Diritto Tributario


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21332 - pubb. 06/03/2019

Trust: regime della tassazione

Cassazione civile, sez. V, tributaria, 17 Gennaio 2019, n. 1131. Est. De Masi.


Imposta sulle successioni e sulle donazioni – Costituzione di vincoli – Trust



Il Decreto Legge n. 262 del 2006 ha reintrodotto la disciplina della imposta sulle successioni e donazioni includendo anche i vincoli di destinazione e segnatamente i trust: l’imposizione si riferisce agli atti “a titolo gratuito”, e non più solo alle “liberalità”, cosa che consente di argomentare che il presupposto del tributo vada ravvisato, più che nell’animus donandi, nell’accrescimento patrimoniale (effettivo) del beneficiario, ottenuto senza alcuna contropartita. Nell’ambito concettuale dei “vincoli di destinazione” devono essere ricondotti non solo gli “atti di destinazione” di cui all’articolo 2645-ter c.c., ma qualunque fattispecie prevista dall’ordinamento tesa alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo, ed in tal senso si e’ espressa anche l’Amministrazione finanziaria (cfr. Circolare 3/E del 22 gennaio 2008), secondo la quale per vincoli di destinazione si intendono “i negozi giuridici mediante i quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, con effetti segregativi e limitativi della disponibilita’ dei beni medesimi”. La consapevolezza del legislatore delle problematicita’ insite nel sottoporre a tassazione uno strumento negoziale tipologicamente assai variegato, quale appunto e’ il trust, segna inevitabilmente i limiti dell’intervento novellatore, che non si confronta con la complessita’ del fenomeno governato, per cui non si puo’ trarre dallo scarno disposto del Decreto Legge n. 262 del 2006, articolo 2, comma 47, il fondamento normativo di un’autonoma imposta, intesa a colpire ex se la costituzione dei vincoli di destinazione, indipendentemente da qualsivoglia evento traslativo – in senso proprio di beni e diritti, pena il deficit di costituzionalita’ della novella cosi’ letta (Cass. n. 21614/2016). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


Ritenuto

 

che la Fondazione …., la Regione Umbria, il Comune di Perugia e la locale Camera di Commercio, costituirono, con atto notarile, …. T…(per brevita’, Trust), con provvista di danaro fornito dalla predetta Fondazione, assegnandogli lo scopo di provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria, alla riqualificazione ed allo sviluppo dell’aeroporto umbro di S. Egidio nel quinquennio 2005-2010, prevedendo altresi’ che eventuali beni residui sarebbero stati devoluti, alla cessazione del trust, alla Regione Umbria o ad altra societa’ pubblica o ente pubblico regionale individuato dai disponenti;

che, appunto, sulle somme via via ricevute come apporti monetari da uno dei disponesti, segnatamente, la Fondazione (OMISSIS), il Trust pago’ l’imposta sulle donazioni, nella misura massima dell’8%, della quale ha successivamente richiesto il rimborso, con istanza del 16 settembre 2009, impugnando il silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria;

che la Commissione tributaria provinciale di Perugia ha accolto il ricorso, con decisione confermata dalla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, la quale ha respinto l’appello erariale osservando che “l’imposta di donazione non deve colpire l’atto giuridico, ma solo ed esclusivamente l’arricchimento del soggetto che riceve un bene o denaro dal donante”, che “non tutte le disposizioni che creano vincoli di destinazione sono da considerare donazioni”, che quindi “non possono scontare l’imposta (…) quei vincoli che non hanno una effettiva donazione riconosciuta come tale dal diritto civile”, e che nella specie “non si configura donazione, ma semplice conferimento (partita di giro, volgarmente parlando) finalizzato ad uno scopo ben preciso – incremento e valorizzazione dell’aeroporto di Perugia -, con obbligo di versamento del residuo alla regione o ad altro ente pubblico”, per cui “non ci sono i presupposti per l’applicazione dell’imposta”;

che l’Agenzia delle Entrate ricorre per ottenere la cassazione della sentenza, affidando il ricorso ad un unico motivo, al quale il Trust resiste con controricorso e memoria.

 

Considerato

 

che l’Agenzia delle Entrate deduce, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del Decreto Legge n. 262 del 2006, articolo 2, comma 47, perche’ la CTR, nel ritenere assoggettabile ad imposta solo il c.d. trust liberale, ha trascurato di considerare che, sulla base della disciplina fiscale vigente, la costituzione di vincoli di destinazione su beni e diritti e’ soggetta alla imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale, ove cio’ avvenga per testamento o per atto inter vivos, mentre e’ irrilevante, ai fini qui considerati, l’insussistenza dell’animus donandi della Fondazione (OMISSIS), e del correlato arricchimento del Trust, profili propri degli atti di liberalita’, essendo di per se’ sufficiente il vincolo di destinazione impresso ai beni e, dunque, l’effetto di segregazione delle somme apportate dal soggetto disponente per incrementare il fondo del trust, funzionale all’interesse dei beneficiari finali;

che la censura e’ infondata e non merita accoglimento, anche se e’ necessario integrare la sintetica motivazione della sentenza impugnata come meglio di seguito precisato; che il Decreto Legge n. 262 del 2006, convertito con modifiche dalla L. n. 286 del 2006, e la L. n. 296 del 2006, articolo 1, commi 77, 78 e 79, (Legge finanziaria per il 2007), hanno, com’e’ noto, reintrodotto nell’ordinamento l’imposta sulle successioni e donazioni che, fino alla sua abrogazione ad opera della L. n. 383 del 2001, articolo 13, era disciplinata dal Decreto Legislativo n. 346 del 1990;

che in forza del Decreto Legge n. 262 del 2006, articolo 2, comma 47, “e’ istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al Decreto Legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”, disciplina quest’ultima che trova applicazione (articolo 2, comma 50), in quanto compatibile con le nuove disposizioni;

che, con riferimento alla tassazione dei vincoli di destinazione e segnatamente dei trust, la reintrodotta disciplina della imposta sulle successioni e donazioni pone una serie di problemi interpretativi poiche’, a differenza di quanto originariamente previsto dal citato decreto, il quale si riferiva unicamente alle successioni e donazioni, la novella legislativa ha esteso il presupposto impositivo, sottoponendoli a tassazione, ai trasferimenti a titolo gratuito, nonche’ alla costituzione dei vincoli di destinazione;

che, come emerge dalla lettera della norma in esame, l’imposizione si riferisce agli atti “a titolo gratuito”, e non piu’ solo alle “liberalita'” di cui al Decreto Legislativo n. 346 del 1990, articolo 1, cosa che consente di argomentare che il presupposto del tributo vada ravvisato, piu’ che nell’animus donandi, nell’accrescimento patrimoniale (effettivo) del beneficiario, ottenuto senza alcuna contropartita;

che, dunque, accanto ai trasferimenti a causa di morte o per donazione (gia’ presenti nel Decreto Legislativo n. 346 del 1990, articolo 1 e della cui idoneita’ a procurare un incremento del patrimonio dell’erede o del donatario non si e’ mai dubitato), l’imposta comprende il trasferimento di beni e diritti a titolo gratuito, nonche’ la costituzione di vincoli di destinazione, fattispecie queste ultime senz’altro distinte, la prima delle quali individua comunque attribuzioni patrimoniali, che si risolvono cioe’ in un incremento della sfera economica del soggetto che acquista il bene o diritto, ancorche’ non accompagnate da un intento liberale, mentre la seconda, che qui interessa piu’ da presso, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, integrerebbe immediatamente il presupposto impositivo, in quanto l’effetto segregativo, tipico degli atti costitutivi di vincoli di destinazione e funzionale al (successivo) trasferimento dei beni vincolati a favore di soggetti diversi dal disponente, sarebbe di per se’ espressione di capacita’ contributiva, “ancorche’ non determini (o non determini ancora) alcun vantaggio economico diretto per qualcuno”, ed a maggior ragione alcun trasferimento;

che, invero, nell’ambito concettuale dei “vincoli di destinazione” devono essere ricondotti non solo gli “atti di destinazione” di cui all’articolo 2645-ter c.c., ma qualunque fattispecie prevista dall’ordinamento tesa alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo, ed in tal senso si e’ espressa anche l’Amministrazione finanziaria (cfr. Circolare 3/E del 22 gennaio 2008), secondo la quale per vincoli di destinazione si intendono “i negozi giuridici mediante i quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, con effetti segregativi e limitativi della disponibilita’ dei beni medesimi”;

che non e’ in discussione il fatto che il trust di cui all’atto pubblico del 29 dicembre 2005 avesse lo scopo di sostenere finanziariamente le attivita’ dell’aeroporto umbro, essendo le risorse economiche acquisite nel periodo di durata destinate al raggiungimento delle finalita’ (manutenzione, riqualificazione e sviluppo dell’infrastruttura) previste dai costituenti, salva la devoluzione degli eventuali beni residui, al termine del trust, ai soggetti pubblici individuati dai disponenti medesimi e in primis alla Regione Umbria;

che, infatti, secondo l’articolo 4 dell’atto costitutivo del Trust (il cui testo e’ trascritto nel ricorso per cassazione), “i Trustee potranno incrementare il patrimonio con elargizioni, erogazioni o finanziamenti da parte dei disponenti o soggetti terzi, diretti a perseguire lo scopo del trust o alla realizzazione dei progetti presentati”;

che neppure e’ contestato il fatto che il trasferimento di beni o diritti fosse a titolo gratuito, non essendovi previsione di alcun corrispettivo, e che il soggetto disponente certamente non intendesse arricchire il trustee, volendo piuttosto che quest’ultimo gestisse, in favore dei beneficiari, le somme di denaro apportate al fondo, segregandole per la realizzazione dello scopo indicato nell’atto istitutivo del trust, in modo tale che i mezzi finanziari raccolti non potessero essere distolti dalle specifiche finalita’ di quest’ultimo;

che, peraltro, anche nel caso in cui il trustee sia “interessato” all’operazione che ha originato il trust, si tratta comunque di mezzi finanziari, quelli oggetto degli atti di dotazione compiuti dal disponente, destinati a non entrare (definitivamente) nel patrimonio personale del trustee, quindi non “suoi”, cosi’ come, piu’ in generale, la intestazione formale dei beni al trustee, fino allo scioglimento del trust, si deve ritenere misura soltanto strumentale e temporanea;

che, pertanto, la tesi dell’immediata tassazione del trust all’atto della segregazione di beni e diritti, senza dover attendere il successivo trasferimento di essi in favore di soggetti beneficiari diversi dall’autore del vincolo funzionale, riposa sull’asserito rilievo impositivo che sarebbe stato attribuito dal legislatore al vincolo di destinazione, per questi ultimi, con conseguente obbligo di corrispondere l’imposta sulle successioni e donazioni, in misura proporzionale, gia’ al momento della segregazione del patrimonio destinato;

che in tal senso si e’ espressa questa Corte, con le ordinanze gemelle n. 3737/2015 e n. 5322/2015, in controversie riguardanti le medesime parti in causa, osservando che “L’imposta sulla costituzione di vincolo di destinazione e’ un’imposta nuova, accomunata solo per assonanza alla gratuita’ delle attribuzioni liberali, altrimenti gratuite e successorie; essa riceve disciplina mediante un rinvio, di natura recettizio-materiale, alle disposizioni del Decreto Legislativo n. 346 del 1990, ma conserva connotati peculiari e disomogenei rispetto a quelli dell’imposta classica sulle successioni e sulle donazioni. Cio’ in quanto nell’imposta in esame, a differenza che in quella tradizionale, il presupposto impositivo e’ correlato alla predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti; la’ dove l’oggetto consiste nel valore dell’utilita’ della quale il disponente, stabilendo che sia sottratta all’ordinario esercizio delle proprie facolta’ proprietarie, finisce con l’impoverirsi. Se questa imposta abbisognasse del trasferimento e, quindi, dell’arricchimento, essa sarebbe del tutto superflua, risultando sufficiente quella classica sulle successioni e sulle donazioni, nelle quali il presupposto d’imposta e’, giustappunto, il trasferimento, quantunque condizionato o a termine, dell’utilita’ economica ad un beneficiario,czon riguardo all’imposta in esame, non rileva affatto la mancanza di arricchimento, giacche’ il contenuto patrimoniale referente di capacita’ contributiva e’ ragguagliato all’utilita’ economica, della quale il costituente, destinando, dispone Cio’ posto, il legislatore, evocando soltanto l’effetto, ha inequivocabilmente attratto nell’area applicativa della norma tutti i regolamenti capaci di produrlo. Tra questi, vanno annoverati anche gli atti di destinazione contemplati dall’articolo 2645-ter c.c.. In relazione all’aliquota applicabile, la misura dell’8% prevista dalla medesima norma, comma 49, lettera c), e’ imposta dalla sua natura residuale, non rientrando la figura del conferente, che seguita ad essere proprietario dei beni, in alcuna delle altre categorie previste dalla norma, che godono di aliquota inferiore” (nello stesso senso, Cass. n. 3735/2015, n. 3886/2015, e n. 4482/2016, quest’ultima reca il seguente principio di diritto: “La costituzione di un vincolo di destinazione su beni (nel caso di specie attraverso l’istituzione di un trust), costituisce – di per se’ ed anche quando non sia individuabile uno specifico beneficiario – autonomo presupposto impositivo in forza della L. n. 286 del 2006, articolo 2, comma 47, che assoggetta tali atti, in mancanza di disposizioni di segno contrario, ad un onere fiscale parametrato sui criteri di cui alla imposta sulle successioni e donazioni.)”;

che siffatto ordine di argomenti appartiene ad un orientamento giurisprudenziale formatosi in un limitato arco temporale, che non si e’ consolidato, il quale, discostandosi da quanto costantemente ritenuto dalla Corte (n. 25478/2015, n. 25479/2015, n. 25480/2015, n. 21614/2016) nella vigenza del vecchio regime normativo, e svalutando la natura causale unitaria dell’istituto, riconosce due fattispecie distinte ed autonome (la costituzione del vincolo di destinazione e il trasferimento dal fondo in trust verso i beneficiari), accomunate esclusivamente dal rinvio materiale al Decreto Legislativo n. 346 del 1990, ed individua il “nuovo” presupposto impositivo, correlato alla mera “predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti” con l’istituzione del trust, nel “valore dell’utilita’ della quale il disponente, stabilendo che sia sottratta all’ordinario esercizio delle proprie facolta’ proprietarie, finisce con l’impoverirsi”, cosi’ differenziandolo da quello tradizionalmente considerato nelle successioni e donazioni;

che il trasferimento di beni e diritti (e, quindi, all’arricchimento) viene ad assumere, nel meccanismo impositivo, un rilievo del tutto secondario, appartenendo piuttosto “all’esecuzione del programma di destinazione che, per conseguenza, non rileva ai fini dell’individuazione del momento del prelievo tributario sulla costituzione del vincolo, ma dopo, anche ai fini della eventuale riliquidazione delle aliquote e delle franchigie”;

che siffatto approccio interpretativo appare segnato dalla – palesata – preoccupazione che, ricollegando “la tassazione alla identificazione di un qualche “utile” o “vantaggio” percepito da un soggetto”, e quindi (…) alla acquisizione dei beni da parte di un soggetto legittimato ad utilizzarli a proprio esclusivo vantaggio”, si finirebbe per rinviare sine die l’assolvimento dell’onere tributario, ben potendo il trust avere durata temporale assai lunga e conseguentemente essere incerto il momento del trasferimento finale al beneficiario, o si finirebbe addirittura per escluderlo, “ove questo vantaggio non derivi dal negozio costitutivo del vincolo”, ben potendo il patrimonio gestito dal trustee subire medio tempore modificazioni sostanziali significative (cfr. Cass. n. 4482/2016);

che, inoltre, una delle ordinanze (Cass. n. 4482/2015) riferisce di una sostanziale “visione di sfavore nei confronti dei vincoli negoziali di destinazione, scoraggiati attraverso la leva fiscale” che non sembra trovare riscontro nei lavori preparatori dell’intervento normativo del 2006, laddove deve viceversa registrarsi un crescente interesse del legislatore verso l’istituto in questione, reputato meritevole di essere agevolato fiscalmente quando il trust e’ costituito in favore di determinate categorie di soggetti, come e’ contemplato nella L. n. 112 del 2016 (c.d. legge su “dopo di noi”);

che, per quanto possa occorrere, nelle difese erariali non risulta affatto prospettato, con riferimento al caso di specie, un impiego fiscalmente elusivo dello strumento trust;

che al ridetto orientamento se ne contrappone altro (Cass. n. 21614/2016, n. 975/2018, n. 13626/2018, n. 15469/2018), secondo cui non e’ convincente l’interpretazione letterale del Decreto Legge n. 262 cit., articolo 2, comma 47 ss., adottata a sostegno della tesi – qui riproposta dalla Agenzia ricorrente – della istituzione di un’autonoma fattispecie impositiva “sulla costituzione dei vincoli di destinazione”, disciplinata, merce’ rinvio, dalle regole contenute nel Decreto Legislativo n. 346 cit., avente come presupposto la mera costituzione del vincolo, indipendentemente dalla natura traslativa o meno di esso, stante il rilievo intrinsecamente patrimoniale dell’atto di destinazione, di per se’ espressivo di capacita’ contributiva, che produce una sorta di “anticipazione” del prelievo al momento della separazione/segregazione dei beni, rispetto a quello dell’arricchimento (futuro) del beneficiario dei vincoli;

che questa Corte, con la sentenza n. 21614 del 2016, ha in particolare sottolineato che “l’unica imposta espressamente istituita e’ stata la reintrodotta imposta sulle successioni e sulle donazioni alla quale per ulteriore espressa disposizione debbono andare anche assoggettati i “vincoli di destinazione”, con la conseguenza che il presupposto dell’imposta rimane quello stabilito dal Decreto Legislativo n. 346 cit., articolo 1, del reale trasferimento di beni o diritti e quindi del reale arricchimento dei beneficiari. (…) Quella che emerge dal Decreto Legge n. 262 cit., articolo 2, comma 47 e ss., e’ la preoccupazione del legislatore (nei termini di intenzione del legislatore di cui all’articolo 12 preleggi, comma 1) di evitare che un’interpretazione restrittiva della istituita nuova legge sulle successioni e donazioni disciplinata mediante richiamo al gia’ abrogato Decreto Legislativo n. 346 cit. potesse dar luogo a nessuna imposizione anche in caso di reale trasferimento di beni e diritti ai beneficiari quando lo stesso fosse stato collocato all’interno di una fattispecie di “recente” introduzione come quella dei “vincoli di destinazione” e quindi non presa in diretta considerazione dal ridetto “vecchio” decreto legislativo n. 346 cit.” (nello stesso senso, Cass. n. 975/2018 e n. 13626/2018);

che ritiene il Collegio di dover dare continuita’ al piu’ recente orientamento il quale, come sopra riferito, mediante una lettura costituzionalmente orientata della normativa in esame (articoli 53 e 23 Cost.), attribuisce giusto rilievo al fatto che l’imposta prevista dal Decreto Legislativo n. 346 del 1990 non puo’ che essere posta in relazione con “un’idonea capacita’ contributiva”, che il conferimento di beni e diritti in trust non integra di per se’ un trasferimento imponibile e, quindi, rappresenta un atto generalmente neutro, che non da’ luogo ad un trapasso di ricchezza suscettibile di imposizione indiretta, per cui si deve fare riferimento non gia’ alla – indeterminata – nozione di “utilita’ economica, della quale il costituente, destinando, dispone” (Cass. n. 3886/2015), ma a quella di effettivo incremento patrimoniale del beneficiario;

che, infatti, la novellata struttura del tributo de quo mantiene intatta una disciplina unitaria delle pur distinte ipotesi impositive, le quali ruotano tutte intorno all’unico indice di capacita’ contributiva dato dall’attualita’ ed effettivita’ dell’incremento patrimoniale, da valutarsi sempre nella prospettiva causale unitaria dell’istituto civilistico del trust, mediante la individuazione puntuale del momento e del soggetto che manifesta la capacita’ contributiva, perche’ l’arricchimento non puo’ dirsi attuale sino a quando il programma del trust non abbia avuto esecuzione;

che, del resto, la possibilita’ di costituzione di vincoli di destinazione con, e senza, effetto traslativo, e’ generalmente ammessa sia in dottrina, che in giurisprudenza (da ultimo, Cass. n. 13626/2018), ed anche nella situazione presa in considerazione dal Decreto Legge n. 262 del 2006, articolo 2, comma 47, come presupposto dell’imposta, se pur in senso oggettivo, rivela necessariamente la capacita’ contributiva del soggetto passivo, cioe’ la sua possibilita’ economica di contribuire alla spese pubblica, perche’ se e’ vero che l’articolo 53 Cost. non contiene un elenco degli indici di capacita’ contributiva, esso comunque richiede l’esistenza di un collegamento del presupposto d’imposta con fatti e situazioni espressivi di potenzialita’ economica;

che, alla luce delle considerazioni che precedono, un’indiscriminata imponibilita’ degli atti costitutivi di vincoli di destinazione non appare espressione di una ragionevole discrezionalita’, non arbitrio (Corte Cost. n. 4/1954 e n. 83/2015), del legislatore, per cui la interpretazione normativa sollecitata dalla odierna ricorrente risulta non percorribile, perche’ se per ritenere integrato il presupposto d’imposta occorre riferirsi soltanto al perfezionamento del negozio costitutivo del vincolo, non e’ comprensibile la collocazione sistematica della “nuova” imposta accanto alle imposte sui trasferimenti di beni e diritti mortis causa o con animus donandi ed ora anche a titolo gratuito, e perche’, se e’ vero che il diritto tributario e’ qualificante, in quanto adegua alle proprie esigenze le fattispecie normative appartenenti ad altro ramo dell’ordinamento giuridico, tuttavia, il principio dell’unita’ del diritto impone comunque la non alterazione della struttura sostanziale delle fattispecie normative considerate;

che, in conclusione, la consapevolezza del legislatore delle problematicita’ insite nel sottoporre a tassazione uno strumento negoziale tipologicamente assai variegato, quale appunto e’ il trust, segna inevitabilmente i limiti dell’intervento novellatore, che non si confronta con la complessita’ del fenomeno governato, per cui non si puo’ trarre dallo scarno disposto del Decreto Legge n. 262 del 2006, articolo 2, comma 47, il fondamento normativo di un’autonoma imposta, intesa a colpire ex se la costituzione dei vincoli di destinazione, indipendentemente da qualsivoglia evento traslativo – in senso proprio di beni e diritti, pena il gia’ segnalato deficit di costituzionalita’ della novella cosi’ letta (Cass. n. 21614/2016);

che, in relazione agli atti di dotazione del fondo oggetto di causa (“vedi elenco fatto nel ricorso alla commissione provinciale”), il giudice di appello ha accertato la non ricorrenza della donazione (“con animus donandi e arricchimento da parte del trust”), e la decisione, non impugnata in punto di motivazione, pur facendo leva soprattutto sull’assenza dell’intento liberale del disponente, e del correlato arricchimento di un soggetto diverso da quest’ultimo, non potendosi attribuire rilievo fiscale al mero impoverimento del disponente, ha correttamente escluso che la costituzione del vincolo di destinazione sulle somme di denaro conferite in trust avesse prodotto un effetto traslativo immediato, solo in tal caso giustificandosi la soggezione dell’atto dotativo all’imposta sulle successioni e donazioni, in misura proporzionale, in quanto sicuro indice della capacita’ economica del soggetto beneficiato;

che l’intrinseca difficolta’ della sottostante questione interpretativa, e la mancanza di precedenti univoci della Corte, giustificano la integrale compensazione delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

La Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimita’.