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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 436 - pubb. 01/07/2007

Caso Parmalat e azione di responsablità in sede penale e civile

Tribunale Parma, 06 Dicembre 2006. Est. Luisa Poppi.


Azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci promossa in sede civile – Costituzione di parte civile nel processo penale – Identità di causa petendi – Estinzione del giudizio civile ex art. 75 c.p.p..

Azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci – Mancata costituzione di parte civile dell’assuntore del concordato di grande impresa in crisi – Richiesta di estinzione del giudizio - Legittimazione – Esclusione.

Concordato ex art. 4-bis l. n. 39/2004 relativo a grandi imprese in crisi – Cessione della res litigiosa all’assuntore – Sostituzione processuale – Successione a titolo particolare ex art. 111 c.p.c..

Cessione di res litigiosa – Correlazione tra titolare non estromesso del diritto ceduto e successore a titolo particolare - Esercizio contemporaneo dell’azione in sede civile e in sede penale – Sospensione del processo.



Sussiste identità della causa petendi ove nel giudizio civile promosso dal commissario straordinario venga richiamata la violazione delle norme che regolano il rapporto funzionale tra amministratori e sindaci con le società del gruppo e, nella causa penale, venga fatto invece rinvio ai fatti di reato che presuppongono la violazione degli obblighi legali e pattizi concernenti le attribuzioni funzionali di costoro sicché, avvenuta la costituzione di parte civile da parte del commissario straordinario di società ammessa alla amministrazione straordinaria, l’azione civile dal medesimo proposta in sede civile ai sensi degli artt. 2393 e 2394 c.c. va dichiarata estinta ex art. 75 c.p.p.. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

In considerazione della mancata ammissione di costituzione di parte civile dell’assuntore del concordato ex art. 4-bis l. n. 39/04, costui non è legittimato a richiedere l’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 75 c.p.p.. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Per effetto del concordato di cui all’art. 4-bis l. n. 39/04 il commissario straordinario cede la res litigiosa all’assuntore il quale, nei giudizi civili, assume la veste di sostituto processuale ex art. 81 c.p.c. e va considerato come successore a titolo particolare ex art. 111 III co. c.p.c.. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Esistendo una inscindibile correlazione tra l’originario titolare del rapporto non estromesso ed il successore a titolo particolare deve escludersi la possibilità che la stessa azione possa essere esercitata sia in sede penale (dalla Parmalat in amministrazione straordinaria in persona del commissario straordinario) sia in questa sede civile (dall’assuntore) e poiché il giudicato in sede penale ha rilevanza ed è opponibile nel giudizio civile, per effetto del combinato disposto dell’art. 211 delle norme di attuazione e di coordinamento del codice di procedura penale e dell’art. 295 c.p.c., tale ultimo procedimento deve essere necessariamente sospeso. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


IL TRIBUNALE DI PARMA

riunito in camera di consiglio e composto dai signori Magistrati:

1) Dott. Stellario     BRUNO            ‑ Presidente

2) Dott. Nicola        SINISI            - Giudice

3) Dott.ssa Luisa     POPPI            ‑ Giudice Rel.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

-1-

       Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di estinzione del presente giudizio per effetto dell’avvenuta costituzione di parte civile nel procedimento penale n. 2198/05 r.g.g.i.p. (n. 2395 r.n.r.) (atto di costituzione depositato nelle udienze 5 e 6 giugno 2006) del Commissario Straordinario nonché della Parmalat s.p.a. nella sua qualità di assuntore del concordato ex art. 4-bis l. n. 39/04.

       A questo proposito, in termini generali, deve chiarirsi come il trasferimento dell'azione civile comporta la rinuncia dell'attore al processo civile: rinuncia non all’azione -che continua in sede penale- bensì agli atti del giudizio civile, con effetto immediato e definitivo.

Sul punto appare significativa la pronuncia della Suprema Corte (Cassazione civile, sez. III, 30 giugno 2005, n. 13946) là dove chiarisce come, con la riforma del 1989, è stato disegnato un complesso sistema di rapporti tra procedimenti che può così sintetizzarsi:

1- la proposizione dell'azione civile dinanzi al giudice civile, se trasferita nel processo penale (il che risulta possibile fino a quando non sia stata pronunciata sentenza civile di merito anche non definitiva) comporta rinuncia agli atti del giudizio civile.

2- la rinuncia agli atti del giudizio comporta, ipso iure, l'estinzione del processo civile, senza che sia necessaria alcuna attività ulteriore dell'attore o della controparte (Corte cost. 211/2002).

3- La "stessa azione" ed il "medesimo processo" proseguono in sede penale (ancora Corte Cost. 211/2002), come confermato dal disposto dell'art. 78 c.p.p. (che, a differenza dell'art. 94 vecchio codice, esige la strutturazione dell'atto di costituzione di parte civile in termini di vero e proprio libello introduttivo dell'azione modellato sul disposto di cui all'art. 163 c.p.c., a pena di inammissibilità).

4- Da quel momento in poi (dal momento, cioè, della rituale costituzione di parte civile) l'unico processo che si celebra per le restituzioni ed i risarcimenti civili è quello instaurato dinanzi al giudice penale.

5- Qualsiasi ipotesi di "reviviscenza" del procedimento dinanzi al giudice civile originariamente investito della domanda è, pertanto, del tutto esclusa, in linea di principio: le uniche ipotesi di “prosecuzione” (vicenda ben diversa dalla reviviscenza) dell'azione nella sede civile originariamente adita sono quelle della inammissibilità della costituzione di parte civile (art.76 n.2 c.p.p.), e della sua esclusione (artt.80-81 c.p.p.): ma ciò ben si spiega considerando che, in realtà, nessuna costituzione di parte civile si è ancora legittimamente perfezionata, e nessuna estinzione del processo civile si è, conseguentemente, ancora verificata, sicché nessuna “reviviscenza” (trattandosi, per l'appunto, di semplice “prosecuzione”) di quello stesso processo si è in alcun modo realizzata.

-2-

       Date tali premesse questo Collegio prende atto che con ordinanza letta all’udienza del 24 Ottobre 2006 il G.U.P. presso il Tribunale di Parma nel procedimento penale sopra richiamato ha ammesso la costituzione di parte civile della Parmalat in amministrazione straordinaria in persona del commissario straordinario.

       Orbene, occorre rilevare che nell’atto di costituzione di parte civile depositato dal commissario straordinario nel procedimento penale si legge “la presente costituzione di parte civile è formulata al fine di ottenere il ristoro dei danni tutti, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dalle varie società del gruppo Parmalat in amministrazione straordinaria in occasione dei commessi reati”, rinviando per l’illustrazione della causa petendi la dettagliata descrizione dei comportamenti penalmente rilevanti indicati nei capi d’accusa.         Tale domanda di risarcimento danni derivante dal fatto illecito deve ritenersi comprensiva di ogni voce di danno (sul punto Cass. 23 giugno 1989 n. 3020), non essendovi specificata riserva alcuna per far valere nel separato giudizio civile altre voci di danno.

       In conclusione, dunque, la causa petendi non appare in nulla dissimile dalla citazione in giudizio nelle presenti cause riunite promosse dal commissario straordinario nei confronti di amministratori e sindaci: l’unica differenza (formale ma non sostanziale) è data dal diverso atteggiarsi dei riferimenti ritenuti rilevanti dall’attore a seconda della giurisdizione adita: nella causa civile si indica la violazione delle norme che regolano il rapporto funzionale tra amministratori e sindaci con le società del gruppo, mentre nella causa penale il rinvio integrale ai capi d’accusa pone l’accento sui fatti di reato che presuppongono in ogni caso la violazione degli obblighi legali e pattizi concernenti le attribuzioni funzionali degli amministratori e dei sindaci (illecito penale che è al contempo illecito civile).

       A ciò si aggiunga che la genesi da reato della pretesa risarcitoria rileva ulteriormente poiché consente anche nella sede civile il risarcimento dei danni non patrimoniali (ordinariamente preclusi e risarcibili solo in quanto previsto da norme specifiche - art. 2059 c.c.), con la conclusione che vi è identità assoluta anche sotto il profilo del petitum (danno patrimoniale -danno emergente e lucro cessante- e danni non patrimoniali) anche se caratteristica dell’azione civile nel processo penale è quella di consentire di precisare l’entità dei danni (il petitum) in sede di conclusioni, all’esito degli accertamenti di merito.

       In definitiva, quindi, l’azione risarcitoria che il commissario straordinario ha esercitato in sede penale non assume connotati di autonomia e diversità sostanziale, ma conserva la medesima natura di quella esercitata in sede civile pur subendo i consueti adattamenti derivanti dal carattere marcatamente pubblicistico che caratterizza il procedimento penale rispetto a quello civile: trattasi di azione di responsabilità (contrattuale per amministratori e sindaci, extracontrattuale per gli altri concorrenti nell’illecito) ex art. 2393 e 2394 c.c. cumulativamente esercitate dai rappresentanti della procedura.

       Conseguentemente, deve dichiararsi estinta l’azione esercitata dalla Parmalat in amministrazione straordinaria in persona del commissario straordinario ai sensi e con gli effetti di cui agli artt. 74 e sgg. c.p.p..

-3-

       Diverse e più complesse argomentazioni devono svolgersi, invece, in considerazione della mancata ammissione di costituzione di parte civile dell’assuntore del concordato ex art. 4-bis l. n. 39/04, nonostante le conclusioni assunte all’odierna udienza dalla difesa dell’Assuntore.

       Quest’ultima, infatti, ha formulato istanza di declaratoria di estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 75 c.p.p., ma, non essendo stata ammessa quale parte civile non appare, a questo Collegio, legittimata a richiedere l’estinzione del giudizio.

       Analogamente non è possibile interpretare quale rinuncia agli atti quanto oggi dichiarato dalla stessa difesa, atteso che la conseguenza sarebbe l’estinzione ex art. 306 c.p.c., istituto dai caratteri diversi dall’estinzione ex art. 75 cit..

       Quanto precede si rileva considerando da un lato che non è stata neppure chiesta l’accettazione delle altre parti costituite, dall’altro che sarebbe in contraddizione con l’opposizione manifestata -dalla stessa difesa- alla declaratoria d’inefficacia dei provvedimenti cautelari di sequestro invocata dalle altre parti.

       Orbene, per i motivi e le considerazioni sopra esposte (punto -1-), deve escludersi che il semplice (materiale) deposito dell’atto di costituzione possa avere avuto effetto estintivo del procedimento civile ex art. 75 c.p.p. (in combinato disposto con l’art. 306 c.p.c.) a seguito di una sorta di “rinuncia” agli atti del giudizio “anticipata” al momento di esercizio della facoltà.

       Infatti, nessuna costituzione di parte civile si era ancora legittimamente perfezionata, e nessuna estinzione del processo civile si è, conseguentemente, verificata.

       Né può ritenersi, sulla base di un presunta efficacia ex tunc della costituzione di parte civile della Parmalat in amministrazione straordinaria in persona del commissario straordinario, che l’assuntore non si sia validamente costituito nell’odierno procedimento civile in quanto il giudizio si sarebbe già, precedentemente, estinto per effetto della valida costituzione di parte civile della Parmalat in amministrazione straordinaria.

       Infatti, a prescindere dalla con condivisibilità  di una tale tesi che -nell’ipotesi in cui trascorra un significativo lasso di tempo tra la proposizione della costituzione di parte civile e l’emissione del provvedimento di ammissione- farebbe retroagire l’effetto estintivo al momento del deposito dell’istanza di ammissione, ci si limita a constatare come l’assuntore si sia costituito nel procedimento civile n. 4941/04 in data 26.5.2006 e nel procedimento civile n. 6776/04 in data 4.10.2006 (data in cui il Collegio ha provveduto alla riunione dei due procedimenti), mentre gli atti di costituzione sono stati depositati nelle udienze 5 e 6 giugno 2006 avanti il G.U.P. presso il Tribunale di Parma: pertanto, se ne deve concludere che, comunque, l’assuntore si è costituito nel procedimento civile quando sicuramente nessun effetto estintivo poteva essersi già verificato.

       Innanzitutto, ed in estrema sintesi, con il concordato ex art. 4-bis l. n. 39/04 il commissario straordinario ha ceduto la res litigiosa all’assuntore e, nei giudizi civili può restare nel processo -che, anzi, prosegue tra le parti originarie, art. 111 comma 1 c.p.c.- ma assume la veste di sostituto processuale avente una legittimazione straordinaria (uno dei ‘casi previsti dalla legge indicati dall’art. 81 c.p.c.) poiché fa valere un diritto che non è più suo (Cass. civ. 18.1.88 n. 320 e Cass. 7.8.90 n. 7090). Pertanto, l’esclusione della costituzione di parte civile è avvenuta in base alla considerazione che l’assuntore non può considerarsi “successore a titolo universale” ai sensi dell’art. 74 c.p.p., bensì a titolo particolare.

       Per valutare la posizione che l’assuntore verrebbe ad assumere in sede civile in questa particolarissima situazione in cui il suo “dante causa” ha invece efficacemente trasferito l’azione in sede penale, devesi innanzitutto approfondire la portata e gli effetti dell’art. 111 c.p.c.: la norma ha la funzione di evitare che, per effetto dei principi generali in tema di legittimazione, il trasferimento del diritto controverso determini la necessità di instaurare un nuovo processo nei confronti dell’acquirente e lo scopo è assicurato rendendo irrilevante il trasferimento rispetto al processo che prosegue tra le parti originarie (art. 111 comma 1 c.p.c.).

       Ciò significa che nel processo resta un soggetto (l’alienante, appunto) che non è più titolare del diritto controverso (comunemente inteso quale “diritto sostanziale dedotto in giudizio”) e che agisce -o resiste- in giudizio per far valere un diritto che non è più suo.

       Il comma 3 dell’art. 111 c.p.c. prevede, poi, l’ipotesi in cui il nuovo titolare del diritto possa intervenire nel giudizio con l’ulteriore conseguenza che quando si verifica questa eventualità il sostituto processuale possa essere estromesso (ipotesi, questa, che non merita approfondimento in questa sede posto che non vi è stato il consenso delle altre parti all’estromissione).

       Molto dubbia è in dottrina la natura di tale intervento, fermo restando che il successore a titolo particolare nel diritto controverso può assumere la qualità di parte anche per effetto di chiamata in causa su iniziativa degli altri intervenienti o anche per ordine del Giudice.

       Ci si domanda se questo intervento sia riconducibile ad una delle figure di cui all’art. 105 c.p.c.: contro l’opinione che vede in questa una forma di intervento adesivo è stato obiettato che a partire dal momento in cui l’acquirente interviene come vero interessato (titolare del diritto) è eventualmente l’alienante a trovarsi in una posizione assimilabile a quella dell’interveniente adesivo dipendente e non viceversa; d’altra parte non è pienamente convincente neppure la tesi per la quale si tratterebbe di intervento litisconsortile, dal momento che il vero titolare del diritto ha ormai (da quando assume la qualità di parte) una legittimazione propria ordinaria ed esclusiva, né può considerarsi intervento principale: più probabilmente deve ritenersi che l’art. 111 comma 3 c.p.c. rappresenti un tipo di intervento originale e sui generis.

       Tutte queste considerazioni portano a ritenere che esista un’intima ed inscindibile correlazione tra le due “parti” processuali (una volta che l’acquirente sia intervenuto nel processo e non sia stato dato il consenso all’estromissione) proprio in virtù della eccezionale legittimazione processuale di chi non è più titolare del diritto controverso e del particolare atteggiarsi di chi interviene in modo concorrente con altri per fare valere un diritto ormai esclusivamente proprio.

       Questa stretta correlazione si coglie in modo particolarmente pregnante esaminando taluni aspetti:

- innanzitutto con il trasferimento a titolo particolare operato in corso di causa, vengono a scindersi la titolarità del diritto controverso dalla titolarità dell’azione processuale (dal lato attivo o dal lato passivo), sì che il diritto sostanziale non si sottrae all'incidenza di vicende che possano determinarne delle modifiche o l'estinzione, con i conseguenti riflessi quanto alla stessa esistenza della correlata condizione dell'azione (cfr. Cassazione civile, sez. II, 7 agosto 1990, n. 7970). In altre parole, l’alienante, in seguito al trasferimento, permane nella titolarità di tutti quei poteri che sono necessari per condurre il processo alla sua naturale definizione -ad esempio può validamente rinunciare all’azione determinando la cessazione della materia del contendere- ma, dal momento in cui il successore a titolo particolare interviene in giudizio, è necessario scindere tra esercizio dei poteri di impulso processuale finalizzati al soddisfacimento della pretesa da un lato ed atti negoziali dall’altro (transazione, confessione, giuramento) che incidono direttamente sul diritto controverso, rimanendo questi ultimi di sola prerogativa dell’acquirente (in caso contrario il dante causa verrebbe a disporre due volte dello stesso diritto);

- la sentenza esplica i propri effetti nei confronti del successore a titolo particolare, sia o non sia intervenuto nel processo: pertanto la sentenza emanata contro le parti originarie si considera emessa nei confronti di veri sostituti processuali e fa stato sia nei confronti dell’alienante sia nei confronti del successore a titolo particolare: se la dottrina esclude che questa efficacia sia riflessa -considerandola efficacia diretta derivante dal fatto che l’acquirente è ormai il vero e unico titolare del diritto-, si può più semplicemente ritenere che se il successore è intervenuto in giudizio la sentenza lo vincola in quanto parte, mentre se non è intervenuto l’art. 111 ultimo comma c.p.c. estende eccezionalmente il limite soggettivo dell’art. 2909 c.c.

       Tale “eccezione” ha evidenti, significative, ripercussioni in relazione al regime di impugnazione di tale sentenza. Sul punto è intervenuta chiarificatrice la Corte di Cassazione Sez. Unite con sentenza del 22.1.2003 n. 875: “L'estraneità al processo del successore a titolo particolare cessa, come si è detto, per effetto d'intervento o di chiamata in causa, ovvero per esercizio della facoltà d'impugnazione, in quanto le relative evenienze ne esigono la presenza nelle ulteriori fasi del giudizio, sia pure assieme e non al posto della parte originaria, fino all'eventuale estromissione di essa (cfr. Cass. 19 maggio 2000 n. 6530). La citazione del successore a titolo particolare, per la prima volta in sede d'impugnazione, è assimilabile ad una chiamata in causa, speculare rispetto alla possibilità di detto successore d'impugnare la sentenza pronunciata nei confronti del dante causa (ove sfavorevole). Pertanto, la notificazione dell'atto d'impugnazione soltanto al successore a titolo particolare, che non abbia già assunto nelle precedenti fasi processuali la veste di parte, vale a conferirgli la relativa qualità nel giudizio d'impugnazione, di modo che non determina la nullità del giudizio stesso in assenza di contraddittorio, ma comporta, in difetto di pregressa estromissione del dante causa, l'incompletezza del contraddittorio e la necessità di disporne l'integrazione.”  

-4-

       Queste considerazioni portano ad escludere la possibilità che la stessa azione possa essere esercitata sia in sede penale (dalla Parmalat in amministrazione straordinaria in persona del commissario straordinario) sia in questa sede civile (dall’assuntore).

       La Suprema Corte ha in più casi affermato che il codice di procedura penale del 1988 non ha riprodotto la regola, dettata dall'art. 3 del codice di rito previgente, della necessaria pregiudizialità del processo penale rispetto a quello civile.

       Tuttavia, se nel sistema attualmente in vigore esiste una tendenziale autonomia tra i due giudizi, un rapporto di pregiudizialità tra di essi non può essere negato in via astratta e di principio, ostandovi l'art. 211 delle norme di attuazione e di coordinamento del vigente codice di procedura penale, ispirato alla finalità di prevenire contraddittorietà di giudicati, il quale prevede che, al di fuori delle ipotesi di cui all'art. 75, terzo comma, c.p.p. (e cioè quelle di giudizio civile avente ad oggetto l'azione riparatoria per le restituzioni ed il risarcimento del danno, in cui è fatto divieto di sospensione del processo civile se non quando l'azione sia stata proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado), la sospensione necessaria del giudizio civile è subordinata alla duplice condizione dell’avvenuto esercizio dell’azione penale e della rilevanza ed opponibilità dell’eventuale giudicato penale nel processo da sospendere.

       Il nuovo assetto dei rapporti tra azione civile e penale ha dato luogo altresì alla necessità di modifica dell’art. 295 c.p.c., che, nel testo risultante dalla novella di cui all’art. 35 della legge n. 353 del 1990, stabilisce che il giudice dispone la sospensione del processo in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipenda la decisione della causa: occorre, dunque, di volta in volta, un’indagine in concreto, diretta a verificare la sussistenza di un rapporto di pregiudizialità tra le due cause, idoneo a giustificare l'applicazione del citato art. 295 c.p.c. (tra le varie, cfr. Cassazione Civile, Sez. I, 16 luglio 2002, n. 10334; Cass. 21 settembre 1998, n. 9440).

       Orbene, nel caso che qui occupa, non vi è dubbio che sia avvenuto l’esercizio dell’azione penale e, altresì, che per effetto dell’art. 111 ultimo comma c.p.c., il giudicato in sede penale abbia rilevanza e sia opponibile nell’odierno giudizio civile.

       Pertanto, se ne deve concludere che -per effetto del combinato disposto dell’art. 211 delle norme di attuazione e di coordinamento del codice di procedura penale e dell’art. 295 c.p.c.- l’odierno procedimento debba essere necessariamente sospeso.

       Tale sospensione non consente di adottare alcuna decisione sulle richieste di immediata pronuncia per le azioni di garanzia o altrimenti accessorie spiegate nel presente giudizio. 

-5-

       Quanto alle raggiunte transazioni delle quali in questa udienza si ha avuto notizia, il Tribunale rileva che non vi è stata un’adesione di tutte le altre parti processuali, per cui, anche se la transazione può operare sotto il profilo sostanziale, allo stato non ha rilevanza sotto l’aspetto processuale.

       Appare condivisibile la tesi di parte attrice sulla permanenza dell’efficacia dei provvedimenti cautelari (sequestri) dal momento che il trasferimento dell’azione civile in sede penale non comporta la rinuncia all’azione stessa.

P.Q.M.

- dichiara l’estinzione dell’azione esercitata dalla Parmalat in amministrazione straordinaria in persona del commissario straordinario;

- dispone la sospensione necessaria del presente giudizio.

Parma, 6.12.2006

Il Presidente Dott. Stellario Bruno

Il Giudice estensore Dott.ssa Luisa Poppi