Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 718 - pubb. 01/07/2007

Responsabilità del professionista in campo tributario

Tribunale Mantova, 19 Febbraio 2003. Est. Bernardi.


Responsabilità del professionista - Omessa impugnazione di avvisi di accertamento - Infondatezza dell'impugnazione - Impossibilità di prevedere l'avvento di una legislazione premiale - Omessa richiesta del beneficio della continuazione - Sussistenza della responsabilità.

Presenza di contrasti giurisprudenziali su specifica questione - Non configurabilità della responsabilità.



 


 


omissis

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data 14-4-1998 Rossi Maria  affermava di essere titolare dell’impresa individuale XY operante nel settore della commercializzazione di xxx e di avere affidato la consulenza fiscale e tributaria al dott. Paolo Verdi.

L’istante precisava che, nel corso del 1991, la Guardia di Finanza aveva effettuato una verifica fiscale conclusasi con la redazione di tre processi verbali datati 15-1-1991, 17-1-1991 e 7-3-1991 in ordine ai quali essa aveva incaricato il professionista, con mandato scritto, di assisterla.

L’attrice asseriva che il professionista aveva inoltrato in data 4-2-1991, alla Commissione Tributaria di Mantova, ricorso per annullamento del processo verbale di constatazione, dichiarato però inammissibile dall’organo adito non essendo tale atto autonomamente impugnabile e che, a seguito del ricevimento del rapporto, l’Ufficio IVA di Mantova aveva notificato, in data 4-7-1991, avviso di rettifica n. 814584 per l’anno 1989, in data 23-2-1992, avviso di rettifica n. 814899 per l’anno 1990 ed infine, il 13-9-1991, gli avvisi di irrogazione delle sanzioni n. 100268/91 per l’anno 1989 e 100269/91 per l’anno 1990 con i quali venivano recuperate imposte ed applicate sanzioni per rilevanti importi.

L’istante aggiungeva che il dott. Verdi non aveva proposto impugnazione avverso tali atti che erano così diventati definitivi e che il medesimo, a seguito dell’entrata in vigore della l. 30-12-1991 n. 413, aveva provveduto a presentare, in data 30-6-1992, dichiarazione per l’estinzione delle controversie pendenti in materia di  IVA ex art. 44 l.cit. relativamente agli anni 1989 e 1990 ed a effettuare il versamento di £ 10.855.000 sia pure con erronee modalità (della dichiarazione per la definizione automatica dei redditi delle persone fisiche ai sensi dell’art. 38 l.cit. relativamente agli anni 1985-1986-1987-1988-1989-1990 e di quella per la definizione automatica ai fini IVA  ex art. 49 l. cit. per gli anni 1985-1986-1987 e 1988 il professionista non avrebbe invece fornito alcuna prova della loro predisposizione): a seguito di ciò l’Ufficio IVA di Mantova, in data 12-6-1993, aveva però notificato un provvedimento di rigetto dell’istanza di definizione delle controversie pendenti essendo gli avvisi di accertamento divenuti definitivi con conseguente decadenza degli effetti riconducibili all’art. 44 l. 413/91 sia in termini di imposta accertata che di sanzioni conseguenti all’illegittimo comportamento tributario.

Avverso tale decisione veniva proposto ricorso alla Commissione Tributaria di primo grado che respingeva il ricorso con sentenza in data 7-7-1995 facendo proprie le motivazioni dell’ufficio finanziario mentre nessuna notizia si aveva circa l’esito dell’appello proposto avverso siffatta sentenza.

A seguito di tale negligente comportamento Rossi Maria asseriva di avere subito un danno ingente atteso che gli erano state notificate le cartelle esattoriali con avviso di mora rispettivamente n. 814584/91 per £ 8.060.278, n. 4.800.652 per £ 132.546.884 e n. 4.800.653 per £ 165.203.443 pari complessivamente a £ 331.310.605 laddove, se avesse potuto usufruire del condono, avrebbe dovuto sborsare la più ridotta somma di £ 82.412.000 con una differenza di £ 248.898.605.

L’attrice affermava inoltre che, sempre in conseguenza della mancata impugnazione degli avvisi di accertamento, essa era stata sottoposta a procedimento penale (che non avrebbe subito ove avesse acceduto al condono tombale) conclusosi con condanna alla pena di mesi tre di reclusione e £ 3.600.000 di multa convertita in una multa pari a £ 5.850.000 interamente oblata, patendo in tal modo un danno morale nonché alla propria immagine commerciale ed infine un ulteriore pregiudizio economico per le spese di difesa legale (£ 10.000.000).

L’istante chiedeva infine la restituzione dell’importo di £ 6.732.000 corrispondente agli onorari corrisposti al Verdi per l’attività espletata con gli esiti sopra descritti.

Il dott. Rossi si costituiva in giudizio senza negare la ricostruzione dei fatti così come narrata dall’attrice,  limitandosi a contestare la congruità delle somme pretese a titolo di risarcimento e chiedendo l’autorizzazione a chiamare in giudizio la propria compagnia assicuratrice per la responsabilità professionale.

Disposta la citazione del terzo a seguito di autorizzazione da parte del G.I., si costituiva in giudizio la compagnia Lloyd Adriatico s.p.a. la quale negava ogni responsabilità professionale del proprio assistito assumendo che l’attrice si era resa responsabile di violazioni alla legge tributaria, che non vi erano valide ragioni per poter ricorrere avverso gli avvisi di accertamento e che, al momento dell’entrata in vigore della legge 413/91, tali atti erano divenuti definitivi sicché non poteva imputarsi al professionista di non avere previsto l’emanazione di una legislazione premiale né vi era la prova che il professionista fosse stato incaricato di proporre ricorsi anche nella consapevolezza della loro infondatezza.

In via subordinata la compagnia contestava la congruità delle somme richieste a titolo di risarcimento ed affermava che, comunque, essa non poteva essere tenuta a manlevare integralmente il convenuto dalla domanda attorea posto che la polizza prevedeva un massimale, all’epoca dei fatti, di £ 168.000.000 per ciascun sinistro.

Disposta consulenza tecnica d’ufficio la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate.

Motivi

La domanda è parzialmente fondata e va accolta nei limiti che seguono.

In primo luogo occorre evidenziare che gli avvisi di irrogazione di sanzioni n. 100268/91 e n. 100269/91, notificati entrambi il 13-9-1991, erano divenuti definitivi prima dell’emanzione del c.d. condono fiscale introdotto con la legge 30-12-1991 n. 413 e cioè il 15-11-1991 posto che il termine di impugnativa ex art. 16 d.p.r. 636/72 era di sessanta giorni dalla notifica.

Al riguardo va detto che può ritenersi provata la circostanza che il dott. Verdi fosse stato incaricato di assistere l’attrice nella vertenza con l’amministrazione finanziaria riguardante gli avvisi di irrogazione di sanzioni sopra menzionati come si desume dalla nota pro-forma (doc. 25 di parte attrice) e dall’atteggiamento difensivo assunto nel presente procedimento, pur non potendosi sottacere l’incongruenza della data figurante nell’atto di incarico (28-1-1990) atteso che in esso si fa riferimento agli atti di accertamento fiscale posti in essere nel corso del 1991: appare pertanto probabile che la scrittura risalga al 1992 ma tale circostanza non assume rilevanza poiché, comunque, con tale atto si confermava il mandato già affidato in precedenza.

Deve peraltro escludersi la configurabilità di una responsabilità del commercialista per la mancata impugnazione degli avvisi sopra menzionati prospettata in considerazione del fatto che la possibilità di avvalersi delle disposizioni contenute nella legge 431/91 avrebbe consentito alla Rossi una notevole riduzione del debito tributario.

Invero gli atti di indagine compiuti dalla Guardia di Finanza, il  patteggiamento della pena nel procedimento penale scaturito dagli stessi (implicante l’insussistenza di prove che l’imputata non avesse commesso i fatti contestati), i motivi addotti a sostegno del ricorso poi dichiarato inammissibile (diretti non ad affermare l’esistenza delle operazioni ritenute inesistenti dalla G.d.F. bensì l’inapplicabilità delle sanzioni amministrative a fatti cosituenti illecito penale) e l’inammissibilità della prova testimoniale nel giudizio tributario, costituiscono elementi univoci dai quali si desume che, nel momento in cui erano aperti i termini per ricorrere, non vi erano ragioni per proporre impugnazione con un minimo di fondatezza: di qui la irrilevanza delle prove testimoniali richieste da parte attrice, già affermata nel corso dell’istruttoria.

In proposito occorre osservare che non può ravvisarsi alcuna responsabilità nel comportamento del professionista il quale non coltivi una procedura che si presenti come infondata (cfr. Cass. 14-9-2000 n. 12158) né risulta agli atti che la cliente avesse dato mandato al commercialista di ricorrere in ogni caso.

Inoltre l'affermazione  della   responsabilità  professionale  per  condotta omissiva e la determinazione del danno in concreto subito dal cliente presuppongono l'accertamento del sicuro fondamento dell'attività che il  professionista avrebbe  dovuto  compiere  e, dunque,  la certezza morale  che  gli effetti  di  quella sua diversa attività ove svolta sarebbero stati, con  ragionevole  probabilità,  vantaggiosi per il cliente (cfr. Cass. 5-6-1996 n. 5264): nel caso di specie non può imputarsi al professionista di non avere previsto con anticipo l’avvento di una legislazione premiale in quello specifico settore tributario.

A diversa conclusione si deve invece pervenire con riguardo alla possibilità per il contribuente di usufruire del beneficio della continuazione dovendosi rilevare che la fattispecie doveva ritenersi regolata dall’art. 8 della legge 7-1-1929 per quanto concerne le violazioni in materia di IVA e dall’art. 6 del d.l. 1-10-1982 n. 697 convertito con legge 29-11-1982 n. 887 (contenente una disciplina speciale rispetto a quella di cui all’art. 8 della legge 7-1-1929 n. 4) quanto alle violazione in tema di bolle di accompagnamento, norme che entrambe prevedono una riduzione nella determinazione della sanzione ove ricorra la continuazione.

Per quanto riguarda la violazione in materia di IVA va osservato che l’ufficio finanziario ha applicato per l’anno 1989 la sanzione di £ 3.600.000 (laddove quella minima era pari a £ 3.548.832) e per l’anno 1990 quella, calcolata al minimo, di £ 600.000: sul punto va però osservato che l’orientamento giurisprudenziale prevalente esclude la possibilità di applicare l’istituto della continuazione  ove le violazioni si riferiscano a diversi periodi di imposta (in tal senso vedasi Cass. 15-10-1997 n. 10102; Cass. 14-4-1997 n. 3194; C.T.C. 3-2-1992 n. 795; Cass. 22-6-1991 n. 7045; Cass. 25-6-1991 n. 7136) pur non potendosi sottacere l’esistenza di un orientamento difforme (cfr. Cass. 15-1-1991 n. 307) ma va rammentato che, in caso di contrasti giurisprudenziali, non si ritiene configurabile una responsabilità del professionista (cfr. Cass. 18-11-1996 n. 10068; Cass. 4-12-1990 n. 11612) sicché con riguardo alle sanzioni in materia di IVA nessun addebito può muoversi al dott. Verdi.

Quanto invece alle violazioni concernenti le bolle di accompagnamento va osservato che il comma secondo dell’art. 6 d.l. 697/82 prevede che, nel caso di più violazioni di ciascuna delle disposizioni richiamate nelle lettere di cui al precedente comma, commesse anche in tempi diversi in esecuzione della medesima risoluzione, la sanzione può essere applicata, tenuto conto delle circostanze dei fatti e della personalità dell’autore delle violazioni, in misura corrispondente ad un terzo del massimo stabilito dalla legge per una sola violazione aumentata del quindici per cento per ogni violazione successiva alla prima.

Orbene deve ritenersi, in difformità di quanto risultante dalla relazione tecnica (che si richiama ad indirizzi degli uffici finanziari ed opinioni dottrinali non certo vincolanti per il giudicante), che la continuazione sarebbe stata con certezza riconosciuta in considerazione dell’unitaria finalità perseguita, dell’arco temporale di commissione dei fatti, della lieve entità del danno erariale riconosciuto dallo stesso ufficio finanziario (ammontante complessivamente per i due anni a £ 10.854.576 di IVA indebitamente detratta) nonché della mancanza di precedenti in capo alla Rossi, evidenziandosi altresì che la continuazione venne poi riconosciuta in sede penale.

Alla stregua di quanto sopra esposto va detto che, applicando la continuazione, alla contribuente sarebbe stata inflitta la pena pecuniaria di £ 20.833.160 (un terzo della pena massima pari a £ 10.000.000 aumentata del 15% per ogni violazione successiva) in luogo di quella di £ 158.760.000 invece irrogata con una differenza di £ 137.926.840, danno di cui pertanto il professionista deve rispondere, essendosi reso responsabile di una grave violazione dei propri doveri, stante l’alta probabilità che la situazione lamentata avrebbe subito, per la cliente, una diversa e più favorevole evoluzione con l’uso dell’ordinaria diligenza, non implicando la prospettazione dell’applicabilità dell’istituto in questione la risoluzione di problemi di speciale difficoltà e dovendo l’entità delle sanzioni irrogate indurre il commercialista ad esperire ogni rimedio ragionevolmente percorribile per ridurne l’impatto (cfr. Cass. 26-2-2002 n. 2836; Cass. 13-12-2001 n. 15759; Cass. 5-6-1996 n. 5264).

A tale importo deve aggiungersi quello di £ 6.732.00 pagato dalla Rossi per le inadeguate prestazioni professionali effettuate dal commercialista mentre nessun rimborso può essere riconosciuto a titolo di danno per la condanna penale e per le spese affrontate per la difesa non essendovi connessione causale con l’inadempimento contrattuale del dott. Verdi.

In totale il convenuto va quindi condannato a pagare all’attrice l’importo di £ 144.658.840 pari ad euro 74.710,06 oltre ad interessi legali dalla domanda sino al saldo definitivo in conformità della richiesta.

Risolta nel senso sopra indicato la questione concernente la responsabilità, in ordine al rapporto di garanzia va osservato che la compagnia assicuratrice si è limitata ad invocare le condizioni di polizza riguardanti i limiti entro cui la stessa è chiamata a tenere indenne il professionista dalla richiesta risarcitoria. Premesso che il massimale era di £ 168.000.000 ridotto però ad un terzo nell’ipotesi di sanzioni fiscali e con una franchigia del 10%, ne deriva che la compagnia deve ritenersi tenuta a manlevare il dott. Verdi nei limiti di £ 50.400.000 pari ad euro 26.029,43.

La reciproca parziale soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite, liquidate come da dispositivo, nella misura della metà nei rapporti fra l’attrice ed il convenuto sussistendo per contro giusti motivi, anche in considerazione del comportamento processuale reciprocamente tenuto, per disporne l’integrale compensazione nei rapporti fra il convenuto ed il terzo chiamato.

P.Q.M.

il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede:

condanna il convenuto a pagare all’attrice la somma di euro 74.710,06 oltre agli interessi legali dalla data della domanda sino al saldo definitivo;

condanna la compagnia Lloyd Adriatico s.p.a. a tenere manlevato il dott. Verdi Paolo delle somme che lo stesso, in conseguenza del presente giudizio, dovrà versare all’attrice, entro il limite di euro 26.029,43;

condanna il convenuto a rifondere all'attrice le spese di lite compensandole per la metà e, per l’effetto, liquidandole in complessivi euro 6.065,81 di cui € 1565,36 per spese, € 1.750,45 per diritti ed € 2.750,00 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge;

compensa integralmente le spese di lite fra il convenuto e la compagnia assicuratrice.