Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22275 - pubb. 06/09/2019

L'amicizia di vecchia data del curatore con il giudice non è d'ostacolo alla nomina ex art. 28, co. 5, l.f.

Tribunale Milano, 29 Dicembre 2018. Pres., est. Paluchowski.


Fallimento - Curatore - Incompatibilità - Questione di legittimità costituzionale dell’art. 35 comma 4 bis e dell’art. 35.1 D.Lgs. 54/2018



In tema di incompatibilità alla funzione di curatore di cui al quinto comma dell'art. 28 l.f., non vi può né deve essere adozione di un meccanismo di decadenza automatica e che tutte le ipotesi di relazione dichiarata o conosciuta debbono essere oggetto di istruttoria da svolgersi in sede collegiale ex art. 37 l.fall., con specifiche domande da formulare ad opera del presidente o dichiarazioni peculiari da rendere ad opera del convocato, la cui valenza va esaminata.

In particolare, la sussistenza di amicizia di vecchia data, tipica ad esempio degli ex compagni di scuola, di per sé non indica la sussistenza di un rapporto particolarmente confidenziale ed intenso attuale, ammesso che lo fosse anche prima, tale da poter influenzare il giudice nominante, o creare una sorta di presunzione di influenza del medesimo nella sensibilità dell’utenza.

[Il Tribunale di Milano ha pertanto "promosso un ripensamento" dell’orientamento della sezione fallimentare già espresso con la circolare 18 giugno 2018, ritenendo possibile l'interpretazione costituzionalmente orientata di cui alla massima che precede, in armonia con i principi di buon senso e ragionevolezza, la cui scelta si impone di fronte alla dizione letterale della disposizione che è frutto della reazione forse molto intensa adottata dal legislatore, per la gravità dell’evento scatenante la modifica legislativa, occorso in sede di normativa antimafia e poi, sull’onda del comprensibile sdegno prodottosi, esteso alle nomine concorsuali.

Il Tribunale ha altresì osservato che, sotto il profilo della violazione dei principi di uguaglianza, va tenuto conto del diverso trattamento “in relazione alla considerazione delle incompatibilità imposte per la persistenza nell’ufficio fra magistrati e professionisti loro parenti, che, ove appartengano a settori diversi (penale e civile) in grandi Tribunali, sono di regola comunemente accettati dalle istituzioni e dal CSM”.] (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


Il Tribunale (*).

Acquisito il parere della Procura della Repubblica di Milano, sulla surroga-sostituzione dell’Avv. (*) ex art. 35, comma quattro bis e 35.1 del decreto legislativo numero 159 del 2011, introdotti dall’articolo uno del decreto legislativo numero 54 del 2018, resi applicabili all’ufficio del curatore fallimentare ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 28 del regio decreto numero 267 del 1942 introdotto dall’articolo quattro del medesimo decreto legislativo numero 54 del 2018, parere depositato il 21.12.2018 e discusso da questo collegio il 29.12.2018; Preso atto che la procedura è stata promossa a seguito di dichiarazione della stessa (*) di “conoscere, per amicizia di lunga data, il giudice penale di questo tribunale, attualmente in forza presso la quarta sezione penale, Dott. (*); Rilevato che la procedura per incompatibilità si è inizialmente conclusa, alla luce del tenore della circolare del Plenum del Tribunale assunta, nell’ambito delle riunioni di organizzazione e coordinamento ai sensi dell’art. 47 quater dell’ordinamento giudiziario, in data 5 e 12 giugno 2018 con la rimozione e sostituzione della curatrice, ad opera del Collegio sul semplice rilievo che la dichiarazione resa dalla curatrice in calce al modulo predisposto allo scopo di raccogliere le dichiarazioni dei curatori in sede di accettazione della carica, integrava la ragione di incompatibilità prevista dalla legge.

Considerato che il provvedimento, che ha determinato la nomina in sostituzione del dott. (*) con reclamo ex art. 26 l.fall. veniva impugnato dall’avv. (*) curatore sostituito, dinanzi alla Corte di Appello ed in quella sede la reclamante eccepiva la violazione dell’art. 37 l.fall., la violazione o falsa applicazione dell’art. 35 comma 4 del D.Lgs. 159 del 2011 e proponeva e sollevava questione di costituzionalità con riferimento agli artt. 35 comma 4 bis e 35.1 del D.Lgs. 159 del 2011 in riferimento all’art. 3 della Costituzione sotto il duplice profilo della ragionevolezza e della ingiustificata uniformità di trattamento tra situazioni tra loro difformi.

La Corte non entrava nel merito della eccezione, rilevando che la sostituzione previa decadenza per incompatibilità verificatasi doveva essere equiparata alla revoca ex art. 37 l.fall., quindi avrebbe dovuto essere pronunciata dal Collegio previa costituzione del contraddittorio ed audizione difensiva della curatrice a chiarimento della dichiarazione resa spontaneamente ed integrativamente in sede di accettazione della carica, inoltre avrebbe dovuto essere motivato non solo formalmente ma specificamente.

Il giudice delegato, avuta comunicazione del provvedimento della Corte d’Appello, unitamente alla richiesta dell’avv.(*) di essere reintegrata nella carica, provvedeva subito a emettere la convocazione ex art. 37 l.fall., prendendo atto che in questo caso la declaratoria di decadenza ex art. 35 comma 4 del D.Lgs. 159 del 2011 doveva essere preceduta da creazione di contraddittorio ed esplicitazione del diritto di difesa, come nella revoca ex art. 37 l.fall., sottraendosi ad un meccanismo di automaticità, come la norma sembrava stabilire.

In esito alla comparizione avanti al collegio l’avv.(*) reiterava la sua difesa, affermando che non vi era stata corretta applicazione dell’art. 35 comma 4, chiariva di avere interrotto qualunque rapporto con la dott.ssa (*) e sollevava nuovamente eccezione di costituzionalità in riferimento alla legge richiamandosi al parere pro veritate reso dal Prof. V. O. il 1.08.2018 e chiedeva di disapplicare la circolare 18 6 2018 della Sezione, con riferimento alla interpretazione della norma che la circolare della seconda sezione civile aveva assunto.

Il Collegio si riservava e, come già preannunciato, acquisiva il parere della Procura della Repubblica che lo emetteva in persona del Procuratore aggiunto del Dipartimento Crisi d’Impresa dott. R. T.

Questi in particolare affermava che: “la pretesa causa di incompatibilità è dettata da una serie, caotica, di norme, che ha esteso ai requisiti per la nomina di curatore fallimentare le disposizioni dettate dal cosiddetto “codice antimafia”. Sussiste incompatibilità se il curatore ha un rapporto di assidua frequentazione con un magistrato dello stesso ufficio giudicante a cui appartiene il magistrato che conferisce l’incarico. Due quindi sono i requisiti per impedire l’accettazione dell’incarico: l’assidua frequentazione e l’identità di ufficio giudicante. Occorre pertanto verificare se ricorrono nel caso di specie e cioè riguardino il rapporto di amicizia tra la Dott.ssa (*) e il giudice della sezione quarta penale Dott.ssa (*).

Quanto alla assidua frequentazione, la legge specifica che ricorre (oltre a quando vi sono di mezzo i sentimenti, oppure le due persone sono commensali abituali) quando vi è un rapporto di amicizia stabilmente protrattosi nel tempo; rapporto connotato da reciproca confidenza. Ora, per sfuggire all’incostituzionalità per contrasto con l’art. 51, là ove si riconosce a tutti i cittadini il diritto di ricoprire pubblici uffici occorre interpretare in senso restrittivo, (in altri termini con buon senso) una disposizione che è chiaramente diretta a prevenire conflitti di interesse; quindi una disposizione “di pericolo”. Ebbene, ad avviso dello scrivente, solo qualora il rapporto di amicizia sia così stretto e più che altro così pubblicizzato da lambire quello parentale, potrebbe sorgere quel sospetto di una commistione di interessi che la legge vuole scongiurare. Qui si sa solo che le due persone sono amiche da tempo, il che non ci dà indicazioni sul grado di confidenza reciproca. Far derivare dal mero dato cronologico la solidità del legame, sarebbe appunto un modo di interpretare la norma estensivamente e quindi in contrasto con la disposizione costituzionale citata.

Quindi, sotto questo profilo, la causa di incompatibilità nel caso di specie non sussiste; a prescindere dalla forzata rescissione del legame di amicizia annunciato dalla dottoressa (*)”. “Quanto all’identità di ufficio giudicante, si ricordi che l’avv. (*) è stata nominata da codesta II sezione civile del Tribunale di Milano, sezione fallimentare, mentre laDott.ssa è giudice della sezione quarta penale. Una lettura formalista della norma potrebbe condurre a considerare le due sezioni un medesimo ufficio giudiziario, ma è un’inter- pretazione che non può essere accettata.

Il bene giuridico protetto da questa parte della disposizione, infatti, è l’immagine opaca che può derivare all’e- sterno, quando tra giudice e curatori vi sono rapporti personali. E ora ci si domanda che compromissione di immagine potrà mai esserci in un tribunale composto da oltre 300 giudici sparsi in 35 sezioni, tra le quali non solo vi è una rigida divisione tra settore civile e penale, ma ove nello stesso settore civile vi è un’accentuata specializzazione delle sezioni. In altri termini, immaginare che possa suscitare turbamento dell’utenza la nomina di un curatore da parte della sezione fallimentare di un tribunale come quello di Milano perché era amica di un giudice della sezione penale è francamente inverosimile.

Si noti poi che le norme dell’ordinamento giudiziario stabiliscono delle specifiche cause di incompatibilità di ufficio/sede tra magistrati e tra magistrati e avvocati molto meno estese di quelle in esame, qualora si volesse dare all’identità di un ufficio giudiziario l’interpretazione estensiva ipotizzata. È ormai pacificamente accettata la presenza di magistrati e avvocati parenti, affini, conviventi e commensali abituali in uffici giudiziari di grande dimensione articolati su più sezioni, con riparti ampi di competenze (identica situazione se tra magistrati) sempre che essi militino in diversi settori e questo appunto perché in tale situazione questa opacità che la legge vuole prevenire, non può infatti ricorrere. Interpretare la disposizione in esame in senso estensivo, si porrebbe inoltre in contrasto con un’altra disposizione costituzionale, l’articolo tre, sia sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento, sia sotto il profilo della inaccettabile limitazione dei diritti per determinate categorie di persone. Per questi motivi si esprime parere contrario alla revoca della dottoressa (*)”.

Va premesso in diritto che la giurisprudenza costante della Corte Costituzionale, a partire dalla pronuncia 456 del 1989, stabilisce che il dubbio di compatibilità con i principi costituzionali quando cada su di una norma e in particolare sulla interpretazione del testo di legge relativo deve essere ammissibile ed a tal fine è indispensabile, che sia dimostrato o dimostrabile l’impossibilità di una lettura adeguata ai detti principi, o che si prospetti la costante lettura della disposizione in senso contrario alla Costituzione (c.d. norma vivente). Altrimenti, com’è noto, tutto il meccanismo di rimessione si ridurrebbe ad una richiesta di parere alla Corte Costituzionale, incompatibile colla funzione istituzionale di tale organo come è stata delineata negli anni sin dalla pronuncia 123 del 1970 (cfr. fra le altre C. Cost. 255/2017; C. Cost 250/2018); Chiarito tale aspetto, il Collegio, preso atto dell’orien- tamento della Procura della Repubblica, constata che esso appare più elastico e certamente meno formalmente orientato, rispetto alla circolare di questa sezione che sul punto delle interpretazione della disposizione recita: “il primo quesito cui la sezione ha inteso rispondere è l’individuazione del senso da attribuire all’espressione “magistrati addetti all’ufficio giudiziario al quale appartiene il magistrato conferente”, al fine di illuminare il perimetro delle nuove incapacità rendendolo comprensibile per gli operatori. Con orientamento unanime si ritiene che tale espressione significhi tutto il Tribunale di Milano e non la sola Sezione fallimentare, dunque l’ufficio giudiziario è l’intero Tribunale di Milano, ad eccezione del Tribunale di sorveglianza, della Procura della Repubblica, del Tribunale per i Minorenni e della Procura presso il TM che sono differenti uffici giudiziari”. Rileva che l’orientamento improntato all’automatismo implicito, assunto dalla sezione, è sicuramente stato influenzato dalla considerazione che una ragione di incompatibilità preesistente rispetto alla nomina, dovrebbe essere individuata di regola prima o al più tardi al momento dell’accettazione della nomina stessa e che dovrebbe operare con un meccanismo automatico, per evitare che rispetto ad ogni nomina debba essere compiuta un’attività istruttoria che ritarderebbe necessariamente la partenza delle attività urgenti della procedura concorsuale.

Sino ad ora le ragioni di incompatibilità sopravvenute operavano regolarmente e determinavano una decadenza dall’incarico, si pensi alla condanna penale, al fallimento, alla interdizione dei pubblici uffici della persona, mentre invece quelle preesistenti, ove note, determinavano l’impossibilità di accettare l’incarico. La particolare disposizione in esame è certamente una limitazione eccezionale alla possibilità di accettare incarichi da parte di coloro che per il resto hanno tutti i requisiti formali e sostanziali richiesti. Essa nasce indiscutibilmente dalla volontà, come osservato dal Procuratore aggiunto, di non fornire un’immagine opaca verso l’esterno in relazione alla sussistenza tra giudice e curatori di rapporti personali particolarmente intensi e confidenziali, che potrebbero indurre a ritenere che alla base della nomina non vi sia la competenza del professionista.

Ma è stata originata anche da un fenomeno preciso, ben noto alle cronache, di interessi privati in atti dell’ufficio che si sono manifestati tra il giudice nominante ed il professionista nominato, legati da vincoli sentimentali e che certamente, anche in concreto, hanno fornito una immagine distorta e messo in serio pericolo la fiducia dell’utenza (i cittadini) nelle istituzioni determinando il legislatore a reagire forse in modo eccessivo (caotico secondo il Procuratore aggiunto). Osserva, quindi, il decidente che, in considerazione del pericolo di tale evento, emerge la necessità che quando sussista un rapporto di conoscenza o amicizia di qualche tipo tra un giudice e un curatore, lo stesso debba necessariamente essere indagato, non potendo essere considerato a priori come foriero di incompatibilità, a meno che non si voglia finire per attribuire alla sola conoscenza di un giudice un disvalore che finirebbe per ledere anche la dignità della categoria. Si ritiene, infatti, effettivamente contrario innanzitutto a buon senso, oltre che alla ratio legis, ritenere che qualunque tipo di rapporto di relazione del curatore con un magistrato debba essere ritenuto impediente rispetto alla accettazione dell’incarico.

L’esame indicato è più semplice quando esista un rapporto diretto tra il nominante e il nominato, poiché il rapporto di conoscenza o amicizia si è instaurato con uno dei giudici della sezione che compie le nomine, appartenente all’ufficio giudiziario presso il quale il curatore presta la sua attività.

Assai più critica è la posizione invece quando il rapporto non intercorra direttamente tra il nominante e il nominato ma nei confronti di altro giudice, che operi nello stesso ufficio giudiziario, ma in altra sezione, magari addirittura non del settore civile, dove operano i curatori di regola. Proprio in questa ottica il Collegio ha ritenuto di dover considerare quanto rilevato in ordine alla potenzialità offensiva delle condotte, in riferimento alle caratteristiche peculiari di un grande ufficio come quello di Milano.

Non soltanto vi è un numero altissimo di giudici oltre 300 ed ancor più alto di avvocati alcune migliaia, ma vi è una rigida divisione tra il settore penale ed il settore civile che difficilmente può prestarsi a facili connivenze, se non nelle ipotesi limite in cui il magistrato penale, amico o confidente del curatore, sia a sua volta parente stretto o legato da rapporto di profonda familiarità con un magistrato della sezione nominante, tanto da poterlo a sua volta influenzare indirettamente.

Si deve in ogni caso rilevare che è comunque molto più difficile ipotizzare che l’amico di un magistrato che pur abbia una funzione di spicco o sia molto amico a sua volta del nominante, possa avvalersi di tale posizione per ottenere nomine di favore, in un grande ufficio come Milano, che a differenza di molti di modeste dimensioni, possiede da decenni nella sezione fallimentare regole rigide di assegnazione automatica degli incarichi, elaborate nei plena e poi recepite nelle disposizioni ex art. 47 quater ord.

giudiziario, riscontrate nelle ispezioni, le quali escludono chiaramente che il nominante possa mai trovarsi nella possibilità di scegliere in ogni caso a suo piacimento il nominato.

Tali considerazioni implicano che occorra necessariamente valutare in concreto, nella realtà operativa di un grande tribunale la potenzialità lesiva dell’interesse protetto, del bene giuridico che la norma vuole tutelare, che si è detto è da un lato la libertà da influenze della nomina del giudice e dall’altro l’immagine del potere giudiziario e la sua indipendenza nella fase di nomina del curatore e ciò ai fini di coltivare la fiducia dell’utenza nella giustizia.

Il Collegio quindi reputa che non vi possa né debba essere adozione di un meccanismo di decadenza automatica e che tutte le ipotesi di relazione dichiarata o conosciuta debbono essere oggetto di istruttoria da svolgersi in sede collegiale ex art. 37 l.fall., con specifiche domande da formulare ad opera del presidente o dichiarazioni peculiari da rendere ad opera del convocato, la cui valenza va esaminata. In particolare la sussistenza di amicizia di vecchia data, tipica ad esempio degli ex compagni di scuola, di per sé non indica la sussistenza di un rapporto particolarmente confidenziale ed intenso attuale, ammesso che lo fosse anche prima, tale da poter influenzare il giudice nominante, o creare una sorta di presunzione di influenza del medesimo nella sensibilità dell’utenza.

Una interpretazione differente, automatica, connessa solo alla dichiarazione, avulsa dalla lesività effettiva della fattispecie finirebbe per porsi in contrasto colla Carta Costituzionale, con riferimento alla limitazione del diritto ad accedere ai pubblici Uffici, (art. 51) che deve essere interpretato proprio come limite esterno ad un diritto fondamentale e quindi necessariamente in modo restrittivo per non inficiare totalmente la fruizione. Ciò, in primo luogo, sotto il profilo della irragionevolezza della imposizione di un trattamento così restrittivo solo ai curatori ed ai commissari giudiziali e liquidatori giudiziali, mentre il diritto di accedere ai pubblici uffici e l’asserita esigenza di tutela della limpidezza della nomina può riscontrarsi anche per altre categorie di amministratori di beni altrui nell’interesse pubblico, come i curatori delle eredità giacenti, i custodi delle aziende sequestrate civilmente, o i delegati alla vendita. In secondo luogo, sotto il profilo della violazione dei principi di uguaglianza, stante il diverso trattamento in relazione alla considerazione delle incompatibilità imposte per la persistenza nell’ufficio fra magistrati e professionisti loro parenti, che, ove appartengano a settori diversi (penale e civile) in grandi Tribunali, sono di regola comunemente accettati dalle istituzioni e dal CSM.

Si reputa perciò di promuovere un ripensamento dell’orientamento della sezione, rappresentato nella sua circolare dianzi citata, poiché tale interpretazione costituzionalmente orientata è possibile ed è in armonia con i principi di buon senso e ragionevolezza, la cui scelta si impone di fronte alla dizione letterale della disposizione che è frutto della reazione forse molto intensa adottata dal legislatore, per la gravità dell’evento scatenante la modifica legislativa, occorso in sede di normativa antimafia e poi, sull’onda del comprensibile sdegno prodottosi, esteso alle nomine concorsuali.

Pertanto si deve concludere, visto l’esito della convocazione dell’Avv.to (*), che nel caso in esame, alla luce dei principi che il collegio correttivamente intende adottare, l’incompatibilità non risulta sussistere, pur se vi era un rapporto di amicizia di vecchia data, nato sui banchi di scuola, che non ha mantenuto i caratteri della confidenzialità intensa né è giunto alla commensalità abituale, atti ad integrare la fattispecie di legge.

Tutto ciò premesso, visto il parere della Procura della Repubblica,

 

P.Q.M.

respinge la proposta di revoca della nomina a curatore dell’avv.to (*), non riscontrando nel caso concreto la sussistenza dei requisiti di legge di incompatibilità; (*).