Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 25888 - pubb. 16/09/2021

L’accoglimento della revocatoria della cessione del contratto comporta il subentro del curatore nella posizione di contraente?

Cassazione civile, sez. I, 26 Agosto 2021, n. 23485. Pres. Cristiano. Est. Ferro.


Azione revocatoria – Cessione di posizione contrattuale – Accoglimento – Facoltà del curatore – Subentro nella posizione contrattuale – Esclusione – Contratto di leasing – Risoluzione



In tema di fallimento, il curatore che abbia esercitato con successo l'azione revocatoria (fallimentare o ordinaria) della cessione del contratto, già facente capo al fallito, non può esercitare le facoltà previste dall'art. 72 l.fall. in relazione alla posizione contrattuale originaria, poiché l'accoglimento dell'azione revocatoria non restituisce al fallimento la pienezza della posizione negoziale ceduta, ma attribuisce la sola ed esclusiva legittimazione a procedere alla sua liquidazione. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


Fatto

1. FALLIMENTO (*) s.r.l. in liquidazione impugna la sentenza App. Firenze 30.12.2015, n. 2194/2015, rep. 2309/2015, in R.G. 108/2011 che ha accolto l'appello di U. LEASING s.p.a. avverso la sentenza Trib. Firenze 22.11.2010 e, in parziale riforma della stessa, ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell'appellante (già Lo. s.p.a.) in relazione alle azioni revocatorie esercitate dal fallimento, respingendo la domanda di conseguente restituzione dei canoni ricevuti in pagamento e relativi ad un contratto di leasing immobiliare a suo tempo stipulato fra Lo. e la società fallita, seguito da cessione dello stesso a Soluzione Acquaria s.r.l.; 2. ha premesso la corte che: a) la società fallita, con successivi atti del 19 ottobre e 30 novembre del 2001, aveva ricevuto in leasing, da Lo. s.p.a., rispettivamente un immobile e attrezzature informatiche, cedendo successivamente (31.10.2002) entrambi i contratti a Soluzione Acquaria s.r.l., senza corrispettivo, salvo un rimborso solo parziale del macrocanone iniziale pagato e delle spese di ristrutturazione immobiliare invece non corrisposte, mentre i canoni già saldati restavano a carico della cedente; b) intervenuto il fallimento della cedente il 23.6.2004 le sul presupposto diumigge della gratuità dei citati atti, il curatore agiva per la inefficacia delle cessioni contrattuali, L. Fall., ex art. 64 o in subordine, se ritenuti onerosi, a titolo di revocatoria L.Fall., ex art. 67, comma 1 (per sproporzione delle rispettive prestazioni) ovvero ancora ex art. 2901 c.c.; c) nel presupposto della conseguita inefficacia, il curatore dichiarava di volersi sciogliere dal leasing immobiliare (a durata decennale), riconsegnando il bene alla concedente dietro riacquisizione dalla stessa (Lo.) delle rate (anche quelle di Soluzione Acquaria s.r.l.), al netto dell'equo compenso ex art. 1526 c.c., mentre per il leasing sui beni mobili (di durata 36 mesi), veniva ipotizzato che ove la cessionaria avesse esercitato l'opzione alla scadenza, si chiedeva la riconsegna dei beni stessi o il controvalore e se invece risolto prima la domanda era parimenti di restituzione (ancora da Lo.) di primo canone e rate versate, sempre al netto dell'indennizzo equo per l'uso delle cose; d) sul presupposto, come dedotto da Lo., che il leasing immobiliare era stato a sua volta ceduto da Soluzione Acquaria ad un terzo, GMA Immobiliare di A.P. & C. s.a.s., questa era chiamata in causa, si costituiva e contro tale parte il curatore estendeva le domande di inefficacia, così riferita anche alla descritta seconda cessione; e) il curatore infine, abbandonando le domande relative al leasing sui beni mobili, concludeva per la doppia dichiarazione d'inefficacia delle cessioni, intendendo sciogliersi dal leasing immobiliare, con condanna di Lo. alla restituzione dei canoni ed interessi per 75.893,56 Euro; f) il tribunale, accertando la natura gratuita delle cessioni, ne dichiarava l'inefficacia L.Fall., ex art. 64 quanto alla prima (intervenuta consenziente Lo.), con inefficacia ex art. 2901 c.c., comma 4 altresì della seconda (tra Soluzione Acquaria e GMA), difettando la subcessionaria di buona fede, poiché i suoi soci erano tali anche della cedente e della fallita; g) la predetta dichiarazione d'inefficacia determinava pertanto - per il primo giudice - il rientro della titolarità contrattuale in capo alla società fallita, potendo il curatore scegliere - come avvenuto - lo scioglimento del leasing (avente natura traslativa) e così fondare la richiesta restitutoria dei canoni pagati al netto dell'equo compenso; h) poiché nel frattempo il medesimo leasing - per come ulteriormente ceduto - era stato anticipatamente risolto (fra GMA e Lo.), con trasferimento il 3.8.2005 a tale terza utilizzatrice dell'immobile dietro corrispettivo di 62.525,85 Euro, Lo. doveva restituire i canoni complessivamente percepiti (pari a 80.0389,39 Euro), da cui detrarre 17.338,32Euro, pari all'equo compenso e così venendo condannata a pagare 63.051,07 Euro in favore del fallimento attore; i) erano respinte le domande di manleva avanzate da Lo. verso Soluzione Acquaria e GMA, per difetto di un titolo idoneo di garanzia; 3. la corte, accogliendo l'appello principale di Lo. ha ritenuto: a) essendo l'effetto anche dell'azione revocatoria fallimentare solo l'inefficacia relativa dell'atto, divenuto non opponibile al curatore revocante ma restando valido e, per il resto, efficace fra le parti e gli altri creditori, non ne consegue l'oggettiva reintegrazione del patrimonio del debitore, senza dunque effetti restitutori o tanto meno traslativi a favore della massa, ma solo producendosi la assoggettabilità alla procedura collettiva dei diritti oggetto dell'atto; b) in particolare, l'esito positivo dell'azione non produce il riacquisto della titolarità della posizione contrattuale originaria e la "legittimazione" a farla valere "ad altri fini", così che il curatore vittorioso non può esercitare la facoltà di scioglimento di cui alla L.Fall., art. 72 e la correlativa pretesa restitutoria dei canoni pagati al concedente dalla fallita e dai cessionari del contratto revocato; c) insussistente, inoltre, la legittimazione passiva della concedente Lo. rispetto alle azioni revocatorie intraprese avverso le cessioni successive del contratto, essendo in tale veste titolare della posizione passiva solo la parte cessionaria dei contratti di leasing, innanzitutto Soluzione Acquaria, posto che agli effetti della pronuncia di revoca resta estranea la prima, nei confronti della quale il leasing si era esaurito con il trasferimento del bene al terzo GMA e mancavano pretese di Lo. al riguardo; d) gli altri motivi d'appello, afferenti al fondo dell'azione revocatoria, alla tardività dell'estensione a GMA, alle domande di manleva, erano conseguentemente assorbiti, al pari dell'appello incidentale del fallimento, che contestava la deduzione dell'equo compenso in difetto di espressa domanda; e) escluse le condanne verso Lo., restava confermata la sentenza del primo giudice in punto di pronuncia dichiarativa d'inefficacia verso le altre parti; 4. con il ricorso, su due motivi, il fallimento deduce: a) (primo motivo) violazione dell'art. 2902 c.c. e dell'art. 1526 c.c. avendo erroneamente la corte negato, quale conseguenza della revocatoria delle cessioni contrattuali, il ripristino della posizione contrattuale originaria in capo alla fallita, e per essa al curatore, posto che la inefficacia conseguente all'azione non poteva condurre ad assoggettare ad esecuzione un bene, oggetto materiale del leasing ma in perdurante proprietà della concedente, quanto piuttosto a riattribuire al curatore, con la citata posizione contrattuale (propria dell'utilizzatore) ed ai sensi della L.Fall., art. 72, il potere di sciogliersi dal leasing e, per questa via, chiedere la restituzione dei canoni comunque percepiti dalla concedente stessa, salvo l'equo compenso; b) (secondo motivo) violazione dell'art. 1406 c.c., ove la sentenza nega che Lo. sia legittimata passiva all'azione, laddove invece nel giudizio per la revoca di un contratto plurilaterale anche il ceduto diviene litisconsorte necessario, al pari del cedente e del cessionario, senza che abbia rilievo il fatto che, nel frattempo (dopo l'instaurazione del giudizio), il bene sia stato riscattato dal secondo cessionario; 5. a seguito dell'adunanza non partecipata 2 luglio 2019, con ordinanza interlocutoria n. 20270/2019 il Collegio della Prima Sezione civile ha rinviato la causa alla pubblica udienza, tematizzando le questioni poste da entrambi i riportati motivi; al ricorso ha resistito U. con controricorso; entrambe le parti hanno depositato successive memorie

 

Motivi

1. i motivi, che hanno carattere connesso, vanno affrontati congiuntamente e sono infondati; nella vicenda vi è stato il doppio accoglimento delle azioni d'inefficacia promosse avverso tutti gli atti di circolazione della propria posizione contrattuale compiuti dalla società fallita, già cedente appunto il contratto di leasing stipulato su un immobile con la concedente (attuale) U.; l'accertamento giudiziale, con le conseguenti statuizioni ai sensi rispettivamente della L.Fall., art. 64, in capo al primo cessionario e poi ex art. 2901 c.c., verso il secondo, appare - nei confronti di tali soggetti - passato in giudicato;

2. residua una prima questione in ordine logico, tematizzata anche nel controricorso del contraente ceduto che, invocando il proprio difetto di legittimazione passiva, ne fa circostanza a sua volta affiancata quale seconda questione - ai limiti della azione revocatoria, segnati dal mero atto impugnato, ma senza diretti e completi effetti restitutori o traslativi a vantaggio della massa dei creditori; alla prima censura (corrispondente al secondo motivo di ricorso) il Collegio accompagna un risposta negativa;

3. nel nostro ordinamento concorsuale, invero, è pacifico che le azioni promosse dalla curatela per la dichiarazione d'inefficacia di atti di disposizione patrimoniale compiuti dal fallito mirano non ad ottenere il sovvertimento, sul piano della validità, degli effetti traslativi degli atti compiuti e dunque il ripristino in capo alla massa dei creditori esattamente del medesimo titolo già disposto dal fallito, cioè regolato negozialmente in modo ex post dichiarato giudizialmente inefficace, bensì "la reintegrazione della generica garanzia patrimoniale dei creditori" (Cass. 9584/2015) mediante la "assoggettabilità ad esecuzione" del medesimo bene che ne sia stato oggetto; con il successo della domanda, dunque, il fallito non ridiventa titolare in senso dominicale dell'identico bene oggetto dell'atto dichiarato inefficace, bensì accade che sia l'organo concorsuale a poter disporne esecutivamente o, se ciò sia impossibile, conseguire il ripristino dell'equilibrio patrimoniale alterato dall'atto, in una misura equivalente alla consistenza che esso aveva nei termini di valore depauperativi accertati; nella specie, oggetto delle domande non è l'immobile, bensì la posizione contrattuale di utilizzatore dello stesso in un contratto di leasing accertato a valenza traslativa, pendente al momento della prima cessione ed esaurito in prosieguo per via del trasferimento del bene alla terza società utilizzatrice e subcessionaria;

4. l'obiettivo delle azioni revocatorie anche in esame, unificate dalla menzionata inefficacia, è perciò quello di permettere, in capo agli organi concorsuali, "la liquidazione di un bene che, rispetto all'interesse dei creditori, viene in considerazione soltanto per il suo valore" (Cass. 26041/2013); è così stato chiarito che "oggetto della domanda revocatoria, sia essa ordinaria che fallimentare, non è il bene trasferito in sé, ma la reintegrazione della generica garanzia patrimoniale dei creditori, mediante il suo assoggettamento ad esecuzione forzata" tant'e' che quando l'azione sia promossa dopo il fallimento dell'accipiens, non potendo essere esperita con la finalità di recuperare il bene ceduto - stante l'intangibilità dell'asse fallimentare - "i creditori del cedente (ovvero il curatore in caso di suo fallimento) potranno insinuarsi al passivo del fallimento del cessionario per il valore del bene oggetto dell'atto di disposizione" (Cass. s.u. 12476/2020);

5. altrettanto incontroverso è che la sentenza che accoglie la domanda revocatoria fallimentare ha natura costitutiva, in quanto modifica ex post una situazione giuridica preesistente, sia privando di effetti, nei confronti della massa fallimentare, "atti che avevano già conseguito piena efficacia", sia "determinando, conseguentemente, la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale (art. 2740 c.c.) ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell'atto"; con la conseguenza che la situazione giuridica vantata dalla massa ed esercitata dal curatore non integra un diritto di credito (alla restituzione della somma o dei beni) esistente prima del fallimento (né nascente all'atto della dichiarazione dello stesso) e indipendentemente dall'esercizio dell'azione giudiziale, ma rappresenta un vero e proprio diritto potestativo all'esercizio dell'azione revocatoria (Cass. s.u. 5443/1996; Cass. s.u. 30416/2018);

6. destinatario dunque delle citate azioni e', in primo luogo, il soggetto già controparte contrattuale nel negozio di disposizione del diritto facente capo al fallito e, come avvenuto nella specie, altresì il subacquirente della medesima posizione contrattuale ulteriormente ceduta; nei confronti di tali soggetti l'accoglimento delle azioni revocatorie (fallimentare ed ordinaria) produce il citato effetto reintegrativo della garanzia patrimoniale; esso, a seconda dell'oggetto della domanda, sarà regolato mediante una diretta attività esecutiva promossa dall'organo concorsuale ovvero, se impossibile per insuscettibilità del bene a prestarsi ad una liquidazione diretta (a causa di vicende economiche di deperimento o di impedimento ad un'apprensione o mutamento sostanziale della originaria composizione), dalla retrocessione alla massa dei creditori del controvalore della posizione soggettiva il cui trasferimento sia dichiarato inefficace; nella vicenda, il giudicato sulle azioni promosse verso primo cessionario e secondo subacquirente impone, in questa sede, una mera presa d'atto dell'effetto reintegrativo comunque raggiunto e per come statuito giudizialmente; ma occorre altresì considerare che il suo dilatato completamento economico, cui sin dall'inizio ha teso l'iniziativa processuale del curatore, in tanto potrà prodursi anche nei confronti del contraente ceduto in quanto sia possibile affermarne la partecipazione agli atti di disposizione patrimoniale oggetto delle due azioni, secondo gli stessi requisiti di rispettiva rilevanza; tale riscontro non può dirsi conseguito e nemmeno è stato allegato nei termini propri delle azioni promosse;

7. l'azione revocatoria, in ognuna delle sue versioni e comunque anche nel contesto concorsuale, nel quale cioè il curatore che ne ottenga l'accoglimento può direttamente assoggettare ad esecuzione forzata (quella già pendente) il bene oggetto di trasferimento di un negozio dichiarato inefficace, va diretta contro i soggetti che hanno partecipato al depauperamento patrimoniale del debitore, dunque provocandolo, ad essi essendo riconducibile la predetta responsabilità di reintegrazione; ove tuttavia l'atto dispositivo dichiarato inefficace abbia determinato la sostituzione soggettiva in un rapporto plurilaterale, la sorte del contraente ceduto resta tendenzialmente estranea al rapporto tra cedente e cessionario, mentre il prestato consenso del ceduto, limitandosi a rendere possibile (ai sensi dell'art. 1406 c.c.) la citata variazione, non trasforma ex se tale parte in coautrice dell'atto di cessione, né dunque essa, al di fuori di una specifica prova compartecipativa, è destinataria di un'azione - come quelle in esame e per quanto detto - che sia volta a riconfigurare quali depauperativi del patrimonio del cedente gli atti da questo compiuti verso il primo cessionario e da questi verso il secondo; di tale prova agli atti non v'e' traccia, avendo la stessa prima sentenza, in accoglimento delle domande della curatela, fatto discendere le conseguenze recuperatorie (la restituzione dei canoni) dell'azione revocatoria dalla mera oggettiva e perdurante qualità di parte del contratto di leasing in capo a U.; è cioè mancato ogni accertamento - nel predetto significato di disvalore rispetto alla concorsualità - che il concedente sia stato altresì parte delle due cessioni della posizione contrattuale di (*), cooperando - nel proprio interesse - al medesimo risultato colpito dalle corrispondenti azioni del curatore, secondo i relativi presupposti, vale a dire la gratuità del primo atto (di cui risulta beneficiario invece solo Soluzione Acquaria) e il vantaggio del subacquisto oneroso non di buona fede (con beneficiario solo GMA); ne consegue l'estraneità di U. dal rapporto controverso effettivamente dedotto in giudizio;

8. né soccorre, per sovvertire la declaratoria negativa della corte e secondo le argomentate considerazioni del Pubblico Ministero, la giurisprudenza formatasi in materia di locazione immobiliare accessoria all'affitto d'azienda, laddove si è statuito che "la L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 36 nel sancire che il conduttore può sublocare l'immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme locata l'azienda, deroga alle norme di diritto comune relative alla cessione del contratto, secondo cui il consenso del contraente ceduto costituisce requisito di validità della cessione, che altrimenti sarebbe nulla, per cui si ha litisconsorzio necessario in giudizio di accertamento, quando siano in questione l'avvenuta conclusione, validità ed efficacia del contratto di cessione" (Cass. 12454/1997); la questione di efficacia cui si riferisce il riportato indirizzo, al pari delle questioni di accertamento (Cass. 2674/1980), mostra infatti di riferirsi ad un profilo critico del contratto afferente a come esso è stato stipulato e a come vengono concluse le cessioni successive, secondo una nozione che coinvolge gli atti delle sole parti originarie contemplate nei rispettivi negozi, tale non essendo il curatore; questi fa valere una inefficacia - secondo i dettami delle azioni revocatorie - correlata alla sua funzione e, a questo titolo, estranea a vizi genetici o di funzionamento dei predetti contratti, in specie delle cessioni;

9. così come non appare pertinente alla soluzione delle questioni proposte il precedente di Cass. 20222/2013 che, pur avendo ipotizzato - come ulteriore ratio decidendi, oltre la preclusione da giudicato endofallimentare - la revocabilità ex art. 67, comma 2 della risoluzione di diritto del contratto di locazione finanziaria, quale presupposto per ricondurre il contratto a quelli pendenti, determinando "la sospensione dell'esecuzione del contratto sino a quando il curatore non avesse dichiarato di volervi subentrare, esercitando il diritto di opzione e versando alla locatrice, in prededuzione, tutte le rate rimaste insolute", richiama una fattispecie in cui l'effetto giuridico dell'atto era riferito ad una condotta di modifica contrattuale intervenuta tra contraente concedente il leasing e direttamente il contraente utilizzatore, poi fallito; nella causa odierna, invece, il depauperamento del patrimonio del fallito era stato originato da un atto da questi concluso con un terzo, in assenza di altri presupposti valorizzanti l'apporto causale del contraente ceduto (e già concedente il leasing);

10. quanto agli altri profili del primo motivo, la loro infondatezza, in parte conseguente, promana da un più attento scrutinio dell'interesse all'azione da parte del curatore; con le due domande svolte, l'organo concorsuale non poteva che mirare alla riconquista della disponibilità liquidatoria, come visto, del bene ripreso, nella specie la posizione contrattuale di cedente il contratto di leasing, quale primo utilizzatore; se infatti la portata restitutoria delle azioni è la reintegrazione patrimoniale, la sua semplificazione esecutiva in capo al curatore, che non ha necessità di instaurare verso "i terzi acquirenti" né un pignoramento né misure conservative (ai sensi dell'art. 2902 c.c., Cass. 3757/1985, 2936/1978, 746/1972), delimita altresì la finalizzazione delle iniziative che tale organo è ammesso a svolgere in caso di relativo successo, inevitabilmente segnate dal medesimo perimetro esecutivo;

11. il senso economico delle azioni revocatorie, assicurando una compatibile neutralità dell'atto depauperativo già compiuto in danno dei creditori, ma non certo la sua inesistenza (altra essendo l'azione di nullità), implica che la sanzione dell'inefficacia è strettamente funzionale ad un'attività liquidatoria diretta sul bene recuperato o il controvalore conseguito, in una prospettiva che non ammette spazi di discrezionalità, ma esige una vocazione appunto strumentale al soddisfacimento dei creditori, che è anche ed esattamente la misura in cui si apprezza il pregiudizio da essi subito (rispettivamente presunto o provato) e così neutralizzato; tant'e' che è fermo l'indirizzo di questa Corte nel ribadire che se oggetto della domanda di revocatoria fallimentare non è il bene in sé, ma - come detto - la reintegrazione della generica garanzia patrimoniale dei creditori mediante l'assoggettabilità ad esecuzione e, quindi, a liquidazione di un bene che, rispetto all'interesse dei creditori medesimi, viene in considerazione soltanto per il suo valore, allorché "l'assoggettabilità all'esecuzione diviene impossibile perché il bene è stato alienato a terzi, la reintegrazione per equivalente pecuniario rappresenta il naturale sostitutivo, e la domanda di condanna al pagamento del "tantundem" deve ritenersi implicitamente ricompresa nell'azione revocatoria, spettando al giudice disporre, in funzione delle risultanze processuali, la restituzione del bene, ovvero, qualora quest'ultimo non sia più nella disponibilità del convenuto, pronunciare la condanna al pagamento dell'equivalente monetario" (Cass. 24051/2006, 21942/2011);

12. non può dunque accogliersi la prospettazione del "danno", affacciata in ricorso, per cui esso consisterebbe nella impossibilità per il curatore di esercitare la facoltà riconosciutagli dalla L.Fall., art. 72, optando se del caso per lo scioglimento del contratto; il pregiudizio dell'atto revocando attiene invero alla scomposizione qualitativa o quantitativa del patrimonio del debitore, indebolito - per definizione - nella sua consistenza originaria, cioè nella idoneità a fungere quale garanzia del soddisfacimento dei creditori del soggetto insolvente; le iniziative che, per l'effetto, venissero a mancare in capo all'organo concorsuale non sono altro che una conseguenza di un più ampio e decisivo limite dei poteri di liquidazione proprio di quel patrimonio, al quale invece esclusivamente fare riferimento anche per la misura delle azioni destinate al suo ripristino; ed invero l'ipotizzato - e qui non condiviso - ripristino della posizione contrattuale ceduta, se statuito come tale e cioè a prescindere dall'inefficacia relativa dell'azione revocatoria, non spiegherebbe altrimenti la radicale distinzione rispetto alle azioni d'invalidità dell'atto depauperativo;

13. ne consegue che la disarticolazione, anch'essa pur sempre relativa, dell'atto dichiarato inefficace non restituisce all'organo concorsuale la pienezza della posizione dominicale ceduta (anche quando avente per oggetto una posizione contrattuale, oltre che un bene), bensì la sola ed esclusiva legittimazione a procedere alla sua liquidazione, almeno ove - come nella specie - al terzo non sia stata ascritta una concorrente responsabilità nella produzione del medesimo depauperamento e dunque le azioni gli risultino estranee, perché fuori dal rapporto effettivamente controverso; il principio a maggior ragione appare declinabile nella fattispecie in cui, come accertato nel presente giudizio, l'immobile concesso in leasing sia stato trasferito al secondo subacquirente (GMA) dalla concedente U., previa anticipata risoluzione proprio del contratto di leasing sub-ceduto e per esso le cessionarie abbiano pagato cospicui e continui canoni, in quanto utilizzatrici;

14. va pertanto affermato il principio per cui, esercitate con successo le azioni revocatorie degli atti di cessione di una posizione contrattuale già facente capo al fallito, nessuna facoltà L.Fall., ex art. 72 - come la scelta di non subentro - appare esercitabile dal curatore in relazione alla posizione contrattuale originaria, non ripristinabile in sé, nemmeno potendo dirsi che essa fosse pendente al momento della dichiarazione di fallimento; né comunque, si osserva conclusivamente, essa appare oggettivamente essere stata ripristinata, proprio perché già esaurita, in fatto, con la citata risoluzione del leasing e profondamente alterata dai citati pagamenti interinali; non si può quindi postulare che la posizione del curatore sia stata o sia divenuta afferente ad un contratto di nuovo pendente, la sola condizione che permetterebbe - in tesi - l'atto potestativo fonte degli invocati effetti restitutori dei canoni pagati, ma - anche nell'ipotesi - con ogni limite nei casi di adempimenti effettuati a favore della concedente dai cessionari successivi e non solo dalla fallita; ne consegue che, per tale parte, il curatore non ha interesse all'azione; 15. il ricorso va pertanto rigettato, con condanna alle spese secondo la regola della soccombenza e liquidazione come meglio in dispositivo; sussistono i presupposti per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

 

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 7.500, oltre a 200 Euro per esborsi, nonché al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dep. 26 agosto 2021.