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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1169 - pubb. 30/03/2008.

Obbligo di astensione e nesso di causalità


Tribunale di Venezia, 28 Febbraio 2008. Est. Fidanzia.

Intermediazione finanziaria – Contratto quadro – Difformità dal contenuto prescritto dalla legge – Divergenze relative alla definizione di norme comportamentali – Nullità – Esclusione.

Intermediazione finanziaria – Violazione da parte dell’intermediario di norme comportamentali relative alle singole operazioni – Conseguenze – Risarcimento del danno.

Intermediazione finanziaria – Operazioni inadeguate – Conflitto di interessi – Violazione da parte dell’intermediario dell’obbligo di astensione – Sussistenza in re ipsa del nesso di causalità – Violazione di altri obblighi comportamentali – Nesso di causalità – Onere della prova sussistenza.

Intermediazione finanziaria – Operazioni compiute in tempi diversi – Variazione del profilo di rischio – Valutazione – Necessità.


Non dà luogo a nullità il fatto che il contratto quadro non recepisca integralmente il contenuto previsto dall’art. 30 reg. Consob n. 11522/98, qualora le divergenze tra il testo del contratto e quanto previsto dalla citata norma riguardino profili che attengono alla disciplina dei comportamenti degli intermediari, disciplina che come tale non incide sul momento genetico del contratto ma solo sull’esecuzione dello stesso. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

La violazione da parte dell’intermediario delle norme comportamentali, intendendo per tali anche quelle che regolano il compimento delle singole operazioni di investimento, dà luogo ad un inadempimento contrattuale che può giustificare solo una pronuncia risarcitoria idonea a ristorare l’investitore del danno allo stesso eventualmente cagionato e ciò in quanto viene in rilievo una condotta dell’intermediario successiva alla conclusione del contratto quadro di negoziazione, avente natura attuattiva di obblighi assunti dall’intermediario proprio all’atto della stipulazione di tale contratto. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Ove l’intermediario non sia astenuto dal compiere un’operazione dalla quale avrebbe dovuto necessariamente astenersi – abbia, ad esempio, dato corso ad un’operazione in conflitto di interessi senza comunicare per iscritto l’esistenza di tale conflitto e senza ottenere la preventiva autorizzazione scritta del cliente oppure abbia eseguito un’operazione inadeguata in mancanza di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordine telefonico, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui fosse fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute - deve ritenersi che l’intermediario abbia concorso alla determinazione del danno. In tali ipotesi il nesso di causalità tra condotta dell’intermediario e danno subito dall’investitore è in re ipsa, mentre al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dal legislatore delegato in cui sussiste a carico dell’intermediario un esplicito divieto di astensione, l’inadempimento degli obblighi comportamentali non è sufficiente, di per sé, a dar luogo ad una pronuncia risarcitoria, essendo necessario che il risparmiatore dimostri l’esistenza del nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo informativo (omessa consegna del documento sui rischi generali, omessa raccolta delle informazioni sul profilo di rischio, omessa o carente informazione sulle caratteristiche e sui rischi dell’operazione, etc.) ed il danno. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

In ordine alle dimensioni dell’operazione, va affermato il principio per il quale ove vengano impugnate una pluralità di operazioni compiute in un certo arco di tempo, la percentuale di titoli speculativi da considerarsi come base per stabilire l’adeguatezza di ogni successiva operazione non coincide necessariamente con quella esistente precedentemente al primo acquisto ma può variare ed aggiornarsi in relazione alle caratteristiche dei successivi acquisti dell’investitore, il quale può cambiare il suo profilo di rischio nel corso del rapporto di investimento. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

 

omissis

FATTO E DIRITTO

Va premesso che la presente sentenza viene redatta in forma abbreviata a norma dell’art. 16 comma 5° D.L.vo 17.1.2003 n. 5, con la conseguenza che per la parte narrativa deve richiamarsi quanto dedotto dalle parti nei rispettivi atti difensivi.

Gli attori chiedono accertarsi la nullità dei seguenti ordine di acquisto di valori mobiliari:

- 3.9.1998 Argentina Dem. 7,875 – 98/05 per un controvalore di € 28.903,41;

- 10.11.1998 Argentina Dem 7,875-98/05 per un controvalore di € 78.392,94;

- 17.12.1998 Argentina Ecu 8,5 TF – 98/10 per un controvalore di € 32.000,00;

- 4.2.1999 Argentina Dem. 7,875-98/05 per un controvalore di € 13.194,67;

- 10.3.1999 Argentina Eur T.F. 99/04 per un controvalore di € 101.008,12;

- 27.4.1999 Argentina Eur 99/04 99/04 per un controvalore di € 24.930,75;

- 2.11.1999 Arg. Eur T.F. 99/02 per un controvalore di € 50.502,39;

- 15.11.2000 di bond Cirio T.F. 00/02 per un controvalore di € 133.017,25;

e per l’effetto e per l’effetto chiedono la condanna della banca convenuta alla restituzione della somma di € 461.950,37 al netto delle cedole incassate, ovvero di quella diversa somma di giustizia, oltre alla restituzione alla C. di tutti i titoli emessi dallo Stato argentino attualmente possedute dagli attori nonché delle obbligazioni Cirio Fin TF 00/02 pure possedute dagli attori.

In via subordinata, gli attori chiedono dichiarare risolti i contratti d’acquisto delle obbligazioni di cui in premessa oltre alla condanna al pagamento in via risarcitoria della stessa somma di € 461.950,37 o diversa somma di giustizia al netto delle cedole incassate. al risarcimento del danno stimato nella stessa somma di € 461.950,37.

Gli attori lamentano che le predette operazioni sono state eseguite in violazione di norme imperative di legge e segnatamente quelle di cui all’artt 23 T.U.F e 30 reg. consob. per non essere stato concluso preventivamente il contratto generale di negoziazione, trasmissione ed esecuzione degli ordine di acquisto e vendita di valori mobiliari (c.d. contratto quadro) oltre agli art. 21 TUF e 27,28,29 reg. Consob n. 11522 dell’ 1.7.98.

La Banca ha eccepito preliminarmente la carenza di legittimazione attiva per non avere gli attori dimostrato di agire in veste di eredi del defunto ing. Mario S..

Quanto al merito, la banca ha contestato la fondatezza delle domande attoree – in particolare, in ordine alla domanda di nullità ex art. 23 TUF ha depositato il contratto quadro - chiedendone in generale il rigetto. 

Va preliminarmente rigetta l’eccezione di carenza di legittimazione attiva degli attori.

Come osservato dalla giurisprudenza di legittimità (vedi Cass. 27.6.2005 n. 13738) “In tema di "legitimatio ad causam", colui che promuove l'azione (o specularmente vi contraddica) nell'asserita qualità di erede di altro soggetto indicato come originario titolare del diritto (nella specie rivendicazione della proprietà) deve allegare la propria legittimazione per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore, fornendo la prova, in ottemperanza all'onere di cui all'art. 2697 cod. civ., del decesso della parte originaria e della sua qualità di erede, perché altrimenti resta indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto di agire (o a contraddire); per quanto concerne la delazione dell'eredità , tale onere - che non è assolto con la produzione della denuncia di successione - è idoneamente adempiuto con la produzione degli atti dello stato civile, dai quali è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il "de cuius" che legittima alla successione ai sensi degli artt. 565 e ss cod. civ.. D'altra parte, con riguardo all'accettazione dell'eredità, poiché ai sensi dell'art. 476 cod. civ. l'accettazione tacita può desumersi dall'esplicazione di un'attività personale del chiamato incompatibile con la volontà di rinunciarvi,"id est"con un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l'eredità secondo una valutazione obiettiva condotta alla stregua del comune modo di agire di una persona normale,l'accettazione è implicita nell'esperimento, da parte del chiamato, di azioni giudiziarie, che - essendo intese alla rivendica o alla difesa della proprietà o ai danni per la mancata disponibilità di beni ereditari - non rientrano negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall'art. 460 cod. civ., sicché, trattandosi di azioni che travalicano il semplice mantenimento della stato di fatto quale esistente al momento dell'apertura della successione, il chiamato non avrebbe diritto di proporle e, proponendole,dimostra di avere accettato la qualità di erede”.

Nel caso di specie, gli attori hanno dimostrato il decesso de cuius Mario S. ( certificato di morte, doc. 1 fascicolo attoreo), il loro rapporto rispettivamente di coniugio e parentela con il medesimo (certificato storico di famiglia, doc. 2 dello stesso fascicolo). Inoltre, attraverso il promuovimento della presente azione, gli attori hanno dimostrato implicitamente ed inequivocabilmente la volontà di accettare l’eredità.

Quanto al merito, deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione di nullità del contratto di prestazione dei servizi di investimento ai sensi del combinato disposto degli artt. 23 dlgs n. 58/98 e 30 reg. consob.

Nella memoria di replica ex art. 6 la parte attrice ha precisato che quello che la banca individua come contratto quadro (il documento n. 4 di parte convenuta) ha in comune con quello richiesto dalla legge solo l’intestazione. “Tale documento non porta alcuna data (tant’è che controparte lo elenca in calce alla propria scrittura senza neppure precisare quando venne redatto). Da un esame del testo, esso risulta sottoscritto prima della promulgazione del regolamento consob n. 8850/1994, con cui la Consob dettò una nuova regolamentazione molto più analitica e rigorosa del contenuto del contratto quadro tra la clientela e gli intermediari. Non si spiega altrimenti…….”.

Da un attento esame di quanto illustrato dalla parte attrice nella citata memoria emerge che è pur vero che la stessa ha dichiarato che il c.d. contratto quadro di cui è causa era senza data, tuttavia, la stessa parte attrice non ha contestato che lo stesso fosse stato stipulato prima degli ordini di acquisto di cui è causa (il primo di questi si ricorda è del 3.9.1998). Eloquente è l’espressione degli attori“da un esame del testo, esso risulta sottoscritto prima della promulgazione del regolamento consob n. 8850/1994”.

Tale circostanza non è stata contestata dalla banca con la conseguenza che deve darsi per incontrovertibilmente accertata in causa a norma dell’art. 10 comma 2° bis dlgs. n. 5/03 e né può essere messa tardivamente in discussione proprio dalla parte che l’ha allegata.

Altra questione è se il contratto quadro che non recepisca integralmente il contenuto del contratto quadro prescritto dall’art. 30 reg. consob n. 11522/98 soddisfi o meno il requisito della forma scritta richiesta dall’art. 23 T.U.F.

La risposta deve ritenersi affermativa.

A tal proposito, si condivide che le divergenze tra il testo del contratto di cui è causa e quanto richiesto dall’art. 30 reg. consob riguardino profili che attengono alla disciplina dei comportamenti degli intermediari, disciplina che, come sarà di seguito illustrato, non incide sul momento genetico di formazione del contratto ma solo sull’esecuzione dello stesso.

E’ comunque assorbente l’osservazione che il principio di conservazione del contratto di cui all’art. 1419 cod. civ. imponga che la eventuale nullità di quelle clausole incompatibili con la nuova disciplina non si riverberi sull’intero contratto – è eloquente che la stessa parte attrice, nelle proprie conclusioni, chieda la declaratoria “di nullità di tutti gli ordini, contratti e operazioni sopra specificate, aventi ad oggetto le suindicate obbligazioni emesse dalla Repubblica Argentina nonché le obbligazioni Cirio Fin TF 00/02” e non dell’intero contratto la quale determinerebbe la nullità derivata di “tutti” gli ordini eseguiti in base al medesimo – ma comporti solo la sostituzione di diritto delle clausole ritenute nulle con le prescrizioni imperative stabilite dalla più recente normativa.

Deve, a questo punto, esaminarsi la questione relativa all’individuazione delle conseguenze giuridiche derivanti dalla lamentata violazione da parte della banca delle prescrizioni imposte dagli art. 21 T.U.F. e e 27, 28, 29 reg. consob.

Va preliminarmente osservato che nell’ambito della disciplina delineata dal Legislatore in tema di intermediazione finanziaria, costituita proprio dai citati dlgs n. 58/98 e dal suo regolamento attuativo n. 11522, atto normativo cui è stata espressamente demandata dallo stesso legislatore l’attuazione e disciplina dei principi generali posti dal T.U.F., ad avviso di questo Collegio, così accogliendo – anche per la parte rispetto alla quale questo Tribunale aveva precedentemente espresso un diverso avviso - quanto ritenuto dalla Suprema Corte nella sua composizione a S.U. nella sentenze nn. 26724 - 26725/07, possono essere distinte due categorie di regole:

 le norme che stabiliscono dei veri e propri requisiti di validità e sono volte quindi ad imporre all’intermediario l’osservanza di obblighi di forma e le norme che si limitano ad imporre degli obblighi comportamentali.

All’interno della prima categoria, va ricondotta la norma di cui all’art. 23 TUF che prescrive la necessaria forma scritta per il c.d. contratto quadro.

La violazione delle norme comportamentali, intendendo per tali anche quelle che regolano il compimento delle singole operazioni di investimento, dà luogo invece ad un inadempimento contrattuale che può giustificare solo una pronuncia risarcitoria idonea a ristorare l’investitore del danno allo stesso eventualmente cagionato, venendo in rilievo una condotta dell’intermediario successiva alla conclusione del contratto quadro di negoziazione ed avente natura attuattiva di obblighi assunti dall’intermediario proprio all’atto della stipulazione di tale contratto.

La pronuncia risarcitoria presuppone la sussistenza di un nesso causale tra violazione della norma comportamentale ed il danno (normalmente coincidente nelle cause di intermediazioni finanziaria con la perdita dell’investimento).

A tal proposito, se in generale grava specificamente sull’investitore l’onere di dimostrare il nesso di causalità tra inadempimento degli obblighi comportamentali e danno, onere che può essere assolto eventualmente anche attraverso il ricorso a presunzioni a norma dell’art. 2727 e ss. cod. civ. - l’inversione dell’onere della prova previsto a carico della banca dall’art. 23 T.U.F. in ordine all’osservanza degli obblighi di diligenza e corretta informazione non può, infatti, estendersi anche alla dimostrazione del nesso di causalità tra condotta negligente della banca medesima e danno – vi sono, tuttavia, talune ipotesi nelle quali, come emerge inequivocabilmente dalla lettura della sentenza n. 27624/07 delle S.U. della Suprema Corte, il nesso di causalità in questione deve ritenersi in re ipsa.

Si tratta di situazioni, come nel conflitto di interessi e nelle operazioni inadeguate, nelle quali il legislatore delegato – la natura imperativa delle cui disposizioni emerge testualmente (analogamente a quanto statuito dall’art. 21 T.U.F. con l’espressione “per l’integrità dei mercati”) dall’art. 26 reg. consob che usa l’espressione “nell’interesse ..dell’integrità del mercato” – ha stabilito che l’intermediario può legittimamente dar attuazione all’ordine di investimento solo in presenza di determinate condizioni non ricorrendo le quali lo stesso ha l’obbligo di astenersi.

Ove l’intermediario non sia astenuto dal compiere un’operazione dalla quale avrebbe dovuto necessariamente astenersi – abbia, ad esempio, dato corso ad un’operazione in conflitto di interessi senza comunicare per iscritto l’esistenza di tale conflitto e senza ottenere la preventiva autorizzazione scritta del cliente oppure abbia eseguito un’operazione inadeguata pur in mancanza di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordine telefonico, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui fosse fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute - deve ritenersi che l’intermediario abbia concorso casualmente alla determinazione del danno.

Eloquente è quanto osservato dal giudice di legittimità nel paragrafo 3.3.3. della citata sentenza 27624/07 con riferimento ad una situazione di conflitto di interessi:”…Infatti, se la situazione di conflitto fosse configurabile, non sarebbero le concrete e specifiche modalità esecutive a venire in questione, ma il compimento stesso dell’operazione che non avrebbe dovuto affatto aver luogo.

Ai fini dell’individuazione di un eventuale danno risarcibile subito dal cliente e del nesso di causalità tra detto danno e l’illegittimo comportamento imputabile all’intermediario, assumono rilievo le conseguenze del fatto che l’intermediario medesimo non si sia astenuto dal compiere un’operazione dalla quale, in quelle circostanze, avrebbe dovuto astenersi (sempre che, s’intende, risulti provato che nel caso in esame , aveva l’obbligo di astenersene) non quelle derivanti dalle modalità con cui l’operazione è stata in concreto realizzata o avrebbe potuto esserlo ipoteticamente da altro intermediario…..”.

Non vi è dubbio che quanto ritenuto dal giudice di legittimità nella sua composizione a sezioni unite non possa essere circoscritto alle operazioni in conflitto di interesse ma sia espressione di un principio generale che deve trovare applicazione ogni qualvolta l’intermediario dia corso ad un’operazione dalla quale, secondo quanto disposto dal regolamento consob, avrebbe dovuto astenersi.

Ne consegue che il nesso di causalità deve ritenersi sussistente in re ipsa anche nel caso in cui l’intermediario dia esecuzione ad un’operazione inadeguata senza rispettare le prescrizioni di cui all’art. 29 regolamento consob.

Al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dal legislatore delegato in cui sussiste a carico dell’intermediario un esplicito divieto di astensione, l’inadempimento degli obblighi comportamentali non è sufficiente di per sé a dar luogo ad una pronuncia risarcitoria.

E’ necessario che il risparmiatore dimostri specificamente a tal fine l’esistenza del nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo informativo (omessa consegna del documento sui rischi generali, omessa raccolta delle informazioni sul profilo di rischio, omessa o carente informazione sulle caratteristiche e sui rischi dell’operazione, etc.) ed il danno (perdita dell’investimento).

In sostanza, il risparmiatore deve provare che se avesse avuto complete informazioni da parte dell’intermediario, sarebbe stato dissuaso dal porre in essere l’investimento incentivato e non avrebbe quindi acquistato quei titoli.

Nel caso di specie, gli attori hanno posto in essere numerose operazioni di investimento in relazione a ciascuna delle quali deve svolgersi un’autonoma valutazione di adeguatezza.

Esaminando, in particolare, il dossier titoli del sig. Mario S. al momento del compimento della prima operazione qui impugnata (vedi doc. 2 fascicolo della banca) emerge che lo stesso conteneva strumenti finanziari con diversi gradi di rischiosità. 

Accanto alla presenza di titoli di natura chiaramente conservativa, ve ne erano degli altri il cui grado di rischio – che può essere ricavato induttivamente anche dal rendimento dagli stessi offerto ai sensi del punto 1.3 del documento sui rischi generali degli investimento - era quantomeno equivalente a quello dei bond argentini e Cirio di cui è causa (all’affermazione di parte attrice secondo cui tutti i titoli precedentemente acquistati da Mario S. avevano un rating non inferiore alla lettera A, in quanto priva di riscontro documentale ed espressamente contestata dalla banca sia in comparsa conclusionale che in sede di discussione orale, non può attribuirsi alcun rilievo).

In particolare, i titoli Merril presenti nel portafoglio titoli al 30.6.1998 riconoscevano al risparmiatore la cedola elevatissima del 13%, con un rendimento quindi assai più elevato di quello offerto dai bond argentini negli anni 1998-1999 (dal 7,875 % al 10 % circa gli ultimi titoli). Né peraltro tale tasso più elevato può giustificarsi solo con la più lunga scadenza del titolo (98/08) dal momento che, nonostante anche i bond argentini acquistati dallo S. in data 17.12.1998 avessero addirittura una scadenza del 2010, gli stessi riconoscevano un rendimento assai più contenuto dell’8,5%.

Analogo discorso va svolto con riferimento sia ai titoli Rabobank, che a fronte di una scadenza più o meno coincidente con quella di quasi tutti i bond argentini di cui è causa (2004-2005) riconoscevano il tasso ragguardevole del 7,7%. , sia con i titoli dello stato canadese del Quebec che per la scadenza dell’agosto 2003 attribuivano il tasso dell’8,125%.

Deve quindi ritenersi che, avuto riguardo alla pregressa operatività dell’investitore, al momento dell’acquisto delle prime obbligazioni argentine, le operazioni poste in essere dallo S. non fossero inadeguate per tipologia.

In ordine alle dimensioni dell’operazione, va preliminarmente affermato il principio che nel caso in cui vengano impugnate una pluralità di operazioni compiute in un certo arco di tempo, la percentuale di titoli speculativi da considerarsi come base per stabilire l’adeguatezza di ogni successiva operazione non coincide necessariamente con quella esistente precedentemente al primo acquisto ma può variare ed aggiornarsi in relazione alle caratteristiche dei successivi acquisti dell’investitore, il quale può cambiare nel corso del rapporto di investimento il suo profilo di rischio.

Ciò premesso, nel caso di specie, al momento del primo acquisto del 3.9.1998 la percentuale di titoli più speculativi nel dossier titoli del sig. S. era pari a circa il 10% (£ 60.000.000 di Merril + 14.558.400 di Quebec + 95.000.000 di Rabobank al cospetto di un portafoglio complessivo di £ 1.664.229.300). Ne consegue che il primo acquisto di bond argentini per £ 55.964.804 deve ritenersi pienamente adeguato incidendo solo per la percentuale di circa il 3% sul valore dell’intero portafoglio.

Procedendo oltre nella disamina, prima del secondo acquisto del 10.11.1998 la percentuale di titoli speculativi era aumentata al 13% (dovendosi cumulare l’ammontare del primo acquisto di natura speculativa al valore iniziale di tale composizione di portafoglio), con la conseguenza che è in relazione a questo diverso e superiore valore che doveva valutarsi l’adeguatezza solo il profilo delle dimensioni della nuova operazione.

Orbene, essendo il secondo acquisto di £ 151.789.902 (pari € 78.392,94), anche questo si appalesa adeguato rispetto al patrimonio mobiliare dello S. (nel frattempo cresciuto a £ 1.720.188.651 pari a € 88.403,30), incidendo in una percentuale inferiore al 10% del portafoglio.

Discorso analogo deve effettuarsi per il terzo acquisto del 17.12.1998 di £ 61.962.273 (pari € 32.000 circa) e per il quarto del 4.2.1999 di £ 25.548.440 (pari a € 13.194,67) le cui percentuali rispetto all’intero portafoglio sono ampiamente inferiori al 10%.

Al momento del quinto acquisto del 10.3.1999 di £ 195.578.993, la percentuale di titoli più speculativi detenuta dallo S. rispetto all’intero portafoglio era nel frattempo cresciuta a circa il 27% . Ne consegue che anche questo acquisto era adeguato in termini percentuali al profilo di rischio dell’investitore.

Lo stesso discorso deve svolgersi per l’acquisto di £ 48.272.663 pari a € 24.930,75 del 27.4.1999.

Dopo quest’ultima operazione, come si evince dall’esame della situazione titoli dello S. al 30.6.1999, la percentuale detenuta dall’investitore in titoli più speculativi rispetto all’intero portafoglio era salita a circa il 36% di cui il 27% concentrato in titoli argentini.

Ad avviso di questo Collegio, questo era il momento in cui la banca, nonostante la indiscutibile presa d’atto del mutato profilo di rischio del cliente in termini sempre più speculativi - circostanza che la aveva indotta a non segnalare correttamente l’inadeguatezza delle precedenti operazioni - avrebbe dovuto consigliare allo stesso maggiore prudenza e scoraggiarlo dal reiterare la concentrazione della parte più speculativa del suo patrimonio mobiliare soprattutto in un unico titolo.

Invece, se si esamina l’elenco movimenti titoli nel periodo 1.7.1999-31.12.1999 e la situazione al 31.12.1999 emerge che il sig. S. , con il successivo acquisto del 2.11.1999 per l’importo di £ 97.786.263, pari a € 50.502,39, ha aumentato la percentuale di titoli argentini sull’intero portafoglio superando la soglia del 30% ed assestandosi al 36,5%.

Non vi è dubbio che proprio tale operazione si appalesi inadeguata in quanto si pone in evidente conflitto con il principio generale di diversificazione del rischio che trova un riscontro normativo nei punti 1.2. e 1.4. del documento sui rischi generali degli investimenti (documento allegato al regolamento consob n. 11522/98), secondo cui il rischio specifico può essere diminuito sostanzialmente attraverso la suddivisione del proprio investimento tra titoli emessi da diversi emittenti (diversificazione del portafoglio).

La banca, quando il sig. S. ha impartito l’ultimo ordine di acquisto in bond argentini, non avendo tenuto conto di questo principio, non ha segnalato, come invece avrebbe dovuto, l’inadeguatezza dell’operazione e non si è astenuta dal porla in essere.

Ne consegue che, relativamente a tale acquisto, in conformità a quanto ritenuto dalle sezioni unite della Corte di Cassazione e sopra evidenziato, devono ritenersi integrati tutti i presupposti per addivenire ad una pronuncia di risarcimento del danno nei confronti dell’intermediario, sussistendo l’inadempimento di un preciso obbligo di astensione, il danno ed il nesso di causalità (come detto in re ipsa) tra i primi due elementi.

Infine, in ordine all’acquisto di bond Cirio del 15.11.2000 per l’importo di € 133.017,25, va osservato che tale operazione si appalesa adeguata sia rispetto al profilo di rischio dell’investitore, sia con riferimento alle dimensioni - atteso che prima di tale operazione la percentuale che il sig. S. aveva investito in titoli speculativi era assai rilevante (superiore al 40%) – sia in termini di diversificazione del rischio, rappresentando tale titolo una percentuale ampiamente inferiore al 10% dell’intero portafoglio.

A questo punto, occorre valutare se, con riferimento alle operazioni ritenute da questo Collegio adeguate, sia o meno necessario accertare l’eventuale inosservanza da parte dell’istituto bancario delle regole comportamentali ovvero, anche ammettendo il mancato rispetto degli obblighi informativi, sia sufficiente formulare un giudizio ex ante assorbente in ordine alla sussistenza o meno del nesso di causalità.

A tal proposito, gli attori lamentano di non essere stati informati, al momento del compimento delle singole operazioni, dei rischi delle medesime, e, segnatamente, della disastrata situazione economica sia dello Stato argentino che della Cirio, rischi che sarebbe stati tali da lasciar presagire con una certa certezza il defaulf.

 Sul punto, la banca ha chiesto di provare per testi che il cliente, prima di impartire l’ordine di investimento, era stato informato delle caratteristiche dello specifico strumento finanziario oggetto di contestazione, del rating ufficiale, del mercato di riferimento, della correlazione tra rischio e rendimento.

Questo collegio ha ritenuto di non ammettere la prova, in ragione della sua irrilevanza, atteso che, a monte, gli attori non hanno dimostrato che in caso di conoscenza di informazioni più specifiche sui bond argentini o Cirio non avrebbero acquistato i titoli di cui è causa (c.d. nesso di causalità).

E’ indubitabile che se gli attori fossero stati orientati solo all’acquisto di titoli sicuri, finalizzati alla mera conservazione del capitale, la prova del nesso di causalità sarebbe stata fornita facilmente a mezzo di presunzioni.

Tuttavia, è proprio il profilo finanziario del sig. S. derivante dalla sua pregressa operatività - che evidenziava la disponibilità ad assumere dei rischi - che non consente di ritenere con ragionevole certezza che lo stesso, pur al corrente di certe informazioni, si sarebbe comportati diversamente.

Ad esempio, la circostanza che i titoli Cirio fossero emessi all’estero non poteva certo ritenersi ostativa al loro acquisto per investitori come il sig. S. già abituato ad acquistare obbligazioni estere (vedi Siemens, Merril, Abbey, Quebec, etc.)

 Analogo discorso va svolto con riferimento alla mancanza di rating.

Per l’investitore il cui obiettivo principale è quello infatti di incassare cedole sempre più elevate e di rivalutare maggiormente il proprio capitale (quantomeno per una certa percentuale del suo portafoglio) la mancanza di rating o un rating basso non costituisce un motivo ostativo all’acquisto di un titolo.

Nel caso di specie, il sig. S., volendo mantenere i tassi alti assicuratigli dai titoli acquistati nei primi anni ’90, non aveva esitato ad acquistare Merril al 13%.

 Peraltro, in quel periodo, nel panorama finanziario sia italiano che internazionale, la stragrande maggioranza delle emissioni in termini di numero e la maggioranza in termini di valore non era assistita da alcun rating o aveva un rating caratterizzato da un grado di rischio molto elevato (pag. 21 articolo di Marco Onado, doc. 25 attoreo).

Si rimprovera alla banca di non aver avvisato il sig. S. dell’avvertenza contenuta nella offering circular dei bond argentini che le obbligazioni erano adatte solo a investitori speculativi ed in condizione di valutare rischi speciali. Ma può davvero sostenersi che tale dicitura avrebbe disincentivato il risparmiatore dall’acquisto di tali titoli?

Questo Collegio ritiene di no: quando è pacifico che è stato consegnato al sig. S. il documento sui rischi generali nel marzo 2000 (vedi doc. 15 attoreo) – documento che al punto 1.3. dispone in modo inequivocabile che il tasso offerto da un titolo è inversamente proporzionale alla solidità finanziaria dell’emittente - il sig. S. non ha avuto tentennamenti ad acquistare per importi molto elevati prima i bond Cirio e poi bond Parmalat che allora riconoscevano rendimenti assai superiori a quelli dei titoli di Stato italiani.

 E’ indubbio che a ben differenti conclusioni si sarebbe invece addivenuti laddove fosse stato dimostrato che la banca, al momento dell’acquisto dei titoli in oggetto, fosse stata in possesso di particolari notizie sulla disastrata solidità economica degli emittente (stato argentino e Cirio) e/o sulla loro irreversibile situazione di insolvenza e si fosse astenuta dal rivelarle ai clienti.

Tuttavia, ad avviso di questo Collegio, avuto riguardo al periodo in cui sono stati effettuati gli acquisti di cui è causa (periodo settembre 1998 – novembre 1999 per le obbligazioni argentine e novembre 2000 per i bond Cirio), non si hanno elementi sufficienti per ritenere che a quell’epoca la banca, pur con la diligenza richiesta all’operatore qualificato, potesse avvertire una qualsiasi avvisaglia del default che avrebbe travolto quei titoli, con conseguente obbligo di fornire al cliente le relative informazioni.

Per quanto concerne i bond argentini, se è pur vero che si trattava di titoli speculativi, tuttavia, il rating dello stato argentino era stabile e, peraltro, neppure agenzie esperte del mercato borsistico avevano percepito i sintomi della futura (circa 2 anni dopo ) insolvenza.

In particolare, costituisce ormai un fatto notorio e comunque evidenziato da questo Tribunale in numerosi recenti precedenti (vedi sentenza pronunciata il 15.2.2007 nella causa RG 1461/06), che le società di rating Standard & Poor ‘s e Moody’s solo a partire dal marzo 2001 hanno ripetutamente declassato lo Stato argentino in ordine all’affidabilità dello stesso ad onorare gli impegni: se quindi successivamente al reiterato declassamento dei titoli argentini questi potevano effettivamente essere ad alto rischio di insolvenza, non altrettanto può dirsi con riferimento al novembre 1999.

Per quanto concerne i bond Cirio, come emerge dal grafico di pag. 12 del doc. 25 di parte attorea (articolo di Marco Onado) nel novembre 2000 la quotazione del titolo Cirio presso la borsa valori di Milano era circa 0,9, più della quotazione che aveva alla fine del 1998.

Ben diversa, ovvero 0,2, avrà il titolo al momento del default avvenuto nel dicembre 2002.

Va inoltre osservato che sempre nell’articolo di Onado viene evidenziata l’opera di occultamento al mercato ed agli investitori della reale situazione finanziaria posta in essere da Cragnotti e dagli altri amministratori di Cirio, situazione di cui – si osserva - potevano essere al corrente le banche finanziatrici ed azioniste della società caduta in default.

Tuttavia, è pacifico che la banca convenuta non si trovava neppure in una sorta di osservatorio privilegiato, non risultando che la stessa abbia partecipato ad alcuno dei consorzi di collocamento e garanzia per l’emissione delle obbligazioni Cirio

In conclusione, non essendo stata raggiunta la prova che la banca nel novembre 2000 fosse in possesso di informazioni tali da lasciar presagire l’avvenuto default dei bond Cirio, alcuna censura può muoversi alla medesima.

In conclusione, in relazione all’operazione (ritenuta inadeguata) di acquisto di bond argentini del 2.11.1999 per l’importo di € 50.000,00 deve condannarsi la C. al risarcimento dei danni da liquidarsi dopo la rimessione della causa in istruttoria, e ciò al fine di determinare con esattezza il valore attuale dei titoli de quibus detenuti dagli attori nonchè delle cedole incassate dagli stessi. Non essendo questi due ultimi valori emersi con chiarezza dall’esame dei documenti di cui è causa, appare opportuno disporre CTU idonea ad accertarli.

P.Q.M.

Il Tribunale di Venezia, non definitivamente pronunciando tra le parti in epigrafe, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa,

condanna la C. s.p.a. al risarcimento dei danni a favore degli attori in relazione all’acquisto del 2.11.1999 per l’importo di € 50.000,00.

Rimette la causa in istruttoria al fine di accertare il valore esatto dei titoli rispetto ai quali è stato riconosciuto il risarcimento dei danni nonché l’esatto importo delle cedole incassate dagli attori in relazione a tali titoli. Nomina all’uopo CTU il dott. ** di Venezia, a meno che le parti non siano in grado di fornire concordemente tali valori.

Fissa l’udienza del 7.4.08 h. 10,45 innanzi al giudice relatore dott. A. Fidanzia cui delega la verifica della necessità o meno della disposta consulenza tecnica d’ufficio, delegando lo stesso altresì alla fissazione della nuova udienza collegiale di discussione.

Venezia, così deciso il 28.2.08