Diritto della Famiglia e dei Minori


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 8991 - pubb. 23/05/2013

Competenza del tribunale ordinario sui provvedimenti ex artt. 330, 333 c.c., alla luce della legge 219 del 2012

Tribunale Milano, 07 Maggio 2013. Est. Buffone.


Affidamento temporaneo del Minore – Consenso del genitore esercente la potestà – Necessità del provvedimento del tribunale ex art. 333 c.c. – Esclusione – Eventuale ricorso – Inammissibile (art. 333 c.c.; legge 184/1983).

Provvedimenti limitativi della potestà genitoriale – Art. 333 c.c. – Decadenza dalla potestà genitoriale – Art. 330 c.c. – Competenza del Tribunale ordinario – Art. 38 disp. att. c.c. – legge 219/2012 – Presupposti (art. 333 c.c.; legge 184/1983).



L’istituto dell’affidamento temporaneo è regolato dalla legge 4 maggio 1983 n. 184 (come riscritta dalla legge 28 marzo 2001 n. 149) e consiste nel provvisorio allontanamento del minore dalla sua famiglia d’origine per essere affidato in cura a terzi, in genere legati allo stesso da rapporti di parentela. L’istituto è fisiologicamente temporaneo poiché cessa non appena venga meno l’impedimento dei genitori ostativo al pieno esercizio della potestà. La normativa disciplia due diverse ipotesi di affidamento temporaneo: quello consensuale e quello giudiziale. Nel primo caso, i genitori del minore hanno manifestato il loro consenso all’affidamento temporaneo che viene disposto dal Servizio locale e reso esecutivo dal Giudice tutelare (art. 4 comma I, legge 184/1983). Nel secondo caso, in difetto di consenso dei genitori, l’affidamento viene disposto dal Tribunale per i Minorenni e si applicano gli artt. 330 e ss. c.c. (art. 4 comma II, legge 184/1983). Quanto al primo aspetto considerato, dove sussista pieno e valido consenso del genitore esercente la potestà genitoriale all’affidamento temporaneo del minore, si versa nella fattispecie normativa che non richiede l’intervento giudiziale per l’affidamento temporaneo del minore ma esclusivamente lo scrutinio del giudice tutelare ai fini della esecutività. Ne consegue che, sotto l’aspetto in considerazione, non vi è luogo a provvedere e l’eventuale ricorso proposto al giudice non è ammissibile. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

La legge 10 dicembre 2012 n. 219, riscrivendo l’art. 38 disp. att. c.c., ha attribuito al Tribunale ordinario la competenza a pronunciare i provvedimenti limitativi della potestà genitoriale (art. 333 cod. civ.) esclusivamente nel caso in cui sia pendente, «tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'articolo 316 del codice civile»: in altri termini, l’azione ex art. 333 c.c. proposta in via autonoma non rientra nella competenza del Tribunale ordinario che nemmeno è competente per la declaratoria di cui all’art. 330 c.c., ipotizzabile sempre soltanto nel caso in cui penda un procedimento di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c.c (v. art. 38, comma I, disp. att. c.c.). Il presupposto per la potestas decidendi del Tribunale Ordinario è, dunque, la concentrazione processuale delle domande. Non solo: la legge richiede espressamente, quale condicio sine qua non per la competenza del tribunale ordinario ex art. 333 c.c., che il processo penda «tra le stesse parti», quanto dunque non ricorrerebbe nel caso di domanda introduttiva proposta dai nonni, in quanto, come noto, gli ascendenti non sono parti del procedimento di separazione, divorzio, o ex art. 316 c.c.. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


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