Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19393 - pubb. 27/03/2018

Dichiarazione di fallimento: accertamento incidentale al solo scopo di verificare la legittimazione del richiedente e definizione dello stato di insolvenza

Cassazione civile, sez. I, 06 Febbraio 2018, n. 2810. Est. Fichera.


Fallimento - Dichiarazione - Presupposti - Definitivo accertamento del credito o della esecutività del titolo - Accertamento incidentale al solo scopo di verificare la legittimazione dell'istante

Fallimento - Dichiarazione - Presupposti - Stato di insolvenza - Definizione - Impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all'impresa



L'art. 6 legge fall., laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l'altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, nè l'esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all'esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell'istante (Cass. sez. un. 23 gennaio 2013, n. 1521; Cass. 22 maggio 2014, n. 11421). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Lo stato di insolvenza richiesto ai fini della pronunzia dichiarativa del fallimento dell'imprenditore, non è escluso dalla circostanza che l'attivo superi il passivo e che non esistano conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili

Il significato oggettivo dell'insolvenza, che è quello rilevante agli effetti della art. 5 legge fall., deriva da una valutazione circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) all'esercizio di attività economiche e si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all'impresa e si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell'esperienza economica, nell'incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l'estinzione dei debiti), nonché nell'impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


Segnalazione dell'Avv. Paola Cuzzocrea


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria - Presidente -

Dott. FICHERA Giuseppe - rel. Consigliere -

omissis

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

omissis

Svolgimento del processo

La Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata il 21 giugno 2012, respinse il reclamo proposto dalla (*) s.r.l., con socio unico (di seguito breviter (*)), avverso la sentenza che aveva dichiarato il suo fallimento, su istanza di un unico creditore.

Ritenne la corte che dalla documentazione in atti non emergeva documentazione anteriore alla presentazione dell'istanza di fallimento, in cui la fallita avesse contestato il credito, portato da quattro assegni, vantato dal creditore istante Petruzzelli Costruzioni s. r. l.

Soggiunse il giudice di merito che il mancato deposito delle somme richieste a titolo di spese della procedura di concordato preventivo, cui era stata in precedenza ammessa la società fallita, costituiva indice inequivoco del suo stato di insolvenza.

(*) ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi; Petruzzelli Costruzioni s.r.l. ha depositato controricorso, mentre il fallimento della (*) non ha spiegato difese.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 1.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo (*) deduce violazione dell'art. 115 c.p.c., comma 2, avendo la corte d'appello erroneamente omesso di considerare la mancata contestazione dell'istante Petruzzelli Costruzioni s.r.l. in ordine all'anteriorità, rispetto all'istanza di fallimento, delle contestazioni sollevate dalla (*) in ordine al credito vantato.

Con il secondo motivo assume vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo il giudice di merito ritenuto provato il credito dell'istante, nonostante quest'ultimo fosse in solo possesso di taluni titoli consegnati "in garanzia".

Con il terzo motivo assume violazione del R.D. n. 1736 del 1933, art. 45 e della L. Fall., art. 15, u.c. atteso che erroneamente ha considerato "insoluti" gli assegni bancari non oggetto di protesto, senza conseguentemente rilevare d'ufficio il mancato superamento della soglia minima dell'esposizione debitoria complessiva pari ad Euro 30.000,00.

Con il quarto motivo denuncia violazione del "principio elaborato dalla costante giurisprudenza" a tenore del quale in caso di istanza di fallimento presentata da un unico creditore, deve esistere prova certa del suo credito.

Con il quinto motivo assume violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), considerato che la corte d'appello ha dichiarato d'ufficio il fallimento, ritenendo provato lo stato di insolvenza sulla base soltanto del mancato versamento delle spese necessarie per la procedura di concordato preventivo, cui la società poi fallita era stata ammessa.

2. Il primo, secondo, terzo e quarto motivo, da esaminare congiuntamente stante la stretta connessione, sono tutti manifestamente infondati.

Com'è noto, secondo le sezioni unite di questa Corte, in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, la L. Fall., art. 6, laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l'altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, nè l'esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all'esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell'istante (Cass. s.u. 23/01/2013, n. 1521; Cass. 22/05/2014, n. 11421).

Nella vicenda che ci occupa la corte d'appello ha accertato, sia pure incidentalmente, che in presenza di quattro assegni bancari, di cui uno protestato, la Petruzzelli Costruzioni s.r.l. doveva ritenersi creditrice della (*) e, quindi, pienamente legittimata ad avanzare istanza di fallimento nei suoi confronti; siffatto accertamento di fatto operato dal giudice di merito, adeguatamente motivato e privo di vizi logici, non può essere sottoposto a revisione critica in questa sede.

Inammissibili, poi, in quanto questioni nuove non oggetto di alcuno fra i motivi di reclamo, si mostrano le doglianze riferite alla dedotta funzione di mera "garanzia" degli assegni consegnati al creditore istante, nonchè al mancato superamento della soglia rilevante L. Fall., ex art. 15, u.c. dell'unico, fra gli assegni rilasciati dalla debitrice, portati al protesto.

3. Il quinto motivo è infondato.

Al riguardo va anzitutto ricordato che lo stato di insolvenza richiesto ai fini della pronunzia dichiarativa del fallimento dell'imprenditore, non è escluso dalla circostanza che l'attivo superi il passivo e che non esistano conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili.

In particolare, il significato oggettivo dell'insolvenza, che è quello rilevante agli effetti della L. Fall., art. 5, deriva da una valutazione circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) all'esercizio di attività economiche, si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all'impresa e si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell'esperienza economica, nell'incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l'estinzione dei debiti), nonchè nell'impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio.

Va soggiunto che il convincimento espresso dal giudice di merito circa la sussistenza dello stato di insolvenza costituisce apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in cassazione ove sorretto da motivazione esauriente e giuridicamente corretta (Cass. 27/03/2014, n. 7252).

La corte d'appello, nella sentenza qui impugnata, con un apprezzamento coerente che si sottrae a censure di sorta, ha inteso valorizzare, da un lato, la circostanza che la società debitrice avesse proposto domanda di concordato, così riconoscendo almeno l'esistenza di uno "stato di crisi" in cui la medesima versava e, dall'altro, la plateale sua incapacità di sostenere, anche nella misura di una quota in percentuale, le spese necessarie per la procedura alla quale pure aveva chiesto di accedere e che avrebbe scongiurato la dichiarazione di fallimento.

4. Le spese seguono la soccombenza tra le parti costituite.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2018.