bene ‘partecipazione’, e ovviamente, in concreto, dottrina e giurisprudenza non potranno non tener conto delle infinite variabili e dell’incessante evoluzione economica ed operativa. …”.

A prescindere dal contenuto delle disposizioni introdotte, [1] in questa sede rileva considerare che il legislatore delegato ha richiesto, come unico presupposto per l’applicazione delle nuove norme, l'esercizio del potere di direzione e coordinamento, quale elemento di fatto che connota l’esistenza di un gruppo di società, ed ha presunto, salvo prova contraria, che tale potere sia esercitato da parte di società che, come nella specie, controllano altre società (art. 2497 sexies c.c.).

        Si deve aggiungere che in numerose altre previsioni normative, diverse dagli artt. 2497 e ss. c.c., il legislatore della riforma ha attribuito rilievo al rapporto di gruppo (e a quello di controllo), in modo tale da delineare una disciplina giuridica differenziata delle società che appartengono a un gruppo, siano esse controllate oppure controllanti. [2]

        In conclusione, deve ritenersi che l’orientamento interpretativo di dottrina e giurisprudenza supra riportato ha trovato conferma nell’evoluzione normativa appena descritta, la quale è arrivata a riconoscere che il gruppo di società si caratterizza per il fatto che vengono esercitati poteri di direzione e coordinamento da parte della società che ne è a capo e che proprio attraverso l’esercizio di tali poteri essa imprime un disegno unitario all’attività del gruppo: in altre parole, il potere di direzione e coordinamento esiste per il solo fatto che esiste un gruppo di società dotato di una capogruppo.

        Ovviamente tale potere, in mancanza di prova contraria, deve ritenersi generalmente esercitato in seno al gruppo, che altrimenti non potrebbe essere diretto e coordinato e quindi non potrebbe operare come tale.

        Tornando ad esaminare il caso di specie alla luce di quanto supraesposto, assume rilievo fondamentale il fatto incontestato che B. faccia parte di un gruppo bancario, la cui capogruppo è Banca I., la quale controlla B., detenendo la maggioranza delle sue azioni.

Tale situazione di fatto, in virtù di quanto appena evidenziato, attribuisce alla capogruppo, in quanto tale, il potere di esercitare la direzione e coordinamento delle altre società.

Né può ritenersi che l’art. 4 comma 6 dello statuto B. costituisca un limite all’esercizio in concreto di tale potere.

        La disposizione statutaria in esame riproduce il disposto dell’art. 61 comma 4 TUB, il quale, nel disciplinare la vigilanza su base consolidata della Banca d’Italia sul gruppo bancario, espressamente prevede, che “La capogruppo, nell'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento, emana disposizioni alle componenti del gruppo, per l'esecuzione delle istruzioni impartite da Banca d'Italia nell’interesse della stabilità del Gruppo…”.

        In altre parole, essa riporta nello statuto il contenuto di una norma di legge che comunque, anche se non fosse stata richiamata, sarebbe stata ugualmente applicabile.

Si consideri che né la norma statale né la disposizione statutaria escludono che la capogruppo possa esercitare il potere di direzione e coordinamento anche in settori diversi di quelli espressamente menzionati.

Il fatto incontestato che il socio di maggioranza in sede di approvazione dello statuto abbia acconsentito a non inserire la congiunzione “anche”prima delle parole “per l'esecuzione delle istruzioni impartite..” dal testo dell’art. 4 dello statuto, congiunzione invece inserita all’articolo 2 del regolamento di gruppo approvato, non significa pertanto che abbia accettato alcun limite ai suoi poteri di direzione e coordinamento.

        Come supra evidenziato infatti, il generale potere di direzione e coordinamento non ha la sua fonte nello statuto della controllata ma nel rapporto di controllo esistente tra le due società del gruppo.

Non può pertanto ritenersi che la deliberazione che ha approvato il regolamento di gruppo abbia violato l’art. 4 comma 6 dello statuto, che non ha il compito di limitare, ed in effetti non limita, il generale potere di direzione e coordinamento della capogruppo.

Né conseguentemente può ritenersi che la medesima deliberazione abbia violato l’art. 15 comma 2 dello statuto, posto che nessuna modificazione all’art. 4 dello statuto è contenuta in tale deliberazione.

La dedotta violazione del TUB

Il motivo di impugnazione si fonda sull’assunto che il regolamento di gruppo è stato approvato in violazione del l’art. 61 comma 4 TUB (contenente una disposizione identica a quella prevista all’art. 4 comma 6 dello statuto B.), che limita il potere di indirizzo della capogruppo alla presenza di istruzioni della Banca d’Italia (limite oggettivo) e alla necessità di dare attuazione a quelle istruzioni che servivano a garantire la stabilità del gruppo (limite funzionale), mentre invece il regolamento ha previsto un potere di direzione più ampio e per fini anche diversi.

Anche tale rilievo è infondato.

Come già evidenziato, il potere della capogruppo di compiere atti di direzione e coordinamento, non trova altro fondamento che nel rapporto di controllo.

La disposizione normativa in esame non istituisce un potere di direzione e coordinamento, che in assenza di tale disposizione la capogruppo non avrebbe potuto esercitare, ma specifica che nell’esercizio di tale generale potere di direzione e coordinamento, che ha già, deve impartire disposizioni per l'esecuzione delle istruzioni impartite da Banca d'Italia nell’interesse della stabilità del gruppo (v. art. 61 comma 4 TUB: “La capogruppo, nell'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento, emana disposizioni alle componenti del gruppo, per l'esecuzione delle istruzioni impartite da Banca d'Italia nell’interesse della stabilità del Gruppo…”).

La novità introdotta dalla disposizione in esame non è pertanto la previsione del potere di adottare disposizioni nell’esercizio del potere di direzione e coordinamento, ma la specificazione che nell’espletamento di tale attività devono essere comprese anche le disposizioni per l’esecuzione delle istruzioni sopra menzionate. La norma introduce una disciplina speciale in materia di gruppi bancari, nella parte in cui prevede che la capogruppo, nell’espletamento dei suoi poteri di direzione e coordinamento, ha l’obbligo di adottare disposizioni che riguardino l’esecuzione di istruzioni impartite da Banca d'Italia nell’interesse della stabilità del gruppo.

Non può pertanto ritenersi che il regolamento di gruppo approvato, nella parte in cui contiene l’espresso richiamo a un potere generale di impartire disposizioni anche in settori diversi da quelli indicati nell’art. 61 comma 4 TUB sia in contrasto con tale disposizione.

La disposizione in esame non limita in alcun modo tale potere, che esiste in virtù del rapporto di controllo, ma prevede un ambito particolarmente qualificato in cui esso deve necessariamente essere esercitato.

La dedotta violazione del codice civile

Il motivo di impugnazione si fonda sull’assunto che il regolamento di gruppo è stato approvato in violazione del disposto dell’art. 2380 bis c.c., il quale stabilisce che la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori (tant’è che questi ultimi, in applicazione dell’art. 2364 comma 1 n. 5 c.c., non possono essere esentati da responsabilità verso i creditori sociali per il solo fatto che hanno agito in base a direttive dell’assemblea), ritenendo gli attori e l’intervenuta che il regolamento ha invece ridisegnato i rapporti tra il consiglio di amministrazione e la capogruppo, socio di maggioranza, secondo un legame di rigida subordinazione gerarchica, che prevede il recepimento passivo di direttive provenienti da un organo esterno.

Anche tale motivo risulta infondato.

La previsione nel regolamento impugnato della possibilità di impartire disposizioni vincolanti non esclude la responsabilità degli amministratori per gli atti di gestione compiuti e neppure spoglia questi ultimi dal potere-dovere di amministrare.

Gli amministratori che si adeguano alle disposizioni impartite lo fanno sotto la loro responsabilità, assumendo come proprie a tutti gli effetti, le relative decisioni, sicché la loro adozione non esclude il doveroso controllo dei parametri di legalità. Se invece decidono di non adeguarsi, tale mancanza influisce solo sul rapporto di fiducia tra il capitale di comando e l’amministratore.

Come già evidenziato, la controllante può impartire agli amministratori tutte le direttive vincolanti che ritiene opportune, ma non ha strumenti coercitivi per ottenere che essi effettivamente pongano essere atti di gestione in esecuzione delle istruzioni impartite. Essa non può neppure annullare gli atti compiuti in violazione delle disposizioni impartite, né emanarne altre in sostituzione di quelle adottate, ma potrà al massimo non confermare o revocare gli amministratori disobbedenti in sede assembleare.

Il suo potere ha fondamento e limite nel potere di supremazia dato dalla proprietà della maggioranza delle azioni.

Sul punto sono illuminanti le norme introdotte dalla riforma del diritto societario in materia di direzione e coordinamento di società.

In particolare rileva l’art. 2497 ter c.c., ove si prescrive che le decisioni delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando sono da questa influenzate, debbono essere analiticamente motivate e devono recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione.

Tale disposizione normativa, se da una parte conferma che la controllante influenza la gestione della controllata, da un’altra parte impone un particolare onere di motivazione a chi adotta per la controllata decisioni sotto l’influenza della controllante, dovendo dare conto in motivazione della valutazione fatta delle ragioni di tali decisioni e degli interessi coinvolti.

È evidente che la disposizione in esame evidenzia la permanenza della riserva di competenza esistente a favore degli amministratori, che difatti non possono liberarsi dalle loro responsabilità semplicemente obbedendo alle disposizioni della controllante.

Non può pertanto ritenersi che il regolamento di gruppo sia stato approvato in violazione dell’art. 2380 bis c.c. né dell’art. 2364 comma 1 n. 5 c.c.

Gli amministratori non sono semplici mandatari dell’assemblea e neppure della società che detiene la maggioranza delle azioni.

Al contrario essi sono investiti di una propria autonomia e responsabilità sia verso la società, che verso i soci e i terzi creditori sociali (art. 2932 e ss. c.c.).

Né l’assemblea e né la capogruppo, in qualità di detentrice del capitale di comando, hanno strumenti efficaci nei confronti della controllata per costringere a compiere o non compiere un atto di gestione; come già evidenziato, la vincolatività incide esclusivamente sul rapporto fiduciario tra amministratore e capogruppo, che può essere incrinato dalla disobbedienza del primo alle direttive della seconda.

Il rapporto fiduciario tra capitale di comando e amministratori assume rilievo esterno quando dà luogo a direttive pregiudizievoli per la controllata ed espone la controllante a responsabilità per i danni che ha cagionato alla controllata ai suoi soci e ai suoi creditori.

Come già evidenziato, [4] la riforma ha espressamente previsto la responsabilità della capogruppo nei confronti dei soci delle controllate (per il pregiudizio alla redditività e al valore della partecipazione sociale) e dei creditori di queste ultime (per la lesione all’integrità del patrimonio della società) nel caso in cui, esercitando attività di direzione e di coordinamento di società, abbia agito nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime (art. 2497 comma 1 prima parte c.c.).

Riconosciuta l’incidenza causale dell’attività di direzione e coordinamento sugli atti compiuti dalla società controllata, il legislatore ha voluto collegare al potere di direzione e coordinamento una corrispondente responsabilità, che in assenza di tale norma era difficile da configurare, tenuto conto dello schermo dato dalla distinta soggettività giuridica delle società appartenenti al gruppo.

Ora, dove c’è il potere di direzione e coordinamento c’è anche la responsabilità per l’attività di direzione e coordinamento compiuta e viceversa.

La predisposizione del regolamento di gruppo si inserisce in questo quadro.

Proprio in ragione della responsabilità che consegue all’esercizio del potere di direzione e coordinamento, la controllante, ponendo in atto tale potere, impone norme di comportamento comuni, concepite in funzione della logica di gruppo, e non degli specifici interessi di questa o quella controllata, così rendendo concreta e trasparente l’estensione ed anche il limite del proprio potere di direzione.

Un limite legale ed è dato proprio dall’art. 2497 c.c., nella parte in cui pone a fondamento della responsabilità, ivi prevista, il mancato rispetto “dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società controllate”.

È tuttavia evidente che tale limite non riguarda in sé il potere di imporre in genere disposizioni anche vincolanti (nel senso sopra evidenziato), che nella specie è stato espresso nel regolamento di gruppo e che, come ripetutamente affermato, è comunque immanente nel rapporto di controllo tra la capogruppo e società del gruppo, ma il contenuto delle singole disposizioni, che verranno volta per volta impartite. Se esse non rispondono ai limiti appena richiamati, non devono essere attuate, pena la responsabilità di chi le adotta ed anche di chi le impartisce.

Anche tale motivo di impugnazione deve pertanto essere rigettato.

Le spese di causa

        Tenuto conto della particolare complessità e novità delle questioni in diritto affrontate, sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese di causa.

P.Q.M.

il Tribunale di Biella ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando:

1)         rigetta la domanda proposta dagli attori e dall’intervenuta;

2)         compensa interamente tra le parti le spese di causa.

Biella, 17.11.06

 

 

 

[1] Come ritenuto da attenta dottrina, le disposizioni in esame (art. 2497 ss. c.c.) hanno introdotto una disciplina a tutela dei soci di minoranza delle società soggette a direzione e coordinamento ed anche dei terzi, fondata sui due pilastri della responsabilità e della pubblicità.

In particolare, in virtù dell'art. 2497 c.c. la società o l'ente che, esercitando l'attività di direzione e coordinamento, arreca un pregiudizio alla redditività ed al valore delle società controllate, agendo nell'interesse imprenditoriale proprio od altrui e violando i principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale, è responsabile nei confronti dei soci della stessa controllata e dei creditori sociali. Tale responsabilità non sussiste quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e di coordinamento, ovvero integralmente eliminato, anche a seguito di operazioni a ciò dirette (art. 2497 comma 1 ultima parte c.c.). In altre parole, il danno deve essere valutato non già con riferimento alla singola operazione, bensì considerando il risultato complessivo dell’attività di direzione e di coordinamento e quindi i vantaggi compensativi che possono derivare dall’appartenenza al gruppo, nonché il fatto che il danno può essere stato integralmente eliminato. Questa responsabilità non sostituisce ma anzi si affianca alla responsabilità degli amministratori della controllata, che adottano gli atti di gestione in esecuzioni dell’attività di direzione e coordinamento (art. 2392 e ss. c.c.). Rispondono inoltre in solido con la capogruppo anche coloro che hanno preso parte al fatto lesivo (ad esempio, gli amministratori o i dirigenti della capogruppo) e coloro che ne hanno consapevolmente tratto beneficio (ad esempio, le altre società del gruppo avvantaggiate dalla decisone) (art. 2497 comma 2 c.c.). È comunque una responsabilità sussidiaria, nel senso che i soci e i creditori possono agire solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento (art. 2497 comma 3 c.c.).

A tutela dei creditori sociali, l’art. 2497 quinquies c.c. ha inoltre introdotto una particolare disciplina per i finanziamenti concessi alle società controllate dalla capogruppo o da altri soggetti alla stessa sottoposti, al fine di evitare che un eccessivo indebitamento danneggi gli altri creditori sociali, trovando infatti applicazione la stessa disciplina dettata dall’art. 2467 c.c. per i finanziamenti dei soci nella società a responsabilità limitata.

A tutela dei soci di minoranza della controllata, sono state infine introdotte dall’art. 2497 quater c.c. ipotesi di recesso dalla società soggetta all’attività di direzione e coordinamento in presenza di eventi riguardanti la capogruppo, ma che di riflesso determinano un mutamento delle originarie condizioni di rischio dell’investimento.

Il regime della pubblicità si articola invece su di un duplice versante, interno ed esterno.

Sotto il profilo interno l'art. 2497 ter c.c. prescrive che le decisioni delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate, debbono essere analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione. Di esse deve poi essere dato adeguato conto nella relazione sulla gestione presentata in allegato al bilancio di esercizio ex art. 2428 c.c.

Per quanto invece attiene la pubblicità esterna l'art. 2497 bis c.c. ha istituito un'apposita sezione del registro delle imprese in cui devono essere indicati i soggetti che svolgono attività di direzione e coordinamento e le società che vi sono soggette. I rapporti intercorsi tra le società del gruppo ed i dati contabili relativi alla società capogruppo devono inoltre essere resi noti dalla società controllata ai terzi tramite la nota integrativa al bilancio e la relazione sulla gestione allo stesso allegata.

 

[2] Cfr., senza pretesa di completezza, le seguenti disposizioni: art. 2364 comma 2 c.c., che consente di differire il termine per la convocazione assemblea ordinaria delle società tenute alla redazione del bilancio consolidato; art. 2381 comma 4 c.c., che impone agli organi delegati di riferire al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale anche sull’andamento della gestione e sulle operazioni effettuate dalle controllate; art. 2403 bis comma 2 c.c., che prescrive il potere-dovere dei sindaci di chiedere informazioni ai corrispondenti organi delle società controllate; art. 2409 comma 1 c.c., che attribuisce rilievo al rapporto di gruppo al fine della denuncia di gravi irregolarità; art. 2409 bis comma 3 c.c., che ammette lo svolgimento dell'attività di controllo contabile in capo al collegio sindacale solo con riferimento alle società non tenute alla redazione del bilancio consolidato; art. 2441 ultimo comma c.c., che ammette l'esclusione del diritto di opzione in caso di offerta delle azioni di nuova emissione anche ai dipendenti delle società controllanti o controllate; art. 2634 comma 3 c.c., che esclude la sussistenza del requisito dell'ingiusto profitto, con riferimento al reato di infedeltà patrimoniale, in capo ad amministratori, direttori generali e liquidatori, che abbiano arricchito una società del gruppo a scapito di quella da loro diretta, quando tale svantaggio è compensato da vantaggi conseguiti o fondatamente prevedibili; v. anche in materia di requisiti per l’assunzione di cariche nella società: art. 2399 comma 1 lett. b) e c) c.c.; art. 2409quinquies comma 1 c.c.; art. 2409 duodecies comma 10 lett. c) c.c.; artt. 2409 septiesdecies comma 2 e 2409 octiesdecies comma 2 c.c.; cfr. anche la rilevanza indiretta degli artt. 2373 e 2391 c.c., in materia di conflitto di interessi per conto di terzi.

 

[3] È evidente che alla capogruppo è affidata la responsabilità della stabilità del gruppo bancario.

Nelle istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia del 21.04.99 è specificato il fondamento di tale scelta normativa, ove si precisa che “…Il riconoscimento che nel gruppo viene a realizzarsi un disegno imprenditoriale unitario, posto in essere dalle distinte unità operative che ne fanno parte, richiede strumenti informativi, regolamentari e ispettivi per l'esercizio della vigilanza su base consolidata. … Il ruolo di referente della Banca d'Italia in materia di vigilanza consolidata viene attribuito alla capogruppo. Nell'ambito della disciplina del gruppo bancario viene lasciata all'imprenditore la scelta dell'assetto organizzativo e patrimoniale che meglio risponda ai suoi obiettivi gestionali. Tale assetto non deve tuttavia contrastare con le esigenze connesse alla vigilanza consolidata. In particolare, assumono rilievo gli aspetti di conoscibilità, da parte della Banca d'Italia, sia degli obiettivi fissati, sia dei comportamenti tenuti dalle singole componenti. Di conseguenza vanno assicurate strutture organizzative del gruppo che consentano l’attuazione delle istruzioni emanante dalla Banca d’Italia e la loro verifica”.

In tale ottica ben si comprende perché la capogruppo può addirittura essere assoggettata alla procedura di amministrazione straordinaria, ove si sia resa gravemente inadempiente nell’esercizio dell’attività prevista a citato art. 61 comma 4 TUB (così art. 98 TUB), ovvero alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, quando tali inadempienze siano di eccezionale gravità (art. 99 TUB).