Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 12591 - pubb. 08/05/2015

Commissario ad acta, ausiliario del giudice: “stato dell’arte” a cura del Consiglio di Stato

Consiglio di Stato, 13 Gennaio 2015. Est. Taormina.


Commissario ad acta – Natura giuridica – Organo straordinario della P.A. – Esclusione – Ausiliario del giudice – Sussiste – Effetti – Contestazione dei provvedimenti del commissionario – Mediante reclamo davanti al giudice – Sussiste – Contestazioni dei terzi – Impugnabilità autonoma – Sussiste

Commissario ad acta – Natura giuridica – Ausiliario del giudice – Conseguenze – Modifica degli atti commissariali da parte della P.A. commissariata – Possibilità – Esclusione



La natura giuridica degli atti adottati dal commissario ad acta costituì in passato oggetto di travagliato approfondimento, dottrinario, e giurisprudenziale. Tra le due tesi principali che si fronteggiavano (l'una delle quali sosteneva che il commissario ad acta fosse "Organo straordinario dell'Amministrazione", cui gli atti erano imputati, e l'altra secondo cui ricorreva una figura di ausiliario del Giudice) la giurisprudenza preferì la tesi per cui il commissario ad acta dovesse qualificarsi qual ausiliario del giudice. Si pervenne pertanto alla enunciazione del principio per cui il commissario ad acta è organo del Giudice dell'ottemperanza e le sue determinazioni vanno adottate esclusivamente in funzione dell'esecuzione del giudicato, e non in funzione degli interessi pubblici il cui perseguimento costituisce il normale canone di comportamento dell'Amministrazione sostituita. Da ciò consegue che i suoi provvedimenti sono immediatamente esecutivi e non sono assoggettati all'ordinario regime dei controlli (interni ed esterni) degli atti dell'Amministrazione presso la quale lo stesso si insedia, ma vanno sottoposti unicamente all'immanente controllo dello stesso Giudice. Il principio da ultimo enunciato è oggi consacrato espressamente nella nuova formulazione del comma VI dell'art. 114 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (comma così sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. dd, n. 2 del D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195): "il giudice conosce di tutte le questioni relative all'ottemperanza, nonché, tra le parti nei cui confronti si è formato il giudicato, di quelle inerenti agli atti del commissario ad acta. Avverso gli atti del commissario ad acta le stesse parti possono proporre, dinanzi al giudice dell'ottemperanza, reclamo, che è depositato, previa notifica ai controinteressati, nel termine di sessanta giorni." Le parti interessate possono e devono quindi rivolgersi al giudice, affinché venga verificata rispondenza dei provvedimenti adottati dal Commissario ad acta alle disposizioni impartite in sede di ottemperanza, nonché ai principi vigenti in materia: l'attività del commissario ad acta quindi, non ha natura prettamente amministrativa, perché si fonda sull'ordine del giudice, ed è la stessa che avrebbe potuto realizzare direttamente il giudice. Della correttezza di tale approdo costituisce formidabile conferma, sul piano del diritto positivo, l'art. 57 del DPR 30 maggio 2002 n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) dedicato proprio alla "equiparazione del commissario ad acta agli ausiliari del magistrato", in quanto ivi si è previsto che "al commissario ad acta si applica la disciplina degli ausiliari del magistrato, per l'onorario, le indennità e spese di viaggio e per le spese sostenute per l'adempimento dell'incarico". Per completezza si rileva che quanto si è sinora esposto costituisce la regola generale: quest'ultima soffre però di una importante eccezione, opportunamente contenuta nell'ultima parte del citato art. 114 comma VI laddove si prevede che "gli atti emanati dal giudice dell'ottemperanza o dal suo ausiliario sono impugnabili dai terzi estranei al giudicato ai sensi dell'articolo 29, con il rito ordinario". La regola generale, quindi, vale per le parti del processo di ottemperanza. Per i terzi estranei che si assumano lesi dalle determinazioni del commissario l'attività commissariale medesima è "res inter alios". (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Accertato che il commissario ad acta è organo del Giudice dell'ottemperanza, l’Amministrazione "commissariata" non gode del potere di modificare gli atti commissariali. Militano in questa direzione plurimi indicatori normativi, tra i quali deve essere posto in risalto, in primo luogo, quello che si desume dall'art. 21 del codice del processo amministrativo. La norma in questione, nel disporre che "nell'ambito della propria giurisdizione, il giudice amministrativo, se deve sostituirsi all'amministrazione, può nominare come proprio ausiliario un commissario ad acta" implica un deciso mutamento di prospettiva nello specifico settore della disciplina degli organi chiamati a svolgere funzioni di tipo collaborativo o, per così dire, ancillare rispetto all'esercizio proprio della funzione giusdicente. La norma che si commenta permette senz'altro di ritenere che il Commissario ad acta si atteggia quale "ausiliario " del giudice, ossia organo che, per quanto si desume dalla stessa disposizione normativa, agisce quale longa manus del giudice, la cui volontà di attuazione della norma nel caso concreto è chiamato a esternare. In questa prospettiva, del resto, assume particolare rilevanza anche lo specifico ambito di giurisdizione entro il quale si svolge la funzione ascritta al commissario ad acta. Si tratta, infatti, di giurisdizione di merito, ambito entro il quale si colloca il giudizio di ottemperanza coltivato al fine di dare esecuzione integrale al comando recato in sentenza. Ma proprio il fatto che si verte in ambito di giurisdizione di merito implica la concreta possibilità, per il giudice, di sostituirsi alla amministrazione. Ne deriva che la statuizione del giudice si invera nella determinazione del commissario ad acta, la quale integra senz'altro, attraverso la nomina compiuta nel corso del giudizio di ottemperanza, la volontà di attuazione della norma nel caso concreto. Questo significa che la P.a. è tenuta a conformarsi in tutto e per tutto alle determinazioni del commissario ad acta, attraverso le quali si manifesta la volontà di esercizio della funzione giurisdizionale nella fattispecie concreta. Ciò vuol dire che la P.a. non ha alcuna discrezionalità nel dare attuazione a quanto stabilito dal commissario ad acta conservando, semmai, la facoltà di sollecitare l'intervento del giudice qualora insorgano dubbi interpretativi circa la portata applicativa del provvedimento, così come delineato dal commissario ad acta, o di adire il giudice per il contrasto fra l'atto del commissario ad acta e la pronuncia che lo stesso è chiamato ad eseguire o, infine, per l'erroneo esercizio del potere discrezionale allo stesso attribuito. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


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