Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20276 - pubb. 26/07/2018

Società in house, deroghe all’art. 2380-bis c.c. e limitazione dei poteri dell’organo amministrativo alla sola amministrazione ordinaria

Tribunale Roma, 02 Luglio 2018. Est. Romano.


Società a partecipazione pubblica – Modifiche statutarie consentite dall’art. d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 – Limiti – Limitazione dei poteri dell’organo amministrativo alla sola amministrazione ordinaria – Illegittimità



La modifica apportata allo statuto della società per azioni che limita i poteri dell’organo amministrativo alla sola amministrazione ordinaria, si pone in contrasto con l’art. 2380-bis c.c., in quanto va ben oltre le facoltà di deroga consentite dall’art. 16 d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


Tribunale di Roma

Sezione specializzata in materia di impresa

Sedicesima Sezione Civile

composto dai Sig.ri magistrati:

dott. Stefano Cardinali Presidente,

dott. Francesco Remo Scerrato Giudice,

dott. Guido Romano Giudice estensore,

 

letti gli atti del procedimento n. 14583/2017 v.g.;

premesso che, con ricorso depositato in cancelleria in data 7 settembre 2017, l’avv. A., quale Presidente del Consiglio di amministrazione della B. S.p.A., chiedeva al Tribunale di Roma, ai sensi dell’art. 2436 c.c., di «ordinare l’iscrizione nel Registro delle imprese della delibera di assemblea straordinaria della B. S.p.A. del 28 luglio 2017 contenente le modifiche statutarie Rep. 85629 racc. n. 31054»;

considerato che, a fondamento della richiesta, la ricorrente rappresentava che: con delibera del Consiglio Comunale n. 119 del 26 luglio 2017 il Comune di Velletri approvava le modifiche da apportare allo Statuto della B. S.p.A., società in house totalmente partecipata dal Comune di Velletri, al fine di consentirne l’adeguamento alle disposizioni di cui al d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175; in data 28 luglio 2017, dinnanzi al notaio P. di Velletri, si teneva l’assemblea straordinaria dei soci della B. s.p.a. la quale approvava il nuovo testo dello statuto sociale in conformità a quello già deliberato dal Consiglio Comunale di Velletri in data 26 luglio 2017; con pec inviata in data 1 agosto 2017, il notaio P. comunicava alla società che non avrebbe proceduto a richiedere la iscrizione, nel registro delle imprese, della delibera concernente le modifiche statutarie deliberate dinnanzi a sé, nella parte in cui all’art. 20 «alcune modifiche introdotte nello statuto e segnatamente quelle che limitano i poteri dell’organo amministrativo alla sola amministrazione ordinaria sono in netto contrasto con l’art. 2380 bis c.c.»; le modifiche statutarie della società in house B. S.p.A. sono, al contrario, intervenute nel pieno adempimento delle condizioni stabilite dalla legge in quanto l’art. 16 d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 consente, espressamente, che “gli statuti delle società per azioni possano contenere clausole in deroga delle disposizioni dell'articolo 2380 bis e dell'articolo 2409 novies del codice civile” al fine di realizzare l’assetto organizzativo proprio delle società in house di cui al primo comma;

premesso che il notaio P., invitato a specificare le ragioni del rifiuto opposto alla iscrizione delle modifiche statutarie approvate dall’assemblea straordinaria della B. S.p.a., esponeva che: data la qualificazione in senso privatistico delle società a partecipazione pubblica e la facoltà di derogare al diritto societario solo se espressamente previsto (art. 1, comma 3 del D.lgs. n. 175/2016), non sembrano consentite, neppure implicitamente, deviazioni significative dalla normativa generale delle società di capitali; le deroghe statutarie ammesse dall’art. 16, comma 2, lett. a) del Testo Unico agli artt. 2380 bis e 2409 nonies c.c. non sono da intendersi in bianco, tali da rimetterne completamente il contenuto all’autonomia statutaria, e, presupponendo un rapporto di stretta strumentalità con l’esercizio del controllo analogo, sono eccezioni a regole generali e in quanto tali da interpretarsi in senso restrittivo ex art. 14 disp. prel. c.c.; l’introduzione di siffatte deroghe statutarie non può mai giungere ad eliminare o compromettere, a scapito del principio di proporzionalità delle deroghe di cui alla legge delega, la competenza e l’autonomia decisionale dell’organo gestorio, ma solo a limitarle – anche attribuendo al socio pubblico il potere di avocare a sé la decisione su tutte le operazioni strategiche e significative per la società controllata – considerando anche che ai sensi dell’art. 12 del Testo Unico gli organi di amministrazione delle società partecipate restano soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali per gli atti compiuti nonostante l’interferenza degli organi sociali e dei soci stessi;

premesso, ulteriormente, che gli atti venivano trasmessi al pubblico ministero il quale, tuttavia, non comunicava le proprie osservazioni in merito;

 

osserva quanto segue

L’assemblea straordinaria della B. s.p.a., società interamente partecipata dal Comune di Velletri, deliberava, in data 28 luglio 2017, di modificare lo statuto sociale al fine di adeguarlo alle disposizioni di cui al d.lgs., 19 agosto 2016, n. 175. Per quanto di interesse in questa sede, il nuovo art. 20 dello statuto dispone che «il consiglio di amministrazione è investito dei soli poteri per la gestione ordinaria nei limiti previsti dall’art. 10 e 12 e nel pieno rispetto delle prescrizioni impartite dall’organo deputato al controllo analogo o direttamente dal socio e trasfuse in appositi atti o direttive formali e vincolanti».

Il notaio rogante ha ritenuto che detta previsione non soddisfa le condizioni richieste dalla legge e, dunque, ai sensi dell’art. 2436 c.c., ha rifiutato l’iscrizione nel registro delle imprese della deliberazione di modifica dello statuto.

Conseguentemente, il consiglio di amministrazione si è rivolto al Tribunale chiedendo di verificare l’adempimento delle condizioni di legge e di ordinare l’iscrizione nel registro delle imprese.

In via preliminare, occorre osservare come le società in house siano riconducibili al modello societario di diritto comune, il quale presenta diverse varianti e consente possibili deroghe, comprese quelle disciplinate dal d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubbliche, nel prosieguo anche solo TUSP).

In particolare, l’art. 16 del testo unico detta i principi e la disciplina (speciale) in tema di controllo analogo nelle società in house prevedendo, peraltro, che gli statuti delle società per azioni possano contenere clausole in deroga alle disposizioni di cui all’art. 2380 bis c.c.

Occorre, pertanto, valutare se le deroghe che le società in house introducono nei propri statuti - e, in particolare, la clausola introdotta nello statuto sociale della B. s.p.a. che limita i poteri degli amministratori all’ordinaria amministrazione - rispettino i limiti segnati dall’art. 16, comma 2, d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 secondo cui le medesime sono consentite «ai fini della realizzazione dell’assetto organizzativo di cui al comma 1». Le deroghe statutarie al modello societario civilistico, infatti, devono reputarsi ammesse nei limiti del rapporto di strumentalità funzionale tra esse e il fine di realizzare il controllo analogo di cui al comma 1, come testimoniato anche dalla previsione dell’art. 16, comma 6 secondo cui «a seguito della cessazione degli affidamenti diretti, perdono efficacia le clausole statutarie e i patti parasociali finalizzati a realizzare i requisiti del controllo analogo».

Trattandosi di norme che fanno eccezione a regole generali, le stesse non possono che essere intese in senso restrittivo come imposto dall’art. 14 disp. prel. c.c.

Ne consegue che, con la formula adottata dal TUSP, che identifica il «controllo analogo» nell’esercizio da parte dell’ente pubblico controllante di una «influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata», da un lato, si prevede che l’influenza dell’ente pubblico controllante si estrinsechi soltanto al livello della c.d. alta amministrazione della società controllata - senza annullare, cioè, l’autonomia gestionale ed esecutiva del suo organo amministrativo - dall’altro, si attribuisce rilevanza all’esercizio effettivo del potere di controllo dell’ente controllante, cioè alla sua direzione gestionale e organizzativa cui la società in house è assoggettata.

Così intesa, la nozione di controllo analogo sembra imperniarsi, pur in assenza di un espresso richiamo all’attività di direzione e coordinamento di cui all’art. 2497 c.c., sulla «eterodirezione strategica» della società controllata, oltre che sulla partecipazione totalitaria o maggioritaria del capitale pubblico, piuttosto che su una situazione di asservimento totale della controllata e degli organi di essa, tale da annullarne ogni autonomia.

La stessa Corte Costituzionale ha ricordato che “la Corte di giustizia dell'Unione Europea ha affermato che sul soggetto concessionario deve essere esercitato un controllo che consente all'autorità pubblica concedente di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti. Ciò non significa che siano annullati tutti i poteri gestionali dell'affidatario in house, ma che la «possibilità di influenza determinante» è incompatibile con il rispetto dell'autonomia gestionale, senza distinguere - in coerenza con la giurisprudenza comunitaria - tra decisioni importanti e ordinaria amministrazione” (Corte Cost. 28 marzo 2013, n. 50).

Di contro la giurisprudenza amministrativa ha statuito come occorra, in particolare, verificare che l’ente pubblico affidante eserciti, pur se con moduli su base statutaria, concreti ed effettivi poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario, caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria, sicché risulta indispensabile che le decisioni più importanti siano sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante (Consiglio di Stato 15 gennaio 2018, n. 182; 18 luglio 2017, n. 3554 e 24 ottobre 2017, n. 4902).

La giurisprudenza di merito, infine, ha elaborato una cospicua casistica, poi tramutata nella previsione di legge di cui all’art. 16 d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, sulle deroghe statutarie al modello civilistico delle società di capitali, affermando che gli enti pubblici controllanti possano esercitare non solo poteri di direttiva e di indirizzo, ma anche di autorizzazione o annullamento di tutti gli atti sociali più significativi, poteri propulsivi nei confronti del consiglio di amministrazione della società affidataria, consistenti in proposte di specifiche iniziative inerenti l'esecuzione dei singoli contratti di servizio, e poteri di veto sulle deliberazioni del c.d.a. riguardanti l'attuazione dei contratti di servizi.

Si aggiunga che, sebbene prima le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 25 novembre 2013, n. 26283 e poi l’art. 12 d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, prevedano la giurisdizione della Corte dei Conti sull'azione di responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house - in quanto, pur affermando la permanenza della separazione patrimoniale tra capitale del socio (pubblico) e capitale della società, carattere tipico del regime societario, la riconducibilità del patrimonio della società in house al socio pubblico configura un danno erariale - gli organi di amministrazione delle società partecipate restano soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali per gli atti compiuti nonostante l’interferenza degli organi sociali e dei soci stessi soprattutto nei riguardi dei creditori sociali.

Alla luce di tali considerazioni e per quello che interessa il caso di specie, è evidente come, sebbene sia la stessa legge oggi a consentire l’introduzione di deroghe statutarie agli artt. 2380 bis e 2409 nonies c.c., si pone un’esigenza di conciliazione con il diritto societario comune negli stessi termini utilizzati dall’evoluzione giurisprudenziale precedente l’intervento legislativo.

In particolare, sebbene appaia plausibile che la deroga introdotta dall’art. 16 TUSP all’art 2380 bis c.c. debba intendersi nel senso di legittimare l’attribuzione al socio del controllo delle decisioni strategiche o comunque particolarmente significative (ad es., mediante l’attribuzione di poteri di direttiva, indirizzo, autorizzazione, veto) in particolari materie funzionali all’esercizio del controllo analogo fino alla cessazione degli affidamenti diretti, è da escludersi che possa derogarsi completamente a una norma tipologica della società per azioni - nella quale categoria le società in house costituite per mezzo di tale tipo devono pur sempre essere ricondotte – che, come noto, attribuisce la gestione dell’impresa esclusivamente all’organo amministrativo.

In altre parole, l’art. 2380 bis c.c. comporta, da un lato, la necessaria specializzazione della funzione di gestione e, dall’altro, che il suo esercizio si svolga in termini oggettivi e spersonalizzati e secondo moduli in cui si dia preminente attenzione alle esigenze di agibilità ed efficienza decisionale. In questo senso, l’attribuzione della gestione alla competenza esclusiva degli amministratori rappresenta un profilo qualificante siffatto tipo sociale, ed è quanto vale a distinguerlo, nel sistema delle società di capitali, rispetto alla società a responsabilità limitata, dove l’esercizio delle funzioni gestorie, anche in presenza di una scelta dell’autonomia statutaria orientata ad accogliere un modello di organizzazione di tipo corporativo e, dunque, basato sul principio della specializzazione funzionale degli uffici, è pur sempre riservato, in via finale, ai soci collettivamente, tanto che essi possono avocare ogni decisione gestoria secondo il meccanismo dettato dall’art. 2479 co. 1 c.c.

L’attribuzione della gestione alla competenza degli amministratori può essere, in vario modo, limitata attraverso poteri di direttiva, avocazione e controllo al fine di realizzare quella «eterodirezione strategica» di cui si è detto, ma mai completamente svuotata di contenuto come, invece, si realizzerebbe mediante la limitazione della competenza alla sola ordinaria amministrazione.

D’altra parte, come correttamente osservato in dottrina, l’utilizzazione da parte dello Stato dello strumento privatistico societario e la connessa incidenza sulla «causa concreta» del contratto e del rapporto sociale di istanze connesse all’interesse pubblico devono avvenire in conformità alle regole inderogabili dell’organizzazione societaria, pena la mancanza di tenuta non solo del modello, ma dell’attività medesima.

In questa prospettiva, giova anche evidenziare come la legge richieda che venga esercitata una influenza determinante sulla gestione e non una determinazione diretta dell’attività della società con la conseguenza che le effettive determinazioni degli obiettivi strategici e delle scelte determinanti possono essere di competenza (non già del soggetto pubblico che esercita il controllo analogo, ma) dell’organo amministrativo, sebbene in correlazione con quanto disposto dal socio.

Riconoscere al socio la possibilità di esercitare il controllo analogo non comporta necessariamente una deroga al principio secondo il quale la gestione dell’impresa è di esclusiva competenza dell’organo gestorio.

La riconduzione della disciplina di settore ai principi cui è improntata la gestione dell’impresa organizzata in forma societaria, sia pure con le deviazioni rese necessarie per attuare il controllo analogo, giustifica, peraltro, il divieto, di cui all’art. 11 comma 9, lett. d), di istituire organi diversi da quelli previsti dal diritto societario. In questa prospettiva, il principio di esclusività della gestione dell’impresa sociale da parte dell’organo amministrativo - fissato dall’art. 2380 bis - impedisce allo stesso, quanto meno nel tipo azionario di diritto comune, di esercitare il proprio potere di definizione dei ruoli all’interno della struttura aziendale in modo da «alienare» le funzioni «originarie» di pianificazione, coordinamento, organizzazione e supervisione dell’attività, quale che sia la tecnica negoziale a tal fine utilizzata. D’altra parte, a fronte della prevista possibilità di scegliere - sia pure alle condizioni normativamente dettate - tra diversi sistemi di amministrazione e controllo, si tende a negare nel diritto societario comune l’ammissibilità di creare per via statutaria modelli di governo non tipizzati. Si tratta, a ben vedere, di prescrizioni del tutto compatibili con le caratteristiche delle società a controllo pubblico nelle quali l’espresso divieto di conformare l’assetto di governo societario in difformità del diritto societario comune può caricarsi, peraltro, di un’ulteriore valenza precettiva e sistematica: esso da una parte può contribuire a scongiurare fenomeni poco virtuosi di moltiplicazione delle cariche e di esercizio dell’influenza da parte del socio pubblico attraverso canali diversi da quelli propri dei rapporti endosocietari; dall’altra, costituisce un indice ulteriore della tendenziale sottoposizione delle società pubbliche, in assenza di norme derogatorie, alla disciplina societaria imperativa.

D’altra parte, lo stesso legislatore - disponendo che gli statuti «possono» prevedere deroghe all’art. 2380 bis c.c. - attribuisce una facoltà di deroga e non un obbligo. Resta, così, confermato che una deroga totale alla disciplina dell’art. 2380 bis c.c. non è necessariamente imposta dalla necessità di consentire all’ente pubblico di esercitare sulla società il controllo analogo.

Così, al contrario, attribuire all’organo gestorio la sola ordinaria amministrazione comporterebbe, necessariamente, la creazione di un sistema ibrido, non tipizzato, ove la stessa gestione societaria (e non solo un potere di indirizzo, di autorizzazione o di avocazione) sarebbe ripartita tra più organi.

Sotto altro profilo, l’attribuzione all’assemblea dei poteri di straordinaria amministrazione e per converso la limitazione della competenza funzionale dell’organo amministrativo ai soli atti di ordinaria amministrazione lederebbero anche i principi su cui si fonda la responsabilità civile degli amministratori nei confronti della società e dei creditori sociali di cui agli artt. 2392 e ss. c.c. (definitivi espressamente norme imperative inderogabili dalla giurisprudenza di legittimità, cfr., Cass, 28 aprile 2010, n. 10215). Infatti, la norma che vorrebbe essere introdotta nello statuto della B. s.p.a. determinerebbe una lesione del naturale parallelismo tra potere e responsabilità e, quindi, in definitiva una totale irresponsabilità per l’attività gestoria e per le scelte gestorie (nei limiti in cui esse sono comunque sindacabili per effetto dell’applicazione del principio della business judgment rule). Infatti, di tale attività gestoria non potrebbero rispondere gli amministratori in quanto ad essi non potrebbe essere appuntata l’assunzione di qualunque atto di coordinamento, di pianificazione, di organizzazione e di supervisione dell’attività: in definitiva, non essendo gli amministratori gli autori dell’attività non si vede proprio come essi possano essere chiamati a rispondere di una scelta ad essi non riconducibile. D’altra parte, per il principio della irresponsabilità nella espressione del voto in assemblea - principio che non appare del tutto superato dalla previsione del secondo comma dell’art. 12 - il socio pubblico difficilmente potrebbe essere chiamato a rispondere delle scelte gestorie. Al contrario, come pure è stato osservato, qualunque sia il contenuto da attribuire al concetto di influenza determinate e di controllo analogo, è certo che l’amministratore debba (e non solo possa) ad essa sottrarsi allorquando l’adesione prestata possa recare un danno agli interessi tutelati con le azioni di responsabilità richiamate dall’art. 12.

E se tale conclusione è vera, deve necessariamente ritenersi che l’amministratore debba avere tutti quei poteri che gli consentano di «reagire» ad atti illegittimi compiuti dal socio.

Ne consegue che la modifica apportata allo statuto della B. S.p.A. con la delibera di assemblea straordinaria del 28 luglio 2017, nel senso di limitare i poteri dell’organo amministrativo alla sola amministrazione ordinaria, si pone in contrasto con l’art. 2380 bis c.p.c., eccedendo illegittimamente i limiti derogativi di cui all’art. 16 TUSP.

Il ricorso proposto dall’avv. A., quale Presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante della B. S.p.A. non può, dunque, trovare accoglimento.

 

p.q.m.

rigetta il ricorso proposto dall’avv. A., quale Presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante della B. S.p.A., ai sensi dell’art. 2436 c.c.

Manda alla Cancelleria per le comunicazioni di rito.

Così deciso nella camera di consiglio del Tribunale di Roma in data 8 maggio 2018.

Depositata in cancelleria il 2 luglio 2018.