Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 12584 - pubb. 07/05/2015

Salva la nuova “acquisizione sanante” prevista dall’art. 42-bis TU 327/2001

Corte Costituzionale, 30 Aprile 2015, n. 71. Est. Zanon.


Art. 42-bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 – «Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico» – Nuova disciplina introdotta dal dl 98/2011 – Identità rispetto alla disciplina di cui all’art. 43 tu – Esclusione

Art. 42-bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 – Acquisizione del fondo da parte della P.A. – Provvedimento di acquisizione – Caratteristiche

Art. 42-bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 – «Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico» – Nuova disciplina introdotta dal dl 98/2011 – Acquisizione sanante – Privilegio per la P.A. – Incostituzionalità – Esclusione

Art. 42-bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 – «Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico» – Nuova disciplina introdotta dal dl 98/2011 – Acquisizione sanante – Assenza di termine per la P.A. ai dini della acquisizione – Incostituzionalità – Esclusione

Art. 42-bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 – «Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico» – Nuova disciplina introdotta dal dl 98/2011 – Acquisizione sanante – Violazione della CEDU – Art. 117 Cost. – Incostituzionalità – Esclusione



L’art. Art. 42-bis d.P.R. 327/2001, introdotto dall’art. 34, d.l. 98/2011, conv. in l. 111/2011, prevede un nuovo meccanismo acquisitivo che presenta significative differenze rispetto all’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni, versione previgente. La nuova disposizione, risolvendo un contrasto interpretativo insorto in giurisprudenza sull’art. 43 appena citato, dispone espressamente che l’acquisto della proprietà del bene da parte della pubblica amministrazione avvenga ex nunc, solo al momento dell’emanazione dell’atto di acquisizione (ciò che impedisce l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato). Inoltre, la norma censurata impone uno specifico obbligo motivazionale “rafforzato” in capo alla pubblica amministrazione procedente, che deve indicare le circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio. La motivazione, in particolare, deve esibire le «attuali ed eccezionali» ragioni di interesse pubblico che giustificano l’emanazione dell’atto, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati, e deve, altresì, evidenziare l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione. Ancora, nel computo dell’indennizzo viene fatto rientrare non solo il danno patrimoniale, ma anche quello non patrimoniale, forfetariamente liquidato nella misura del 10 per cento del valore venale del bene. Ciò costituisce sicuramente un ristoro supplementare rispetto alla somma che sarebbe spettata nella vigenza della precedente disciplina. Il passaggio del diritto di proprietà, inoltre, è sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute, da effettuare entro 30 giorni dal provvedimento di acquisizione. Non è stata più riproposta la cosiddetta acquisizione in via giudiziaria, precedentemente prevista dal comma 3 dell’art. 43, ed in virtù della quale l’acquisizione del bene in favore della pubblica amministrazione poteva realizzarsi anche per effetto dell’intervento di una pronuncia del giudice amministrativo, volta a paralizzare l’azione restitutoria proposta dal privato. Si è, dunque, in presenza di un istituto diverso da quello disciplinato dall’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

L’adozione del provvedimento acquisitivo ex art. 42-bis d.P.R. 327/2001 presuppone una valutazione comparata degli interessi in conflitto, qualitativamente diversa da quella tipicamente effettuata nel normale procedimento espropriativo. E l’assenza di ragionevoli alternative all’adozione del provvedimento acquisitivo va intesa in senso pregnante, in stretta correlazione con le eccezionali ragioni di interesse pubblico richiamate dalla disposizione in esame, da considerare in comparazione con gli interessi del privato proprietario. Non si tratta, soltanto, di valutare genericamente una eccessiva difficoltà od onerosità delle alternative a disposizione dell’amministrazione, secondo un principio già previsto in generale dall’art. 2058 cod. civ. Per risultare conforme a Costituzione, l’ampiezza della discrezionalità amministrativa va delimitata alla luce dell’obbligo giuridico di far venir meno l’occupazione sine titulo e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, la quale ultima non risulta mutata neppure a seguito di trasformazione irreversibile del fondo. Ne deriva che l’adozione dell’atto acquisitivo è consentita esclusivamente allorché costituisca l’extrema ratio per la soddisfazione di “attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico”, come recita lo stesso art. 42-bis del T.U. delle espropriazioni. Dunque, solo quando siano stati escluse, all’esito di una effettiva comparazione con i contrapposti interessi privati, altre opzioni, compresa la cessione volontaria mediante atto di compravendita, e non sia ragionevolmente possibile la restituzione, totale o parziale, del bene, previa riduzione in pristino, al privato illecitamente inciso nel suo diritto di proprietà. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

L’art. Art. 42-bis d.P.R. 327/2001, introdotto dall’art. 34, d.l. 98/2011, conv. in l. 111/2011, non è costituzionalmente illegittimo. Se pure il presupposto di applicazione della norma sia «l’indebita utilizzazione dell’area» – ossia una situazione creata dalla pubblica amministrazione in carenza di potere (per la mancanza di una preventiva dichiarazione di pubblica utilità dell’opera o per l’annullamento o la perdita di efficacia di essa) – tuttavia l’adozione dell’atto acquisitivo, con effetti non retroattivi, è certamente espressione di un potere attribuito appositamente dalla norma impugnata alla stessa pubblica amministrazione. Con l’adozione di tale atto, quest’ultima riprende a muoversi nell’alveo della legalità amministrativa, esercitando una funzione amministrativa ritenuta meritevole di tutela privilegiata, in funzione degli scopi di pubblica utilità perseguiti, sebbene emersi successivamente alla consumazione di un illecito ai danni del privato cittadino. Sotto questo punto di vista, la situazione appare conforme alla giurisprudenza costituzionale, secondo cui «[…] la P.A. ha una posizione di preminenza in base alla Costituzione non in quanto soggetto, ma in quanto esercita potestà specificamente ed esclusivamente attribuitele nelle forme tipiche loro proprie. In altre parole, è protetto non il soggetto, ma la funzione, ed è alle singole manifestazioni della P.A. che è assicurata efficacia per il raggiungimento dei vari fini pubblici ad essa assegnati». (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Il sistema delineato dall’art. 42-bis d.P.R. 327/2001, non prevede alcun termine per l’esercizio del potere riconosciuto alla pubblica amministrazione. Tuttavia, occorre prendere in considerazione le molteplici soluzioni, elaborate dalla giurisprudenza amministrativa, per reagire all’inerzia della pubblica amministrazione autrice dell’illecito: a seconda degli orientamenti, infatti, talvolta è stato posto a carico del proprietario l’onere di esperire il procedimento di messa in mora, per poi impugnare l’eventuale silenzio-rifiuto dell’amministrazione; in altri casi, è stato riconosciuto al giudice amministrativo anche il potere di assegnare all’amministrazione un termine per scegliere tra l’adozione del provvedimento di cui all’art. 42-bis e la restituzione dell’immobile. È dunque possibile scegliere – tra le molteplici elaborate – un’interpretazione idonea ad evitare il pregiudizio consistente nell’asserita esposizione in perpetuo al potere di acquisizione, senza in alcun modo forzare la lettera della disposizione. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Con l’art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni − come peraltro già accadeva con il precedente art. 43 − l’acquisto della proprietà da parte della pubblica amministrazione non è più legato ad un accertamento in sede giudiziale, connotato, come tale, da margini di imprevedibilità criticamente evidenziati dalla Corte EDU. Soprattutto, rispetto al precedente art. 43, l’art. 42-bis contiene significative innovazioni, che rendono il meccanismo compatibile con la giurisprudenza della Corte EDU in materia di espropriazioni cosiddette indirette, ed anzi rispondente all’esigenza di trovare una soluzione definitiva ed equilibrata al fenomeno, attraverso l’adozione di un provvedimento formale della pubblica amministrazione. Le differenze rispetto al precedente meccanismo acquisitivo consistono nel carattere non retroattivo dell’acquisto (ciò che impedisce l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato), nella necessaria rinnovazione della valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione e, infine, nello stringente obbligo motivazionale che circonda l’adozione del provvedimento. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


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