Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 881 - pubb. 01/01/2007

Fallimento - Piccola società commerciale - Assoggettabilità

Tribunale Mantova, 30 Gennaio 1997. Est. Bernardi.


Fallimento - Piccola società commerciale - Assoggettabilità.



 


 


Tribunale di Mantova, – Sentenza 30 gennaio 1997 - Presidente Dott. A. Dell’Aringa, Giudice relatore est. Dott. M. Bernardi, Giudice Dott. Melania Bellini.

 

Il Procuratore degli Opponenti:

Ogni avversa istanza, eccezione o deduzione disattesa, revocarsi il fallimento della Soc. Delta S.n.c., nonché degli stessi soci illimitatamente responsabili, in quanto dichiarato in assenza dei presupposti di legge.

In via Istruttoria: ordinarsi al curatore la produzione della relazione sulle cause del fallimento e dello stato passivo.

Svolgimento del processo

Con tempestivo atto di citazione notificato in data 26/03/1996 gli istanti proponevano opposizione ex art. 18 L.F. avverso la sentenza emessa in data 29/02-06/1996 con la quale il Tribunale di Mantova, in accoglimento al ricorso presentato da Bianchi Giuseppe, dichiarava il fallimento della Delta S.n.c. e dei soci illimitatamente responsabili Mario Rossi e Paola Verdi. Gli opponenti negavano che la società potesse considerarsi insolvente, anche in ragione del modesto importo del credito azionato, e sostenevano che, in ogni caso, essa dovesse considerarsi come piccola società commerciale, come tale non soggetta alla procedura concorsuale.

Gli opposti non si costituivano in giudizio: la causa veniva istruita con produzioni documentali e rimessa al Collegio per la decisone sulle conclusioni in epigrafe trascritte.

Motivi della decisione

L’opposizione non è fondata e pertanto deve essere rigettata.

Dagli atti di causa e del fascicolo fallimentare risulta che, all’atto della dichiarazione di fallimento, la società era debitrice nei confronti del creditore istante della somma di £. 10.083.067 e nei confronti della B.A.M., come emerso dalla domanda di insinuazione al passivo del fallimento, per £. 31.605.730.

La circostanza che tali creditori, successivamente alla dichiarazione di fallimento, siano stati soddisfatti da terzi come riconosciuto dagli stessi opponenti dimostra che tali debiti sussistevano ed erano insoddisfatti al momento della decisione del Tribunale e non vale certo a negare lo stato di insolvenza: il pagamento dei creditori successivo alla dichiarazione di fallimento o comunque il venir meno dell’insolvenza comporta infatti la chiusura del fallimento e non la sua revoca (così Cass. 68/2908).

Va poi evidenziato che il creditore istante aveva infruttuosamente esperito la procedura esecutiva mobiliare e che la società era già stata sciolta senza essere messa in liquidazione e quindi non era operante e non disponeva di alcun capitale.

Tali elementi unitamente al persistente rifiuto di adempimento ed all’entità complessiva del passivo di fronte all’inesistenza di alcun attivo confermano il convincimento del Tribunale circa l’assoluta impossibilità da parte della società di poter far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni le quali, si ribadisce, sono state estinte da terzi dopo la dichiarazione di fallimento ad ulteriore riprova dell’assoluta impotenza economica della società fallita.

Nessun rilievo può inoltre assumere l’asserzione, peraltro palesemente smentita dalla lettera datata 20-23/08/1990 e prodotta dalla B.A.M. a corredo della propria domanda di insinuazione, circa la ignoranza da parte degli opponenti di tale debito in quanto contratto dai precedenti soci ai quali essi erano subentrati nella titolarità delle quote, atteso che il mutamento della compagine sociale non determina certo l’estinzione delle obbligazioni sociali in precedenza contratte e che colui che entra a far parte di una società già costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all’acquisto della qualità di socio (cfr. artt. 2293 e 2269 c.c.).

Né alcun fondamento ha l’ulteriore deduzione secondo cui i soci avrebbero posseduto beni mobili ed immobili sui quali il creditore istante avrebbe potuto agevolmente soddisfarsi in via esecutiva: secondo la giurisprudenza ai fini del fallimento della società è irrilevante che i soci illimitatamente responsabili versino in stato di insolvenza (così C. Cost. 06/02/1994 n. 54; Cass. 87/2311; Cass. 82/1632; Cass. 74/1695) essendo gli stessi assoggettati al fallimento in modo automatico per effetto dell’insolvenza della società.

Quanto infine all’ultimo profilo sollevato (difetto del requisito soggettivo dovendosi ritenere la S.n.c. fallita come piccola società commerciale) deve essere ribadito che l’art. 1 2° co. u.p. L.F. non è stato abrogato ed è passato indenne dalle ripetute verifiche della sua legittimità costituzionale. La Corte Costituzionale ha infatti rilevato che la sottoposizione alla procedura fallimentare delle società anche se di fatto e di modeste dimensioni trova adeguata giustificazione nella presunzione di speculazione e di profitto che ne ha determinato la costituzione sicchè la differenziazione fra le società ed il piccolo imprenditore individuale non può considerarsi irrazionale. Né è stata ritenuta sussistente una omogeneità fra la situazione del piccolo imprenditore e quella dei soci di una società di persone anche se di modeste dimensioni in quanto è soggetta al fallimento solo la società mentre ai soci illimitatamente responsabili può solo estendersi il suo fallimento e ciò al fine di impedire che il socio possa compiere atti di disposizione del suo patrimonio che deve invece servire a soddisfare i creditori sociali ( in tal senso vedasi C. Cost. 06/02/1991 n. 54; C. Cost. ord. 12-19 gennaio 1993).

La contumacia degli opposti impedisce ogni statuizione in ordine alle spese del giudizio.

PQM

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda reietta così provvede:

rigetta l’opposizione proposta ex art. 18 L.F. avverso la sentenza di fallimento pronunciata dal Tribunale di Mantova in data 29/02-06/1996.