Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 732 - pubb. 01/01/2007

Revocatoria di rimesse in c.c. e castelletto SBF, scientia decoctionis e cessione d'azienda, forma scritta ex. art. 117 D. LGS. N. 385/93

Tribunale Mantova, 13 Marzo 2003. Est. Dell'Aringa.


Revocatoria di rimesse in conto corrente bancario - Inidoneità del castelletto per anticipazioni sbf a determinare un aumento di fido. Operazioni bilanciate - Sussistenza - Forma scritta ex art. 117 d. lgs n. 385/93 e jus variandi - Deducibilità nei termini di cui all'art. 183 c.p.c.. Scientia decoctionis ed elementi presuntivi - Scarsa valenza indiziaria della cessione del ramo d'azienda e dello sfratto per morosità - Prova della conoscenza del bilancio - Necessità. Revoca di pegno ex art. 67, 1° co. l.f..



 


 


omissis 

MOTIVI DELLA DECISIONE

I castelletto di sconto anche ove abbia ad oggetto le c.d. “anticipazioni s.b.f.” (anziché lo sconto in senso tecnico di titoli) non attribuisce al cliente la disponibilità di una somma di denaro, ma impegna la banca ad accettare per lo sconto, entro un ammontare predeterminato, i titoli, gli effetti le ricevute bancarie presentate dall’affidatario, sicchè non è idoneo a coprire oltre il limite dell’apertura di credito il conto corrente bancario, neppure se il ricavato degli sconti e delle anticipazioni è destinato a confluire in quest’ultimo, in guisa da creare un collegamento tra le due linee di credito (v. Cass. 10.4.1999 n. 3526 – Cass 5.5.2000 n. 5634); pertanto la convenuta  - cui incombeva la prova della natura non solutoria delle rimesse (v.Cass. 1.10.2002 n. 14087)- era tenuta a dimostrare l’esistenza di uno specifico accordo tra le parti, derogativo del principio dell’autonomia dei fidi, ed ha infondatamente addotto l’assenza di contestazioni  sollevate sul punto dalla curatela, che ha negato la cumulabilità del limite dell’apertura di credito e di quello del castelletto implicitamente – ma inequivocabilmente – e nell’atto introduttivo del giudizio (laddove ha calcolato l’importo delle rimesse revocande in ragione degli sconfinamenti dal tetto di £ 20.000.000 e non di £ 70.000.000) ed esplicitamente in comparsa conclusionale, nella quale ha spiegato una mera difesa, anziché una controeccezione soggetta alle preclusioni sancite dall’art. 183 c.p.c.

Il versamento di £ 10.000.000 del 3.4.98 e quello  di £ 21.500.000 del 21.4.98 sono qualificabili come operazioni bilanciate (ossia concordemente finalizzate non a ridurre lo scoperto del conto, bensì a costituire una specifica provvista in funzione dell’ordine ricevuto ed accettato) in quanto:

 I. il difetto della forma scritta richiesta dall’art. 117 d.lgs. n. 385/1993, pur se fosse invocabile anche rispetto anche agli accordi sottesi dalle operazioni in predicato, potrebbe essere fatto valere, come recita il successivo art. 127 com. 2°, solo dal cliente, che – e per esso il curatore del suo fallimento – non l’ha nella specie eccepito entro i limiti temporali di deducibilità dello ius novorum stabiliti dal già citato art. 183 c.p.c.

 II. le date delle operazioni di segno opposto coincidono e corrispondono anche gli importi di esse (salvo, per la rimessa di £ 21.500.000, una differenza minima e non significativa)

III. l’ordine delle appostazioni contabili sull’estratto conto rispecchia la successione logica e quindi anche quella cronologica dei versamenti e dei correlati prelievi

IV. essendosi trattato di rapporti di conto corrente in corso da poco non è ravvisabile una tolleranza dello scoperto sistematica e tale da giustificare il convincimento che la banca avrebbe certamente o quasi certamente consentito i prelevamenti extra-fido anche se non fossero stati bilanciati dai versamenti

V.la rimessa di £ 10.000.000, operata il 3.4.98 mediante assegni fuori piazza anziché denaro contante, ha esposto la banca al rischio del mancato incasso dei titoli ma ben  può essere stata determinante nell’indurre la banca ad emettere gli assegni circolari di pari ammontare essendo il saldo passivo del conto lievitato a £ 62.000.000 raggiungendo un livello oggettivamente troppo elevato se fosse ulteriormente aumentato.

Chiaramente inoltre se la rimessa non aveva una funzione solutoria, per la sua attinenza ad un’operazione bilanciata, poteva essere domandata soltanto la revoca della convenzione sottostante a detta operazione e non anche quella del versamento diretto a formare la provvista per l’esecuzione della disposizione impartita alla banca.

La revocabilità delle rimesse di £ 16.950.000 e di £ 11.000.000 (effettuate entrambe il 5.598) presuppone la scientia decoctionis, che non è sufficientemente provata dagli elementi presuntivi indicati dall’attore o comunque risultanti dagli atti – e quindi utilizzabili per consolidata giurisprudenza anche se non espressamente richiamati (v. Cass. 6.9.2002 n. 12980)- atteso che siffatti elementi appaiono privi, sia singolarmente che nella loro globalità , dei requisiti postulati dall’art. 2729 c.c.

La conoscibilità si traduce invero in presunzione di conoscenza quando deriva da fatti divenuti di pubblico dominio ovvero adeguatamente pubblicizzati come i protesti cambiari e le esecuzioni immobiliari, alle quali non sono assimilabili quelle mobiliari, precedute da un pignoramento non trascritto (v.Cass. 28.4.1995 n. 4718) e le esecuzioni degli sfratti per morosità, come quello a carico dell’Emporio Ferrari s.n.c. , mentre la cessione del ramo di azienda di quest’ultima, ancorché sia stata iscritta nel Registro delle Imprese in ottemperanza  al dettato dell’art. 2556 com 2° c.c., ha una scarsa valenza indiziaria poiché le cessioni del genere vengono poste in essere anche dalle imprese sane per soddisfare esigenze di varia natura e non sono di per sé atte a suscitare allarmismi, non sottraendo esse alle aspettative dei creditori parte della garanzia patrimoniale, che resta conservata dalla responsabilità solidale gravante sull’acquirente a norma dell’art. 256 com 2° c.c.

Gli sconfinamenti dal fido non sono assurti ad indice di una assai probabile crisi economica e/o finanziaria dell’impresa debitrice sia perché non hanno avuto il tempo – data la breve durata del rapporto di conto corrente – di caratterizzarsi come cronica incapacità di eliminare lo scoperto, sia perchè non si sono accompagnati ad ulteriori e più probanti segnali dello stato di insolvenza della società poi fallita, considerato che contro quest’ultima non erano stati levati protesti od eseguiti pignoramenti , che la conoscenza in capo alla convenuta dello sfratto per morosità  e del bilancio al 31.12.1997 non è stata dimostrata, che la cessione del ramo di azienda poteva essere consistita in una normale transazione commerciale volta a convertire in liquidità monetaria parte delle immobilizzazioni patrimoniali  - così da riequilibrare finanziariamente l’impresa e dotarla dei mezzi per eventualmente ridurre lo scoperto del c/c -, né l’Agenzia di Porto Mantovano della Banca C.C. di Casalmoro e Bozzolo s.c.a.r.l. e la Emporio Ferrari avevano le sedi ubicate in una medesima e ristretta località (trovandosi la prima in una zona ad alta densità di insediamenti produttivi e commerciali), onde lo sfratto per morosità, avvenuto il 10.4.98. dopo le prime rimesse revocatoriamente impugnate , non può reputarsi tempestivamente conosciuto dalla convenuta sotto il profilo  - talora valorizzato dalla giurisprudenza (v.Cass. 21.1. 2000 n. 656) – della rapidità con cui nei piccoli centri le notizie giungono alla notorietà, e la qualità di banchiere dell’”accipiens” può essere ricondotta tra gli elementi che depongono per la sua consapevolezza dell’insolvenza del cliente sulla base non già di un astratto riferimento alle doverose regole di avvedutezza e di prudenza cui avrebbe dovuto uniformare la sua condotta di operatore professionale (v.Cass. 7.2.2001 n. 1719), ma della constatazione che i modelli comportamento di fatto osservati dalle generalità delle banche e la loro capacità dei analisi dei dati economici, superiore a quella del “quisque de populo”, avrebbero condotto attraverso l’esame degli elementi valutativi in concreto acquisiti alla ragionevole certezza dello stato di dissesto.

Ad identica conclusione si perviene per le rimesse sul conto n. 269265/14 di Ferrari Raffaele, dovendo in subiecta materia aversi riguardo alla conoscenza dell’insolvenza della società di persone anche rispetto agli atti di disposizione compiuti dal socio illimitatamente responsabile, il quale fallisce anche se non versa “uti singulus” in stato di decozione (v. Cass. 14.1.1998 n. 255)

La costituzione in pegno dei titoli obbligazionari emessi dalla convenuta viene invece revocata pur dando atto che:

a.    l’art. 2901 com 2° c.c. situa le prestazioni di garanzie contestuali alla genesi del credito fuori della previsione dell’art. 64 I. fall. ed entro quella dell’art. 67 I. fall, avendo un contenuto compatibile con quello di quest’ultimo stante la possibilità di costituire a titolo oneroso anche le garanzie non contestuali (v. Cass. 7.6.1999 n. 5582 – Cass. 2.9.1996 n. 7997 – contra Cass. 28.5.1998 n. 5264).

b.    la contestualità richiesta dall’art. 67 com 2° I. fall. sussiste, tra il sorgere del debito e l’atto costitutivo della garanzia, se entrambe le operazioni sono state volute dalle parti in un identico momento, anche se sono poi state portate a compimento in momenti separati (v. Cass. 17.71997 n. 6558)

c.     l’apposizione della data dell’8.4.1998 (resa certa del timbro postale) sia sulla lettera di “accettazione delle concessione di fido”, sia su quella recante l’assunzione dell’obbligo di prestare la garanzia reale, può dunque far ritenere la costituzione del pegno coeva al negozio originativo del credito della banca anche se per evitare i ritardi verificatosi avrebbero potuto essere impegnati titoli  diversi da quelli consegnati in garanzia a distanza di un mese circa, per essere la scelta preferenziale caduta su quelli di prossima emissione da parte della convenuta.

I rilievi che precedono sono infatti superati dal recepimento nell’art. 67 com 2° I.fall. di un concetto di contestualità inteso in senso sostanziale e causale, anziché formale e meramente cronologico, per cui la concomitanza temporale tra la concessione della garanzia pignoratizia e il contratto col quale è stato accordato od ampliato il fido non osta all’applicabilità dell’art. 67 com 1° n.n. 3) eo 4) I. fall. (che onera il convenuto in revocatoria della prova della inscientia decoctionis) ove il pegno sia stato costituito per garantire anche passività preesistenti, a termini dell’art. 1844 c..c. o di particolari clausole contrattuali (v. Cass. 9.5.200 n. 5845), come è avvenuto nella fattispecie, nella quale l’addebitamento di £ 62.00.000 circa alla Emporio Ferrari risaliva  - come documentato dall’estratto conto scalare – al 31.3.1998  (ossia a prima che fosse stato promessa con l’atto 8.4.98 la sottoposizione dei titoli  al vincolo pignoratizio) e la garanzia era stata estesa dall’’art. 8 del contratto 8.4.98 ad “ogni altro credito” e quindi anche ai crediti pregressi.

I contratti dell’ 8.4.98 non sono infatti retrodatabili, ai fini in argomento , al tempo in cui gli organi della convenuta avrebbero deciso di concedere gli affidamenti con la delibera 9.3.98 che quand’anche fosse stata prodotta (e mediante l’allegazione di un documento di data certa) avrebbe comprovato l’esistenza di un atto unilaterale e meramente interno alla banca, anziché di un contratto rivestente la forma prescritta dall’art. 117  d.lgs. n. 385/1993.

L’art. 1851 c.c subordina inoltre la ricorrenza del pegno irregolare alla mancata individuazione del denaro o dei titoli nell’atto concessivo della garanzia e al conferimento alla banca di una facoltà di disporne anche in assenza di inadempimenti del cliente, con la conseguenza che in difetto dell’una o dell’altra di quelle condizioni la proprietà  dei titoli non si trasferisce immediatamente all’istituto bancario e quest’ultimo non può opporre la compensazione ex art. 56 I. fall. al Fallimento che abbia agito in revocatoria nei suoi confronti (v. Cass. 9.5.2000 n. 5845).

La convenuta è tenuta, qualora non sia in grado di restituire i titoli obbligazionari, a restituirne l’equivalente monetario, che è automaticamente rivalutabile (per essere fonte di un debito di valore e non di valuta il vittorioso esperimento della revocatoria fallimentare al quale si riconnetta l’obbligo di rendere un bene, anziché una somma di denaro  - v. Cass 8.4.1998 n. .3651), ma che non viene nella specie attualizzato mancando la prova che quei titoli valgono oggi più di £ 35.000.000 = Euro 18.075,99.

Gli interessi decorrono al tasso legale dalla data della presente sentenza – rientrante fra quelle costitutive (v. Cass. S.U. 15.6.2000 n. 437) .- competendo essi dalla domanda giudiziale se l’obbligazione fosse stata pecuniaria.

Le spese di lite vengono per una metà accollata alla convenuta e per l’altra metà compensate  in dipendenza dall’accoglimento solo parziale della domanda attorea.

P.Q.M.

Il Tribunale , definitivamente giudicando,

respinge le domanda di revoca delle rimesse sul conto corrente della Emporio Ferrari di Ferrari Graziano &. C. s.n.c. e su quello del socio Ferrari Raffaele

revoca a norma dell’art. 67 com. 1° n. 4) I. fall. l’atto con cui in data 8.4.1998 Ferrari Raffaele ha costituito in pegno i titoli obbligazionari emessi dalla Banca di Credito Cooperativo di Casalmoro e Bozzolo s.c.a.r.l. per un importo complessivo di £ 35.000.000 ed inseriti nel dossier n. 690069

condanna la Banca di Credito Cooperativo di Casalmoro e Bozzolo s.c.a.r.l., con sede in Asola (MN), in persona legale rappresentante, a restituire al Fallimento  di Ferrari Raffaele gli anzidetti titoli obbligazionari o in difetto di restituzione entro mesi uno dalla comunicazione della sentenza odierna a corrisponderne l’equivalente monetario nella misura di Euro 18.075,99 maggiorata degli interessi legali dalla data della sentenza medesima

condanna inoltre la Banca di Credito Cooperativo di Casalmoro e Bozzolo s.c.a.r.l., con sede in Asola, in persona del legale rappresentante, a rifondere al Fallimento di Ferrari Raffaele metà delle spese del giudizio liquidate per l’intero i Euro 6.036,09 (oltre IVA e CPA) di cui  103,85 per esborsi 332,24 per anticipazioni, 1.500,00 per diritti , 3.500,00 per onorari, 600,00 per rimborsi forfetari.