Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26075 - pubb. 22/10/2021

È esente da revocatoria il pagamento del compenso del liquidatore della società insolvente?

Cassazione civile, sez. VI, 28 Settembre 2021, n. 26244. Pres. Ferro. Est. Dolmetta.


Azione revocatoria fallimentare – Esenzioni – Compenso del liquidatore – Esclusione



Nelle ipotesi di esenzione dall’azione revocatoria di cui all’art. 67, comma 3, l. fall. non rientra il caso in cui l'amministratore o il liquidatore della società, in presenza dell'insolvenza della società stessa e nella evidente consapevolezza adempi il debito per il proprio compenso, lasciando nel contempo insoddisfatti i debiti verso terzi, così, semplicemente, spezzando a proprio particolare vantaggio l'effettività del principio della par conditio creditorum. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


Massimario Ragionato



 


Fatto

1. - Nel settembre del 2008, il Fallimento ha chiesto la revoca del pagamento effettuato dalla società poi fallita a C. a titolo di compensi per l'attività da questi espletata nella qualità di "liquidatore unico".

Con sentenza emessa nell'ottobre 2011, il Tribunale di Gela ha accolto la richiesta attorea.

2. - C. ha impugnato la pronuncia.

La Corte di Appello di Caltanissetta ha rigettato l'impugnazione confermando la decisione del primo grado.

3. - La Corte nissena ha escluso, prima di tutto, la ricorrenza in fattispecie dell'esenzione dall'azione revocatoria prevista nell'art. 67 L. Fall., comma 3, lett. a), che l'appellante aveva invocato.

La finalità sottesa a quest'esenzione - ha rilevato il giudice - è "di ridimensionare la portata economica di talune applicazioni dell'azione revocatoria e di evitare, in un certo senso, l'isolamento dell'impresa che, pur non ancora in palese stato di decozione, si trova in difficoltà economica". Con la conseguenza che rimangono estranei alla detta esenzione "tutti i pagamenti che sono stati effettuati successivamente alla cessazione dell'attività di impresa ovvero alla sua messa in liquidazione, pena la compromissione della par condicio creditorum": la liquidazione, del resto, "non è finalizzata alla ripresa dell'attività, ma al soddisfacimento dei creditori e al riparto degli utili residui".

4. - La pronuncia ha poi escluso la ricorrenza in fattispecie dell'esenzione dall'azione revocatoria prevista nell'art. 67 L. Fall., comma 3, lett. f), che pure l'appellante aveva invocato.

L'esenzione è prevista - si è argomentato - a favore dei soggetti che prestano la loro opera nell’impresa "senza potere incidere nelle scelte aziendali e, in particolare, su quelle relative alla priorità dei pagamenti da eseguire". Per contro, "gli amministratori e i liquidatori operano - e non subiscono la scelta di soddisfare prioritariamente un credito piuttosto che un altro".

5. - Nel prosieguo, il giudice ha poi respinto il rilievo dell'appellante secondo cui il pagamento dei compensi in questione non andava comunque a depauperare il patrimonio della società, posto che questi si "autogeneravano come parte dell'attivo": ai fini della revocatoria fallimentare l'eventus danni è in re ipsa, come consistente nella mera lesione della par conditio, si è rilevato.

Nessun pregio può avere poi - ha rilevato ancora la pronuncia - la contestazione dell'appellante circa la sussistenza della scientia decoctionis: nei mesi antecedenti la dichiarazione di fallimento, la società "aveva 18 contenziosi giunti in fase esecutiva con dipendenti, 70 vertenze ancora in fase di conciliazione stragiudiziale, 100 cause pendenti avanti al giudice del lavoro, 3 istanze per la dichiarazione di fallimento presentate da lavoratori".

6. - La Corte territoriale ha escluso, infine, le contestazioni dell'appellante circa la misura della somma da versare al fallimento, in ragione degli interessi dovuti.

"Secondo quanto stabilito dall'art. 1224 c.c., gli interessi legali sono dovuti dalla data della domanda", si è rilevato: nella specie, l'appellante è stato messo in mora con lettera raccomandata 17.4.2009". Con riguardo al quantum, poi, si è detto che "nessun vizio di ultrapetizione può ravvisarsi rispetto alla domanda proposta dalla Curatela, che aveva chiesto la condanna alla restituzione della "somma di Euro 74.979,86 ovvero maggiore e/o minore che verrà accertata nel corso del presente giudizio"".

7. - Avverso questo provvedimento C. ha presentato ricorso, che ha affidato a quattro motivi di cassazione.

Gli intimati non hanno svolto difese nel presente grado del giudizio.

8. - Il ricorrente ha anche depositato memoria.

 

Motivi

9. - I motivi di ricorso sono stati intestati nei termini che qui di seguito vengono riportati.

Primo motivo (p. 8): "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 67 L. Fall., comma 3, lett. a), nonché dell'art. 10 L. Fall. e dell'art. 2486 c.c., comma 2"

Secondo motivo (p. 16): "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 67 L. Fall., comma 3, lett. f)".

Terzo motivo: (p. 19) "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 67 L. Fall., comma 2, e dell'art. 42L. Fall." Quarto motivo (p. 22): "violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1224 e 1282 c.c. in relazione all'art. 67 L. Fall.".

10. - I primi due motivi di ricorso vanno trattati in modo unitario, posto che entrambi vengono a gravitare sulla tematica delle esenzioni dalla revocatoria fallimentare, come disciplinate dall'art. 67 L. Fall., comma 3.

11.1. - In prima battuta, il ricorrente assume che l'attività svolta dal liquidatore, e quindi pure il relativo compenso, va sussunta nella norma dell'art. 67 L. Fall., comma 3, lett. a) ("non sono soggetti a revocatoria... i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività di impresa nei termini d'uso").

A sostegno di questa tesi viene rilevato che l'"ordinamento giuridico generale considera e disciplina l'impresa come un'attività economica che non si esaurisce nel solo periodo dell'attività produttiva c.d. caratteristica,, bensì si diparte dalla fase della nascita (fase c.d. di organizzazione) e si compie non già al momento della messa in liquidazione, bensì nel momento della sua cancellazione (e comunque della sua estinzione) che si verifica in ogni caso dopo l'esaurimento della fase della liquidazione".

 

Una simile concezione normativa si aggiunge - "e' espressamente recepita dalla stessa legge fallimentare, la quale... all'art. 10 reca testualmente la liquidazione nella nozione di esercizio dell'impresa, dando così le necessarie coordinate esegetiche anche per l'interpretazione della locuzione adottata dalla norma dell'art. 67 L. Fall., comma 3, lett. a.).

11.2. - In via subordinata, il ricorrente osserva che l'attività del liquidatore rientra nella previsione normativa di cui all'art. 67 L. Fall., comma 3, ("non sono soggetti a revocatoria... i pagamenti di corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti e altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito"), posto che la stessa "costituisce prestazione d'opera continuativa e coordinata".

E' arbitrario tenere fuori dall'operatività di questa norma - si sostiene - "coloro che, potendo incidere sulla priorità dei pagamenti, potrebbero oltre modo avvantaggiarsi della esenzione de qua": "non vi sono ragioni, recepite dalla norma in commento, per negare l'esenzione da revocatoria ai relativi pagamenti".

12. - Il primo e il secondo motivo di ricorso non meritano di essere accolti.

13. - In via preliminare appare opportuno osservare, per i propositi in questione, che - nonostante l'ampliamento del numero di esoneri dalla revocatoria fallimentare, che è stato portato dalla novella del 2005 - nel sistema vigente il principio rimane senz'altro quello della revocabilità dei pagamenti e negozi posti in essere nel c.d. periodo sospetto, i casi di esenzione ponendosi, nel confronto, nei termini di vere e proprie eccezioni.

Su questo punto, la giurisprudenza di questa Corte è ben ferma, nel contempo pure rilevando come l'eterogeneità delle situazioni, volta a volta prese in considerazione e fatte oggetto di esonero, venga a indicare che l'unico filo di "unificazione" tra le stesse sta nel loro rispondere a particolari interessi che il legislatore ha ritenuto "superiori" (cfr. Cass., 7 dicembre 2020, n. 27939; Cass., 20 febbraio 2020, n. 4340).

Ne segue che l'interpretazione delle diverse situazioni di esenzione non può che rapportarsi con la ragione specifica che, ipotesi per ipotesi, viene a giustificarle, per porsi, dunque, in termini di stretta coerenza con la stessa (ovvero con il particolare interesse "superiore" che vi presiede).

14. - La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che l'esenzione di cui all'art. 67 L. Fall., comma 3, lett. a), risulta direttamente "intesa a favorire la conservazione dell'impresa nell'ottica dell'uscita dalla crisi" (così come, del resto, correttamente ritenuto pure dalla Corte siciliana) e che, di conseguenza, la stessa fa riferimento ai pagamenti delle "forniture", quali negozi immediatamente espressivi dell'esercizio dell'attività di impresa e sempre che siano stati effettuati secondo i termini d'uso (cfr., in particolare, la pronuncia di Cass., 7 dicembre 2016, n. 25162).

Ora, questa constatazione risulta in sé stessa idonea ad escludere dall'ambito coperto dall'esenzione in discorso il pagamento del compenso al liquidatore.

15. - Il contratto stipulato con il liquidatore e il conseguente pagamento di certo non rientrano, in effetti, nel novero "delle forniture" che sul piano oggettivo innervano - meglio, hanno innervato (visto che si tratta, appunto, di liquidazione) - la produzione di beni e/o servizi, e quindi l'esercizio della attività, della relativa impresa.

Gli stessi si inseriscono propriamente, per contro, nella struttura organizzativa che conforma la società, o ente, di cui all'impresa; e con la funzione specifica, in questo contesto, di andare a "monetizzare" il valore dei cespiti aziendali che vi appartengono (su quest'ultimo punto v., anche con rifermento alla disciplina di cui all'art. 2487 c.c., comma 1, lett. c., la pronuncia di Cass., 20 gennaio 2021, n. 980).

D'altra parte - per completezza è opportuno aggiungere ancora -, la tesi propugnata dal ricorrente, per cui sarebbero esenti da revocatoria tutti i pagamenti comunque fatti dall'impresa all'unica condizione del loro rispettare i "termini d'uso", non mancherebbe di produrre l'effetto sostanziale di rovesciare il rapporto tra regola ed eccezione che, anche in materia di revocatoria dei pagamenti, informa il sistema vigente (v. nel numero precedente).

16.- Riguardo l'esenzione di cui all'art. 67 L. Fall., comma 3, lett. f, è sostanzialmente comune - ben si può dire l'osservazione che la stessa trova la sua ragion d'essere nella protezione del fattore della produzione che è costituito dalla forza lavoro (anche intellettuale): soprattutto perché credito di peculiare dignità (anche costituzionale, ex art. 36 Cost.) e pure, perché l'esenzione finisce per aiutare (seppure in modo indiretto) la conservazione dell'organismo produttivo e la funzionalità del medesimo (nel caso, anche per una migliore cessione dell'azienda).

Altrettanto comune risulta, d'altra parte, il rilievo che un simile genere di giustificazione non potrebbe mai trovare accoglienza per il caso in cui l'amministratore o il liquidatore della società in presenza dell'insolvenza della società stessa, e nella evidente consapevolezza di questa - venga, nella veste, "ad adempiere il debito per il proprio compenso, lasciando nel contempo insoddisfatti i debiti verso terzi", così, semplicemente, spezzando a proprio particolare vantaggio l'effettività del principio della par conditio creditorum (la rilevazione di questo principio generale del sistema è risalente: v. già la sentenza di Cass., 27 ottobre 1995, n. 11216).

Come ha ben visto la Corte territoriale, nella fase di liquidazione della società è proprio il liquidatore a decidere i soggetti verso cui dirigere i pagamenti.

17. - Il terzo motivo di ricorso assume che l'attività posta in essere dal liquidatore ha, nel concreto, portato benefici all'attivo fallimentare: e che, per questa ragione, non può essere fatta oggetto di revocatoria.

"I compensi percepiti dal C. e fatti oggetto di azione revocatoria" - si scrive - si autogeneravano (a mò di success fee) come parte (25%) dell'attivo che il C. stesso andava a recuperare, evitandone la dispersione". "Ove l'atto dispositivo si concreti" - così si aggiunge - in (e/o sia l'onere di) un'attività che, come nella specie, per definizione apporti benefici alla massa, ovvero in cui detti benefici siano la condizione dell'atto dispositivo, allora non vi è una vera e propria uscita di beni dalla massa e non può quindi operare la presunzione di dannosità su cui ha fatto leva la sentenza qui impugnata".

18. - il motivo non merita di essere accolto.

Nella specie è stato fatto oggetto di revocatoria non il contratto stretto dalla società con C. per lo svolgimento dell'attività di liquidazione, bensì il pagamento che ne è conseguito.

Com’è peraltro evidente, tale pagamento - come che ne sia stata conformata la misura - ha di per sé stesso leso la regola della par condicio: posto, appunto, che le somme (liquidate e) percepite dal liquidatore sono state sottratte alla comune distribuzione tra tutti i creditori concorrenti.

19. - Il quarto motivo assume che la sentenza della Corte territoriale ha errato nel fissare il dies a quo del debito da interessi (sul capitale da restituire) dal giorno della messa in mora.

La revocatoria è un'azione costitutiva, si puntualizza; perciò, "l'obbligazione accessoria per interessi doveva decorrere dalla domanda giudiziale".

20. - Il motivo merita di essere accolto.

Secondo quanto precisato dalla pronuncia di Cass., 23 maggio 2018, n. 12850, "in tema di azione revocatoria fallimentare, l'obbligazione restitutoria dell'accipiens soccombente ha natura di debito da valuta e non di valore, in quanto l'atto posto in essere dal fallito è originariamente lecito e la sua inefficacia sopravviene solo in esito alla sentenza di accoglimento della domanda, che ha natura costitutiva, avendo a oggetto un diritto potestativo e non un diritto di credito; ne consegue che pure gli interessi sulla somma da restituirsi decorrono dalla domanda giudiziale".

21. - In conclusione, respinti i primi tre motivi di ricorso, va accolto il quarto motivo. Di conseguenza, va cassata in relazione a quanto ivi dedotto, la sentenza impugnata e la controversia rinviata, per il relativo profilo, alla Corte di Appello di Caltanissetta che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, respinti il primo, il secondo e il terzo motivo. Cassa per quanto di ragione la sentenza impugnata e rinvia la controversia, per quanto ancora in rilievo, alla Corte di Appello di Caltanissetta che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile - 1, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021.