Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1238 - pubb. 01/07/2007

Concordato fallimentare, parere del curatore e poteri del tribunale

Tribunale La Spezia, 05 Luglio 2007. Pres., est. Cardino.


Concordato fallimentare – Parere vincolante del curatore sulla proposta – Impugnabilità ex art. 26 legge fall..

Concordato fallimentare – Potere del giudice delegato di valutazione del parere del curatore sulla proposta di concordato – Ambito – Limiti.



Il parere contrario reso dal curatore in ordine alla convenienza della proposta di concordato è impugnabile con ricorso ex art. 26 legge fall. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Il parere del curatore sulla proposta di concordato deve essere motivato ed è compito del giudice delegato effettuare un controllo sulla regolarità della procedura di concordato e di verificare che il parere del curatore sulla convenienza del concordato non sia affetto da vizi logici o da carenza o contraddittorietà di motivazione, un controllo che - senza più entrare nel merito della convenienza della proposta - impedisca che un eventuale errore o travisamento di fatti da parte del curatore abbia come effetto la sottrazione del potere di scelta sulla proposta ai creditori in caso di parere negativo o, al contrario, l’avvio di una costosa e non agevole procedura di voto in caso di parere favorevole dato ad una proposta manifestamente lesiva degli interessi dei creditori. (Fattispecie precedente il d. lgs. 12/07). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


(omissis)

La norma di cui all’art. 125 legge fall., prescrive che il curatore fornisca un parere sulla proposta di concordato con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione. Pur nella formale diversità dell’espressione utilizzata, nel configurare detto parere come condizione per la sottoposizione al voto dei creditori della proposta concordataria, la legge ha certamente inteso attribuire al curatore il potere di effettuare quella preventiva e necessaria valutazione di convenienza della proposta che nel precedente regime ante riforma D.Lgs. n. 5/2006 era attribuita al giudice delegato, un filtro necessario ad evitare che qualunque proposta di concordato, in astratto anche la più incongrua rispetto agli interessi che la procedura fallimentare deve tutelare, dovesse necessariamente essere sottoposta al voto dei creditori, con perdita di tempo e aggravio di spese.

Anche nel previgente sistema la valutazione negativa del giudice delegato produceva l’effetto di bloccare il procedimento di voto ed il relativo provvedimento era ritenuto reclamabile ex art. 26 legge fall. Ove dunque non si ritenga, del tutto inaccettabilmente, di attribuire oggi ad un organo non giurisdizionale quale il curatore la facoltà di negare inappellabilmente ai creditori la possibilità di accettare la proposta concordataria utile al soddisfacimento del proprio diritto, nel contempo negando ogni tutela al proponente il concordato, con seri dubbi di illegittimità costituzionale della norma per violazione dell’art. 24 Cost., dovrà convenirsi che non si poteva ieri in capo al giudice delegato, nè a maggiore ragione si può oggi in capo al curatore configurare un potere in sindacabile di veto in ordine alla possibilità che una proposta di concordato fallimentare venga sottoposta al voto dei creditori, coloro cioè cui ormai spetta - prevalentemente anche se non esclusivamente, come emerge inequivocabilmente dalla eventualità di un giudizio sulle opposizioni o nel caso di dissenso di una o più classi o, probabilmente, nel caso di opzione tra più proposte concordatarie che abbiano ottenuto il voto della maggioranza dei crediti - la valutazione definitiva di convenienza della proposta, secondo la logica sostanzialmente negoziale che informa il procedimento di concordato fallimentare.

Se la funzione del parere del curatore è quella sopra delineata, ne consegue che tanto il parere favorevole quanto il parere contrario devono essere motivati in coerenza con detti principi ed è compito del giudice delegato effettuare un controllo sulla regolarità della procedura di concordato (argomento ex art. 25 legge fall.) verificando che il parere del curatore sulla convenienza del concordato non sia affetto da vizi logici o da carenza o contraddittorietà di motivazione, un controllo che - senza più entrare nel merito della convenienza della proposta - impedisca che un eventuale errore o travisamento di fatti da parte del curatore abbia come effetto la sottrazione del potere di scelta sulla proposta ai creditori in caso di parere negativo o, al contrario, l’avvio di una costosa e non agevole procedura di voto in caso di parere favorevole dato ad una proposta manifestamente lesiva degli interessi dei creditori.

Alla stregua delle argomentazioni che precedono ritiene il tribunale che abbia errato il giudice delegato laddove ha disposto non darsi corso alla comunicazione ai creditori della proposta di concordato formulata da C. S.r.l. semplicemente richiamando la vincolatività del parere negativo del curatore, dunque senza valutare, almeno sotto un profilo di legittimità, se tale parere negativo fosse congruamente motivato.

Esaminando il merito della vicenda, ritiene il collegio che il parere del curatore dr. M.P. sia motivato con asserzioni che per taluni aspetti appaiono contraddittorie con l’assetto di interessi che la proposta di concordato si propone di regolare e per altri aspetti esorbitano dall’ambito valutativo che compete al curatore fallimentare nella presente fase procedimentale.

Dal primo punto di vista, non pare revocabile in dubbio che la proposta di concordato effettivamente proponga il soddisfacimento al 100% di tutti i crediti, di massa, privilegiati e chirografari, ciò che rende addirittura inutile tentare di argomentare in punto di convenienza per i creditori. Deve invece considerarsi astrattamente fondata la preoccupazione del curatore quanto alla tutela dei diritti dei soci della fallita V.G.I. S.r.l. laddove egli prevede che una vendita all’asta potrebbe garantire un introito ben superiore alla cifra offerta con la proposta così da assicurare ai soci un considerevole valore residuo loro spettante dopo il pagamento dei creditori e delle spese: non può infatti negarsi che tra i compiti del curatore rientri anche quello di tutela del patrimonio dell’imprenditore fallito cui deve essere devoluto l’eventuale residuo della liquidazione fallimentare dopo il riparto finale. Appare tuttavia contraddittoria la motivazione del parere del curatore laddove, proprio nel momento in cui si fa carico di tale interesse dei soci della società fallita, egli non tiene in alcun conto dei precisi, chiari elementi di fatto che inducono senza possibilità di dubbio a ritenere che i soci della società fallita  per ragioni che essi hanno valutato e in ordine alle quali gli organi della procedura non hanno titolo per sovrapporsi o contrapporsi - intendono rinunciare ad ogni ipotetico maggior valore risultante da una vendita fallimentare, manifestando il chiaro intendimento di preferire la soluzione concordataria proposta all’alternativa della vendita all’asta, pur nella espressa consapevolezza che tale ultima strada garantirebbe un verosimile maggiore realizzo e quindi un loro diritto di percepire la differenza residua dopo il riparto finale. Che in questo senso sia la volontà dei soci emerge con tutta evidenza da molteplici circostanze: la prima attiene alla proposizione di identica proposta di concordato a suo tempo formulata dalla società fallita, basata sulla scrittura privata intercorsa con la stessa C. S.r.l. condizionata all’omologa del concordato fallimentare, dichiarata inammissibile per mancato rispetto del termine acceleratorio oggi previsto dall’art. 124 legge fall. per la presentazione della proposta di concordato da parte del fallito; detta proposta, se non rileva oggi come possibile soluzione concordataria, mantiene tutto il suo significato come evidente manifestazione della volontà dei soci (allora recepita nel verbale di assemblea straordinaria, pur non essendo tale formalità più richiesta dal nuovo art. 152 legge fall. per le società di capitali) di rinunciare al possibile maggiore realizzo in sede fallimentare. In secondo luogo l’amministratore unico della società fallita G.P. ebbe a suo tempo a comunicare al curatore - prima della emissione del parere - che la nuova proposta di concordato era dalla società fallita approvata incondizionatamente nonostante la consapevolezza del superiore valore dei beni componenti l’attivo fallimentare, addirittura esonerando il curatore da ogni responsabilità in relazione ai minori valori espressi rispetto ai valori di stima, rinunciando ad ogni azione di responsabilità nei confronti del curatore in relazione all’ipotetico residuo attivo realizzabile con differente modalità di liquidazione. Orbene, pur in presenza di tali chiare manifestazioni di volontà nel senso della rinuncia ad ogni diritto eventualmente nascente da una liquidazione fallimentare, il curatore ha fornito parere negativo sulla proposta proprio adducendo quale motivo principale la esigenza di tutela dei soci della società fallita, senza spiegare per quale motivo tale esigenza debba assumere una valenza prioritaria ed in senso ostativo nonostante il dichiarato interesse dei soci in senso contrario. Ne´ può pretendere il curatore che tale volontà risulti da atto compiuto con formalità (assemblea straordinaria) che non sarebbero oggi più richieste neppure nel caso di proposta concordataria presentata dalla società fallita.

Rileva poi il tribunale che sostanzialmente carente di motivazione appare il parere del curatore nella parte in cui lo stesso ritiene genericamente che l’onere concordatario, per quanto formalmente satisfattivo, può lasciare scoperti determinati capitoli di spesa: la proposta di concordato prevede infatti un accantonamento di una somma di oltre 57.000 euro per spese impreviste, somma certo sufficiente a coprire le ulteriori spese. Ciò a prescindere dal fatto che - gravando ogni eventuale futuro onere oggi imprevisto solo sui creditori - trattasi di un rischio che solo ai creditori spetta assumersi o meno con il proprio voto.

Sotto altro punto di vista, il parere negativo del curatore non pare legittimamente motivato con riferimento ad argomentazioni che certamente esorbitano dai poteri di valutazione allo stesso attribuiti: una volta che il curatore abbia assolto al proprio onere di informare i creditori sui possibili risultati di una forma alternativa di liquidazione, l’eventualità che il proponente il concordato abbia modo di lucrare sul valore del bene costituente l’attivo costituisce l’effetto di una iniziativa imprenditoriale lecita conseguente all’esito positivo del voto sulla proposta concordataria e che non compete agli organi della procedura sindacare o impedire.

Per le argomentazioni che precedono il reclamo contro il decreto del giudice delegato deve essere accolto e, in riforma del provvedimento reclamato, deve disporsi procedersi alla comunicazione della proposta di concordato fallimentare ai creditori.

(omissis)


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