Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19926 - pubb. 12/06/2018

Legittimazione del datore di lavoro alla domanda di ammissione per le quote di t.f.r. maturate dopo il 1° gennaio 2007

Cassazione civile, sez. I, 16 Maggio 2018, n. 12009. Est. Campese.


Fallimento - Opposizione allo stato passivo - T.f.r. maturato dopo il 1° gennaio 2007 - Datore di lavoro - Omesso versamento delle quote al Fondo Tesoreria gestito dall’Inps - Insinuazione al passivo - Legittimazione attiva del lavoratore - Sussiste



In materia di insinuazione allo stato passivo, il lavoratore ha legittimazione alla domanda di ammissione per le quote di t.f.r. maturate dopo il 1° gennaio 2007 e non versate dal datore di lavoro fallito al Fondo Tesoreria dello Stato gestito dall'INPS, ai sensi dell'art. 1, comma 755, della l. n. 296 del 2006, poiché il datore di lavoro non è un mero "adiectus solutionis causa" e non perde quindi la titolarità passiva dell'obbligazione di corrispondere il t.f.r. stesso.


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio - Presidente -

Dott. DI MARZIO Mauro - Consigliere -

Dott. VELLA Paola - Consigliere -

Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere -

Dott. CAMPESE Eduardo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

1. Con decreto del 15 maggio/9 luglio 2014, il Tribunale di Nola respinse l'opposizione intrapresa da D.C.S., L. Fall., ex artt. 98 e 99, per ottenere l'ammissione allo stato passivo del fallimento della (*) s.r.l. del credito di Euro 36.735,03 per spettanze retributive, di cui Euro 23.685,19 invocato per TFR, negatole dal giudice delegato.

2. Avverso quel decreto la D.C. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi. Il curatore del fallimento non ha svolto attività difensiva.

3. Con i formulati motivi, la ricorrente ha dedotto:

1) la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., anche in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, censurando il decreto impugnato per aver disatteso la sua domanda senza tenere conto delle prove dedotte e dei documenti prodotti in ordine alla durata del rapporto di lavoro, alla qualifica, ai crediti retributivi ed all'avvenuto trasferimento dell'azienda, peraltro non contestati dal curatore;

2) la violazione e la falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., anche in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, osservando che, oltre ad aver trascurato le prove dedotte, i documenti prodotti e l'assenza di contestazioni, il tribunale nolano nemmeno ha tenuto conto del principio di prova dei crediti operante in materia di lavoro subordinato, che avrebbe imposto l'acquisizione d'ufficio dei documenti rilevanti;

3) la violazione e la falsa applicazione dell'art. 244 c.p.c., anche in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, criticando il decreto impugnato per aver escluso la rilevanza dei capitoli di prova articolati, dedotti specificamente e riguardanti fatti eventualmente non contestati;

4) la violazione e la falsa applicazione della L. 27 dicembre 2006, n. 296, anche in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, sostenendo che, nel ritenere applicabile la predetta legge, il decreto suddetto ha omesso di considerare che tanto la (*) s.a.s. di (*) s.r.l. (già (*) s.r.l., a sua volta già (*) s.r.l.), presso cui ella aveva prestato lavoro fino al 30 giungo 2010, quanto la (*) s.r.l., avevano meno di cinquanta dipendenti, e che la società fallita, oltre a rimanere obbligata in via principale al pagamento del TFR, non aveva provveduto alla trattenuta delle relative quote ed all'effettuazione dei relativi versamenti e comunicazioni;

5) la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2112 c.c., affermando che il provvedimento impugnato non ha tenuto conto dell'affitto di ramo d'azienda stipulato tra la (*) s.a.s. di (*) s.r.l. e la (*) s.r.l. e proseguito anche a seguito della dichiarazione di fallimento, per effetto del quale la società fallita era subentrata nel rapporto di lavoro, con la conseguente assunzione delle relative obbligazioni.

4. I primi tre motivi, scrutinabili congiuntamente riguardando aspetti diversi della medesima questione, sono fondati nei limiti appresso indicati.

4.1. Invero, le corrispondenti doglianze censurano sostanzialmente, al di là di quanto pure potrebbe, prima facie, apparire da una loro formalistica lettura, l'omesso esame del fatto, evidentemente decisivo e dedotto nell'opposizione L. Fall., ex art. 98, dell'essere stata la D.C. certamente assunta dalla (*) s.r.l. (poi divenuta (*) s.r.l., e successivamente, (*) s.a.s. di (*) s.r.l.): tanto è agevolmente, oltre che logicamente, evincibile, peraltro, proprio dal suo successivo transito, al momento del contratto di affitto di ramo di azienda stipulato dalla (*) S.a.s. di (*) s.r.l., con decorrenza dal primo luglio 2010, con la (*) s.r.I., poi fallita, alle dipendenze di quest'ultima (circostanza ritenuta pacifica dal decreto impugnato, che, perciò, ha considerato applicabile l'art. 2112 c.c. "quanto alla titolarità del rapporto obbligatorio in capo alla cedente ed alla cessionaria per i crediti di lavoro maturati prima della cessione").

4.2. Il tribunale nolano ha espressamente sottolineato che "la questione centrale, che il collegio deve appurare in quanto elemento costitutivo della pretesa fatta valere, è la prova che l'odierna opponente abbia lavorato alle dipendenze della società cedente ((*) s.a.s. di (*) s.r.l., già (*) s.r.l., a sua volta già (*) s.r.l.. Ndr) e quanto questo rapporto sia durato". E' palese, però, alla stregua di quanto si è appena detto, che il fatto corrispondente al primo di tali aspetti (l'essere l'odierna ricorrente alle dipendenze della menzionata società) era indubbiamente già allegato e documentato (lettera di assunzione in (*) s.r.l.; lettera di aumento retributivo di (*) s.r.l.; cedolini paga (*) s.r.l., poi s.a.s. e (*) s.r.l.) in atti.

4.3. Va, poi, rimarcato che la motivazione adottata dal giudice di merito per escludere l'ammissione della prova testimoniale articolata dalla D.C. (oggi riprodotta nel suo ricorso) risulta essere stata la seguente: "la ricorrente si limita a dichiarare di essere stata assunta il 18 dicembre 2000 dalla (*) s.r.l., ed asserisce che questa società sia poi divenuta la (*) s.r.l., poi trasformatasi in (*) s.a.s. di (*) s.r.l.. Articola un capo di prova orale, il primo, riportato alla pagina 2 del ricorso in opposizione sotto la lettera a), su detta circostanza, demandando, quindi, ad una espletanda prova orale circostanze da provare a mezzo documenti. Sarebbe stato sufficiente produrre una visura camerale storica da cui si desuma che la (*) s.r.l. si sia trasformata in (*) s.r.l. e questa nella s.a.s. che risulta poi cedente nel richiamato contratto di cessione di azienda. A ciò aggiungasi che l'opponente manca di produrre un estratto contributivo INPS da cui desumere la durata e continuità del rapporto alle dipendenze di un soggetto che possa considerarsi, pur nelle trasformazioni societarie che si asseriscono intervenute, un unitario ed unico centro di imputazione delle obbligazioni maturate nei confronti del ceto dei dipendenti" (cfr. testualmente, pag. 2 del decreto impugnato).

4.3.1. Ma una siffatta giustificazione denota chiaramente l'essere stato omesso di considerare il fatto che quel rapporto certamente esisteva (giusta quanto si è riferito in precedenza), sicchè ne andava provata solo la durata, circa la quale nessuna norma ne imponeva la dimostrazione esclusivamente in via documentale.

4.4. In altri termini, non sembra venire qui in rilievo l'omessa o errata valutazione di elementi istruttori (certamente preclusa dal testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo, qui applicabile ratione temporis, novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, nell'interpretazione fornitane da questa Corte. Cfr., ex multis, Cass. n. 7472 del 2017; Cass. n. 21304 del 2016; Cass. n. 14324 del 2015; Cass. n. 16300 del 2014; Cass. n. 15205 del 2014; Cass., S.U., n. 8053 del 2014), bensì l'omesso esame di un fatto decisivo - la sicura esistenza del rapporto lavorativo - da cui è derivata, affatto erroneamente, la mancata ammissione di un mezzo di prova orale volto a dimostrarne la sua effettiva durata.

5. Il quarto motivo è inammissibile nella parte concernente l'applicabilità della L. n. 296 del 2006, alle società presso le quali ha prestato lavoro la ricorrente, in quanto quest'ultima, nel contestare l'affermazione del tribunale, secondo cui sia la (*) s.a.s. di (*) s.r.l. (già (*) s.r.l., a sua volta già (*) s.r.l.) che la (*) s.r.l. avevano un numero di dipendenti superiore a quello richiesto dalla predetta legge, sollecita una rivisitazione dell'accertamento in fatto risultante dal decreto impugnato, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte a fondamento della decisione (cfr., ex plurimis, Cass. n. 27197 del 2011; Cass. n. 6288 del 2011; Cass. n. 17477 del 2007).

5.1. Il medesimo motivo è, invece, fondato laddove, sul presupposto dell'applicabilità della medesima legge, censura il decreto impugnato, sostanzialmente in via subordinata, nella parte in cui ha ritenuto che la legittimazione ad agire nei confronti della società fallita per il recupero delle quote di TFR spetti esclusivamente all'INPS, in qualità di gestore del Fondo di Tesoreria, con la conseguente infondatezza dell'istanza d'insinuazione al passivo proposta dal lavoratore.

5.1.1. Giova ricordare, innanzitutto, che il provvedimento impugnato, dopo aver premesso che "la questione centrale, che il collegio deve appurare in quanto elemento costitutivo della pretesa fatta valere, è la prova che l'odierna opponente abbia lavorato alle dipendenze della società cedente ((*) s.a.s. di (*) s.r.l., già (*) s.r.l., a sua volta già (*) s.r.l.. Ndr) e quanto questo rapporto sia durato", ha ritenuto infondata la richiesta di ammissione al passivo per TFR maturato fino al 31 dicembre 2006, per mancanza di prova (stante la inammissibilità di quella testimoniale articolata) quanto all'epoca di inizio del rapporto stesso, mentre, "quanto al TFR maturato dal primo gennaio 2007", ha sostenuto che "trattandosi di società con più di cinquanta dipendenti, a ragione il giudice delegato ha ritenuto che la legittimazione all'ammissione spetti esclusivamente al Fondo di Tesoreria costituito presso l'INPS, indipendentemente dalla sussistenza, o meno, di regolari versamenti mensili da parte dell'impresa poi fallita" (cfr. pag. 2 del provvedimento impugnato).

5.2. Come è noto, nell'istituire il Fondo per l'erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all'art. 2120 c.c., L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 755, ne ha affidato all'INPS la gestione per conto dello Stato, disponendo che esso "garantisce ai lavoratori dipendenti del settore privato l'erogazione dei TFR, per la quota corrispondente ai versamenti di cui al comma 756, secondo quanto previsto dal codice civile", e prevedendo che il relativo finanziamento ha luogo con modalità rispondenti al principio della ripartizione. In ordine alle predette modalità, il comma 756 ha previsto che, "con effetto sui periodi di paga decorrenti dall'1 gennaio 2007", affluisca al Fondo un contributo pari alla quota di cui all'art. 2120 c.c., al netto del contributo di cui alla L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, u.c., maturata a decorrere dalla predetta data e non destinata alle forme pensionistiche complementari di cui al D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, ovvero all'opzione di cui al comma 756-bis. Il contributo, al cui versamento sono tenuti i datori di lavoro che abbiano alle proprie dipendenze almeno cinquanta addetti, è versato mensilmente dagli stessi datori di lavoro al Fondo, secondo le modalità stabilite con apposito decreto ministeriale; ad esso - che, per effetto delle previsioni della norma in esame, assume la natura di contribuzione previdenziale - si applicano le disposizioni in materia di accertamento e riscossione dei contributi previdenziali obbligatori, con esclusione di qualsiasi forma di agevolazione contributiva. La liquidazione del TFR e delle relative anticipazioni al lavoratore viene, infine, effettuata sulla base di un'unica domanda, presentata dal lavoratore al proprio datore di lavoro secondo le modalità stabilite dal medesimo decreto, da parte del Fondo nei limiti della quota corrispondente ai versamenti effettuati, mentre per la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro.

5.2.1. Le modalità di funzionamento del Fondo sono state disciplinate con D.M. 30 gennaio 2007, il quale, nel ribadire che le prestazioni sono erogate con le modalità di cui all'art. 2120 c.c., in riferimento alla sola quota maturata a decorrere dall'1 gennaio 2007, ne demanda il versamento al datore di lavoro anche per la quota parte di competenza del Fondo, salvo conguaglio da valersi prioritariamente sui contributi dovuti per il mese di erogazione della prestazione e, in caso di incapienza, sull'ammontare dei contributi dovuti complessivamente agli enti previdenziali nello stesso mese. A tal fine, si prevede che gli enti previdenziali interessati debbano comunicare al Fondo le informazioni necessarie per ottemperare agli obblighi posti a suo carico. Il decreto precisa, inoltre, che l'importo di competenza del Fondo erogato dal datore di lavoro non può, in ogni caso, eccedere l'ammontare dei contributi dovuti al Fondo ed agli enti previdenziali con la denuncia mensile contributiva, disponendo che, qualora si verifichi tale evenienza, il datore di lavoro è tenuto a comunicare immediatamente al Fondo tale incapienza complessiva ed il Fondo deve provvedere, entro trenta giorni, all'erogazione dell'importo delle prestazioni per la quota parte di competenza del Fondo stesso.

5.2.2. Le predette disposizioni delineano un sistema in cui l'intervento del Fondo, nei casi in cui è previsto, dà luogo ad un rapporto trilaterale tra il datore di lavoro, il Fondo ed il prestatore di lavoro, in virtù del quale: a) il primo è obbligato nei confronti del secondo a versare il TFR, al pari di quanto avviene per le contribuzioni previdenziali; b) il secondo è tenuto ad erogare le prestazioni secondo le modalità previste dall'art. 2120 c.c., nei limiti della quota maturata a decorrere dall'1 gennaio 2007, mentre la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro; c) la materiale erogazione del TFR è affidata al datore di lavoro anche per la parte di competenza del Fondo, salvo conguaglio sui contributi dovuti al Fondo stesso ed agli altri enti previdenziali.

5.3.1. Le motivazioni delle appena citate pronunce (tra cui appaiono particolarmente significative Cass. n. 10544 del 2016 e la successiva Cass. n. 6880 del 2017, in cui la società onerata dei versamenti delle quote al Fondo di Tesoreria INPS era stata poi dichiarata insolvente) poggiano, chiaramente, sul duplice presupposto che il datore di lavoro non sia da considerare un mero adiectus solutionis causa o, magari, un delegato ex lege del Fondo, e che, ove non sia stata resa, in corso di causa, la prova dell'avvenuto versamento al medesimo Fondo di tutte o di parte delle "quote" di TFR da parte del datore di lavoro, quest'ultimo non perde la titolarità passiva dell'obbligazione di corrispondere (rispettivamente, per l'intero o per il residuo) il TFR stesso.

5.3.2. Trattasi di argomentazioni che questo Collegio integralmente condivide perchè assolutamente coerenti con il dettato normativo della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 756, a tenore del quale - giova ricordarlo - la liquidazione del trattamento di fine rapporto e delle relative anticipazioni al lavoratore viene effettuata, sulla base di un'unica domanda, presentata dal lavoratore al proprio datore di lavoro, secondo le modalità stabilite con il decreto di cui al comma 757, dal Fondo di Tesoreria INPS, limitatamente alla quota corrispondente ai versamenti effettuati al Fondo medesimo, mentre per la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro, da ciò derivandone, altresì, affatto opportunamente, che l'onere probatorio riferito all'effettivo versamento dei contributi spettanti al datore di lavoro, giusta l'art. 1, comma 756, seconda parte della citata legge, in funzione di finanziamento del Fondo suddetto, secondo il principio della cd. "ripartizione", debba fare carico allo stesso datore, costituendo esso fatto estintivo della pretesa dei lavoratori nei suoi confronti, da dimostrarsi, pertanto, da chi lo opponga in eccezione.

5.3.3. La loro applicazione alla concreta fattispecie esaminata dal tribunale nolano denota, allora, l'erroneità della statuizione di quest'ultimo, "quanto al TFR maturato dal primo gennaio 2007", secondo cui "...a ragione il giudice delegato ha ritenuto che la legittimazione all'ammissione spetti esclusivamente al Fondo di Tesoreria costituito presso l'INPS, indipendentemente dalla sussistenza, o meno, di regolari versamenti mensili da parte dell'impresa poi fallita" (cfr. pag. 2 del provvedimento impugnato): una tale affermazione avrebbe, invero, richiesto l'avvenuta dimostrazione invece mancata, essendo la curatela ivi rimasta contumace - dell'effettuato versamento a quel Fondo, da parte delle società ((*) s.a.s. di (*) s.r.l., già (*) s.r.l., a sua volta già (*) s.r.l.; (*) s.r.l.) a tanto tenute (anche alla stregua dell'art. 2112 c.c., in ragione del contratto di affitto di ramo di azienda pacificamente ritenuto sussistente dal suddetto tribunale) a decorrere da quella data, delle quote di TFR maturate dalla D.C..

6. Il quinto motivo, infine, può considerarsi assorbito, investendo l'assunzione da parte della (*) s.r.l. dei debiti per TFR gravanti a carico dell'azienda ad essa concessa in affitto da altra società (la (*) s.a.s. di (*) s.r.l., così risultante dalle trasformazioni già ripetutamente descrittesi, di cui era originariamente dipendente la V.), sicchè, una volta riconosciuta la legittimazione della ricorrente a far valere il proprio credito nei confronti della società fallita, spetterà al giudice di rinvio provvedere alla sua effettiva quantificazione.

7. Alla stregua di tutto quanto fin qui esposto, dunque, vanno accolti i primi quattro motivi del ricorso, dichiarandosene assorbito il quinto. Il decreto impugnato deve essere, quindi, cassato in relazione ai motivi accolti, con rinvio al Tribunale di Nola, in diversa composizione, per un nuovo esame della opposizione della D.C..

 

P.Q.M.

Accoglie i primi quattro motivi del ricorso, dichiarandone assorbito il quinto. Cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti, e rinvia al Tribunale di Nola, in diversa composizione, per un nuovo esame della opposizione della D.C..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2018.