Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 642 - pubb. 01/07/2007

Sentenze definitive e giudizio divisorio

Tribunale Mantova, 12 Febbraio 2004. Est. Dell'Aringa.


Giudizi di divisione - Sentenze definitive e non definitive - Fattispecie.



Le qualificazioni giuridiche sul “nomen juris” sono inidonee a divenire oggetto di un giudicato autonomo, interno od esterno, sicché il giudice che con la sua decisione statuisce sull’intera materia del contendere e dichiara la propria sentenza non definitiva emette una declaratoria del tutto improduttiva di effetti processuali e sostanziali, per l’insanabile suo contrasto con la realtà giuridica.
La tesi secondo cui la sentenza di rigetto delle opposizioni al progetto divisionale ex art. 789 com. 1° c.p.c. non è definitiva non è condivisibile in quanto nei giudizi di divisione hanno natura di sentenze definitive solo quelle che sciolgono la comunione, avendo quelle rese su questioni incidentali carattere strumentale e quindi non definitivo.
E' definitiva la sentenza che decide interamente la causa tra due litiganti lasciando pendente quella tra uno di costoro ed un terzo litigante.


 


omissis 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione 8.4.1995 Bianchi Lucia, esponendo:

§                           che il 16.11.1985 era rimasta vedova del marito Rossi Luciano, deceduto senza lasciare testamento lasciando eredi oltre a lei i figli Stefania e Leonardo;

§                           che aveva accettato l’eredità con beneficio d’inventario anche a nome dei figli, i quali avevano peraltro rinunziato ad essa il 14.4.92 e il 21.10.92 rendendola unica erede;

§                           che era succeduta al coniuge nella titolarità di una quota della società Ghimali del F.lli Rossi e di una quota indivisa dei cespiti siti in Magnacavallo Via Marchionale e censiti in catasto al Fg. 23, mapp. lì 75/1, 75/2, 75/3, 75/4;

§                           che intendeva far valere i suoi diritti di comproprietaria degli immobili, appartenenti per l’altra metà a Rossi Luigi ed interamente occupati da lui e da Rossi Mario dalla data di apertura della successione

evocava dinanzi al Tribunale di Brescia Rossi Luigi e Rossi Mario per sentirli condannare a rilasciare in suo favore la di lei quota dell’immobile sopra descritto previa eventuale individuazione della stessa e divisione del bene nonché a risarcirle i danni per la detenzione abusiva in misura pari al canone d’affitto teorico corrispondente a quello corrente di mercato a far tempo dal 16.11.1985 –

I convenuti si costituivano e resistevano in rito e nel merito alle rivendicazioni dell’attrice replicando:

ü       che territorialmente competente a statuire sulle avverse domande era il Tribunale di Mantova, nella cui circoscrizione erano ubicati gli immobili;

ü       che Bianchi Lucia non aveva dimostrato la propria accettazione dell’eredità precedentemente accettata con beneficio d’inventario e neppure l’accettazione beneficiata del relictum da parte dei figli, senza la quale costoro, se possessori dei beni ereditari, non avevano validamente rinunciato nel 1992 a succedere al genitore;

ü       che ne discendeva anche l’obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti di Rossi Stefania e Leonardo;

ü       che alle spese per l’acquisto del terreno e per la costruzione dell’immobile su di esso aveva concorso anche Rossi Mario, ancorché a comprare l’area fossero formalmente stati i soli Rossi Luciano e Luigi;

ü       che la Bianchi non aveva mai preteso la restituzione dell’immobile e non aveva perciò diritto ad indennità di occupazione;

ü       che non si opponevano alla divisione rimarcandone però l’inopportunità per essere i due appartamenti in comproprietà gravati dai debiti dei due condividenti verso Rossi Mario.

chiedevano entrambi in via preliminare la declaratoria dell’incompetenza territoriale del giudice adito e la citazione in giudizio dei figli di Bianchi Lucia nonché il solo Rossi Luigi, subordinatamente alla corretta proposizione della domanda di scioglimento della comunione, la vendita all’incanto del bene in comproprietà, stante la sua indivisibilità, previo pagamento del debito verso Rossi Mario, e quest’ultimo la condanna di Rossi Luigi e degli eredi di Rossi Luciano a corrispondergli un terzo del valore dei due appartamenti destinandogli un terzo del prezzo ricavato subastandoli ovvero subordinando la loro assegnazione in proprietà ai condividenti al pagamento in suo favore di una somma pari a 1/3 del valore del bene o a 1/3 dei costi di questo, oltre interessi e rivalutazione.

Il Tribunale bresciano con ordinanza 27.4.1998 disponeva la cancellazione della causa dal ruolo a mente dell’art. 38 comma 2° c.p.c. per avere l’attrice aderito all’indicazione del giudice territorialmente competente nel Tribunale di Mantova avanti al quale la controversia veniva poi tempestivamente riassunta dalla Bianchi con atto notificato il 12.5.1998 a Rossi Luigi e Rossi Mario, che si costituivano insistendo anch’essi nelle precedenti loro richieste.

Il G.I., ravvisava la qualità di litisconsorte necessaria di Verdi Angiolina, moglie di Rossi Luigi in regime di comunione legale dei beni, ordinava il 26.3.1999 l’estensione del contraddittorio a quest’ultima, che citata il 27.4.1999 dall’attrice, si costituiva spiegando le epigrafate sue istanze.

Espletata l’istruttoria peritale e precisate le conclusioni è stata emessa la sentenza 13.3.03 e dopo ulteriori attività istruttorie la causa è stata nuovamente assegnata a sentenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il giudizio odierno andava assoggettato anche nella sua fase collegiale al testo abrogato, anziché al testo attuale, degli artt. 190, 275 c.p.c. (essendo iniziato presso il Tribunale di Brescia anteriormente al 30.4.1995) tuttavia l’adozione del nuovo rito, in luogo di quello previgente, non ha invalidato l’attività processuale successiva all’ultima remissione della causa al Collegio non avendo pregiudicato il corretto svolgersi del contraddittorio ed il pieno esercizio dei diritti di difesa.

La sentenza 13.3.2003 subordina l’estrazione a sorte dei lotti alla mancanza di una successiva scelta concordata delle relative assegnazioni agli aventi diritto e non reca nel dispositivo alcuna statuizione al riguardo onde ha lasciato irrisolta la controversia sul punto, per dirimere la quale occorre stabilire se sia ammissibile nella specie la deroga al dettato dell’art. 729 c.c. – consentita purché congruamente motivata (v. Cass. 22.8.2003 n. 12333) – e se il sorteggio debba essere preceduto dal passaggio in giudicato della sentenza approvativa del progetto divisionale, individuando anche il momento della eventuale formazione del giudicato medesimo.

Ora l’art. 729 cit. certamente non introduce un principio rigido e tassativo, ma la sua inosservanza deve però trovare giustificazione in esigenze di carattere oggettivo, che generalmente ricorrono quando il sorteggio possa rendere antieconomico il frazionamento dell’immobile – eventualmente per l’esistenza di un collegamento materiale o funzionale tra una delle porzioni assegnande e altro immobile di proprietà esclusiva di uno dei condividenti (v. Cass. 27.6.1996 n. 5987) – e non possono quindi consistere nell’interesse ad abbreviare il corso del procedimento divisionale o in preferenze meramente soggettive, come sono quelle espresse dalla Bianchi per la parte di fabbricato occupata da Rossi Mario, tenuto conto che sarebbe semmai Rossi Luigi a poter far valere, come ragione obiettiva, l’opportunità di evitargli le spese di trasloco dall’una all’altra ala dell’edificio, dovendo l’attrice comunque traslocare, se intende trasferirsi in quest’ultimo.

Né può seriamente dubitarsi dell’applicabilità dell’art. 791 com. 4° c.p.c. anche quando all’estrazione dei lotti procede il giudice istruttore (v. Cass. 28.10.2002 n. 15163 – Trib. Milano 4.3.2000), sia perché vi è una palese identità di ratio rispetto all’ipotesi delle operazioni divisionali delegate al notaio, sia perché solo le sentenze di condanna sono provvisoriamente eseguibili (v. Cass. 12.7.2000 n. 9236) e non includono quelle con cui viene approvato il progetto di divisione e dichiarata sciolta la comunione; pertanto l’obbligo di provvedere sulle ripetute istanze della Bianchi di assegnazione senza ulteriori indugi delle porzioni nelle quali il cespite è stato diviso con la sentenza 13.3.03 impone di verificare le possibilità di evitare lo “stallo processuale” che la riserva di appello della sentenza potrebbe aver creato se realmente ne precludesse la impugnazione immediata e quindi il passaggio in giudicato prima che il giudizio divisionale si sia portato a compimento con la estrazione a sorte, impedita a sua volta dal mancato passaggio in giudicato.

In proposito la sentenza 13.3.03, laddove qualifica come “non definitiva” la pronuncia in essa racchiusa “per l’eventualità di contestazioni in ordine al sorteggio”, non vieta un riesame della questione in questo stesso grado del processo, poiché le qualificazioni giuridiche sul  “nomen juris” sono inidonee a divenire oggetto di un giudicato autonomo, interno od esterno, potendo ricadere nella sfera della “res iudicata” solo come necessario antecedente logico – giuridico dell’accertamento del diritto ad un bene della vita contenuto in una sentenza definitiva o parziale (v. Cass. S.U. 22.11.1994 n. 9872 – Cass. 3.1.1998 n. 18), sicché il giudice che con la sua decisione statuisce sull’intera materia del contendente e dichiara la propria sentenza non definitiva emette una declaratoria del tutto improduttiva di effetti processuali e sostanziali, per l’insanabile suo contrasto con la realtà giuridica.

Ebbene la tesi secondo cui la sentenza di rigetto delle opposizioni al progetto divisionale ex art. 789 com. 1° c.p.c. non è definitiva (v. Cass. 13.8.1991 n. 8803) non è condivisibile in quanto nei giudizi di divisione hanno natura di sentenze definitive solo quelle che sciolgono la comunione, avendo quelle rese su questioni incidentali carattere strumentale e quindi non definitivo (v. Cass. 16.11.1996 n. 10066), ma la sentenza 13.3.03 è per l’appunto dichiarativa dello scioglimento della comunione tra Bianchi Lucia e Rossi Luigi e se non impugnata vittoriosamente porrà fine alla situazione di comproprietà una volta passata in giudicato pur se in quel momento i lotti non fossero ancora stati sorteggiati e non fossero perciò già individuabili i rispettivi assegnatari (v. Cass. 25.5.2001 n. 7129), le cui contestazioni sulla necessità o sulle modalità del sorteggio possono solo in via eventuale dar luogo a giudizi di cognizione, innestati nella fase di esecuzione della sentenza divisionale.

Siffatte considerazioni non necessitano inoltre di essere ulteriormente illustrate a fronte della posizione assunta dalla difesa di parte convenuta, che dopo aver asserito che la sentenza 13.3.03 è definitiva (v. verb. ud. 28.6.2003) ha tenuto a precisare di ritenerla parziale sol perché è rimasta pendente la domanda di Rossi Mario di pagamento di un terzo del valore del fabbricato, facendo emergere il vero nocciolo del problema, incentrato sulle difficoltà interpretative delle norme dalle quali la giurisprudenza ha ricavato i criteri destintivi delle sentenze parziali dalle sentenze definitive pronunciate su alcune solo delle cause riunite, elaborando indirizzi divergenti, con i conseguenti riflessi anche sulla individuazione delle sentenze che possono essere gravate dalla riserva di appello o di ricorso per cassazione e sono indicate dagli art. 340 e 361 c.p.c. in quelle “previste dall’art. 278 e dal numero 4 del secondo comma dell’art. 279”.

Secondo l’orientamento c.d. sostanziale – per il quale la pronuncia che investe l’intero rapporto processuale relativo alla singola domanda, attribuendo o negando il bene della vita in contestazione, è definitiva anche se il giudice ne ha esplicitamente affermato la non definitività o non ha deliberato sulle spese – le sentenze contro cui è ammessa la riserva di impugnazione differita non sarebbero infatti comprensive delle sentenze parziali menzionate nell’art. 277 com. 2° c.p.c. (v. Cass. 6.2.1985 n. 883) poiché mentre quest’ultimo articolo fa riferimento alle decisioni su talune “domande” l’art. 279 com. 2°n. 4 concerne le sentenze su “questioni” – corrispondenti a quelle elencate ai precedenti n.n. 1, 2, 3, - anziché su “domande” [v. anche Cass. 15.7.1993 – Cass. 15.4.2002 n. 5443] e poiché se si dovesse riconoscere la possibilità di una “sentenza” su ogni questione di merito verrebbero resuscitate le sentenze interlocutorie del codice del 1865, che il legislatore del ’42 ha invece voluto abolire inibendo il frazionamento del procedimento decisorio fuori delle ipotesi transattivamente enumerate dall’art. 279 com. 2° n. 4, il cui richiamo al n. 3 dello stesso comma non può quindi reputarsi esteso alle questioni di merito di qualsiasi spese e natura, ma solo a quelle preliminari di merito (v. Cass. 3.1.1998 n. 18 in motivazione).

L’orientamento di segno opposto, quello c.d. formale, riconnette la definitività o non della sentenza all’avere il giudice disposto o meno la separazione dei procedimenti ed è stato inaugurato dalle Sezioni Unite con la sentenza 1.3.1990 n. 1577 sostenendo che non ha alternative l’identificazione delle “domande” ex art. 277 comma 2° nelle “questioni” di cui ai n.n. 4 e 3 dell’art. 279 com. 2° atteso che la portata normativa del congiunto dettato dei detti n.n. 4 e 3 verrebbe altrimenti del tutto svuotata di contenuto e che il divieto di frazionamento del thema decidendum ha una valenza tendenziale e non assoluta, avendo il legislatore legittimato all’art. 277 com. 2° anche le sentenze su parte delle domande di merito, distinguendole da quelle sulle questioni preliminari di merito.

Tra le due tesi estreme se ne colloca una intermedia che riconduce nell’alveo degli artt. 279 com. 2° n.n.4 e 3 e 340 c.p.c. unicamente le cause inscindibili e sottratte al potere di separarle demandando al giudice dagli artt.279 com. 2° n.5, 103 com. 2°, 104 com. 2° c.p.c. (v. Cass. 12.6.1992 n.7225) o quelle in cui la decisione su alcune anziché su tutte le domande soddisfa l’interesse apprezzabile della parte richiesto dall’art. 277 com. 2° c.p.c. e non soltanto la concorde istanza delle parti o ragioni di economia processuale(v. Cass. 20.5.1993 n. 5703).

Ed è chiaro che se si dovesse aderire al primo orientamento le riserve di appello formulata dai coniugi Rossi – Verdi e dall’attrice sarebbero inammissibili atteso che la sentenza 13.3.03 quand’anche non fosse definitiva per la attuale pendenza in primo grado della domanda di Rossi Mario ricadrebbe nella previsione dell’art. 277 com. 2° c.p.c. – inteso come norma diversa dal combinato disposto dei n.n.4 e 3 dell’art. 279 com. 2° e quindi non richiamata dall’art. 340 c.p.c. – ma ad un identico risultato pratico si perviene nella specie, per altra via, pur se gli articoli in predicato rinviassero l’uno all’altro in quanto per giurisprudenza consolidata – e ribadita anche nella sentenza 1.3.1990 n. 1577 delle S.U. – i succitati artt. 277 com. 2°, 279 com. 2° n.4, 340 c.p.c. postulano che le domande cumulate in uno medesimo processo siano introduttive di cause fra gli stessi soggetti così da escludere dal loro ambito di operatività le cause riunite vertenti tra soggetti diversi (v. Cass. 14.4.1988 n. 2961) desumendosi la definitività della sentenza che decide interamente la causa tra due litiganti lasciando pendente quella tra uno di costoro ed un terzo litigante anche dal rilievo che l’art. 340 c.p.c. sottende che le parti abilitate ad interporre la riserva di appello siano legittimate ad appellare la successiva sentenza, parziale o definitiva, e non contempla quindi i casi in cui una delle parti non sia facultata ad impugnare tale sentenza successiva, destinata a fare capo ad una controversia  “inter alios”, alla quale è perciò rimasta estranea.

Nella specie Verdi Angiolina ha partecipato alla causa di scioglimento della comunione, unitamente a Bianchi Lucia, a Rossi Luigi e a Rossi Mario (quest’ultimo come creditore oppostosi alla divisione) ma non è parte in quella intentata da Rossi Mario contro il fratello Luigi e la Bianchi, per cui è legittimata ed interessata ad impugnare solo la sentenza 13.3.03, che certamente non può essere considerata definitiva nei confronti di parte (cioè di lei) e non definitiva nei confronti delle altre.

L’avvenuta proposizione delle domande di Rossi Mario contro Bianchi Lucia e Rossi Luigi, ma non contro la Verdi, trova infatti conferma oltre che nella letterale enunciazione del suo “petitum” nella natura personale e non reale dell’azione da lui esperita adducendo di avere concorso nelle spese e nelle attività di costruzione del fabbricato acquisito in forza dell’art. 934 c.c. al patrimonio dei proprietari del terreno su cui è stato edificato, rivendicando il credito spettante a mente dell’art. 936 com. 2° c.c. a chi ha costruito con materiali propri su suolo altrui, esigendo da Rossi Luigi, sulla base dell’art. 189 c.c., la corresponsione di un terzo – anziché di un sesto – del valore della villetta bifamiliare, salvo restando il diritto della Verdi al rimborso dovuto dal marito in adempimento dell’obbligo imposto dall’art. 192 c.c. –

Traendo le conclusioni dalle argomentazioni fin qui svolte va dunque evidenziato che:

-i lotti dovranno essere assegnati a Bianchi Lucia e ai coniugi Rossi – Verdi in esito all’estrazione a sorte di essi, la quale potrà avvenire solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza n. 307/03 del 13.3.03;

-anche se gli art. 279 com. 2° n.4 in relazione al n.3 e l’art. 277 comma 2° abbracciano le medesime ipotesi e l’art. 340 c.p.c. rimanda quindi ad entrambi la sentenza n. 307/03 non poteva essere oggetto di riserva d’appello avendo natura di sentenza definitiva nei confronti di Verdi Angiolina e quindi anche delle altre parti in causa;

-le riserve di appello formulate da entrambe le difese all’udienza del 20.5.03 debbono essere dunque dichiarate prive di effetti sia pure esclusivamente in funzione della individuazione, nel prosieguo di questo giudizio di primo grado, del momento del passaggio in giudicato della pronuncia del 13.3.03, a decorrere dal quale potrà essere effettuato il sorteggio.

Appare equa la compensazione delle spese del giudizio.

Sulle istanze di Rossi Mario contro Bianchi Lucia e Rossi Luigi viene provveduto come da separata ordinanza.

P. Q. M.

il Tribunale, definitivamente giudicando sulle contestazioni in ordine al sorteggio dei lotti

dispone farsi luogo alla estrazione dei lotti identificati nella sentenza n. 307/03 di questo Tribunale e alle successive assegnazioni di essi a Bianchi Lucia e ai coniugi Rossi Luigi e Tosi Angiolina

subordina la suddetta estrazione al previo passaggio in giudicato della sentenza n. 307/03 dichiarando improduttive di effetti ai soli fini della individuazione della data di tale passaggio in giudicato le riserve di appello formulate all’udienza del 20.5.03

dichiara le spese del giudizio interamente compensate

rinvia a quanto stabilito con separata ordinanza per la ulteriore istruttoria della causa introdotta dalle domande di Rossi Mario nei confronti di Bianchi Lucia e Rossi Luigi.