Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 635 - pubb. 01/07/2007

Distanze nelle costruzioni e criterio della prevenzione

Tribunale Mantova, 07 Gennaio 2004. Est. Gibelli.


Distanze nelle costruzioni - Calcolo della distanza dal confine - Parete finestrata - Distanza minima - Principio di prevenzione - Applicabilità - Limiti - Conseguenze.



In realtà, come è stato osservato, il sistema codicistico delle distanze legali non ha come scopo precipuo quello di far sopportare in parti uguali ai confinanti il sacrificio (consistente in una parte in fondo da lasciare inedificata) comportato dallo spazio che il legislatore ha ritenuto debba necessariamente intercorrere tra due costruzioni sorgenti su fondi finitimi, se esse non siano unite o aderenti. Come pure è stato osservato la vera ratio delle norme in questione è invece quella di evitare che tra costruzioni vicine si creino intercapedini che, per la loro esiguità, abbiano a risultare pericolose (sotto il profilo dell’insalubrità nonché dell’ordine pubblico) e su tale assunto si fonda il principio della prevenzione il cui contenuto consiste in ciò che il proprietario che costruisca per primo (preveniente) è, in linea di principio, libero di farlo finanche sul confine, con la sola avvertenza che, a seconda della scelta da lui operata, il vicino (prevenuto), avrà dal canto suo a disposizione, nell’edificare, una serie di alternative alle quali il preveniente dovrà a sua volta sottostare.


 


omissis

 

Svolgimento del processo

Con atto di citazione in data 28/5/97, ritualmente notificato, Rossi Sandro, residente in Canicattì, evocava in giudizio Verdi Claudio, Verdi Ettore e Bianchi Rita, tutti residenti in Magnacavallo, esponendo:

1) di essere proprietario di un immobile posto in Comune di Magnacavallo Via Fianchetti identificato in NCEU del predetto Comune al Fg. 16 mapp.li 19/2 – 83 – 20 – 22 ed in N.C.T. al Fg. 16 mapp. 86;

2) che l’area edificabile distinta col mapp. 86 confinava ad ovest con l’area di cui al mapp. 93 di proprietà di Verdi Claudio con l’usufrutto di Verdi Ettore e Bianchi Rita;

3) che nel 1980 i confinanti avevano costruito sul predetto mapp. 93 un fabbricato alla distanza di circa m. 0,50 dal confine con la proprietà dell’attore;

4) che tale fabbricato – edificato abusivamente e condonato con concessione in sanatoria n. 229 del 19/2/91 – aveva un’altezza di circa m. 2,30, una lunghezza di m. 12,25, una larghezza di m. 3,80 ed era provvisto di due finestre verso il confine Rossi;

5) che la costruzione era posta nella zona B1 definita “zona di recupero” dal P.R.G. del Comune di Magnacavallo e che lo strumento urbanistico prevedeva che le nuove costruzioni nella zona B1 dovessero sorgere in aderenza ai fabbricati esistenti o, diversamente, ad una distanza minima dai confini di m. 5 in applicazione del D.M. n. 1444 del 2/4/68 il quale prescrive un distacco minimo tra le pareti finestrate di edifici antistanti pari a m. 10;

6) che il fabbricato eretto dai convenuti sul mapp. 93 violava la distanza minima dal confine con la proprietà Rossi;

7) che esso fabbricato inoltre aveva due vedute sul fondo vicino poste a distanza inferiore a quella di legge;

8) che la presenza della costruzione illegittima costituiva un reale vincolo edificatorio a carico della proprietà dell’attore impedendogli di procedere alla edificazione di un fabbricato che aveva previsto di costruire sulla propria area (a distanza di m. 5 dal confine col mapp. 93) e per il quale in data 20/3/95 aveva presentato al Sindaco del Comune di Magnacavallo un pre – progetto che aveva ottenuto parere negativo in quanto la costruzione avrebbe dovuto essere realizzata alla distanza minima di m. 10 dall’edificio esistente sulla proprietà Verdi;

9) che stante il mancato rispetto delle norme in materia di distanze i convenuti dovevano essere condannati alla riduzione in pristino ed al risarcimento dei danni per le violazioni delle distanze del fabbricato e delle vedute e per l’impedimento a costituire sull’area dell’attore.

Ciò premesso Rossi Sandro chiedeva l’accoglimento delle sopra riportate conclusioni.

In via istruttoria l’attore chiedeva disporsi CTU al fine di descrivere la costruzione eretta dai convenuti con particolare riguardo alle dimensioni ed al posizionamento rispetto al confine con la proprietà e di accettare la sua conformità alle prescrizioni in materia di distanze tra fabbricati contenute negli strumenti urbanistici ed edilizi del Comune di Magnacavallo e nella normativa vigente.

Si costituivano ritualmente i convenuti i quali anzitutto eccepivano il difetto di giurisdizione o comunque il difetto di interesse ad agire da parte dell’attore nonché la prescrizione dell’azione e l’incompetenza per valore dell’adito Tribunale dovendosi ritenere competente il Pretore di Mantova.

Nel merito i convenuti contestavano quanto ex adverso dedotto ed insistevano per il rigetto delle domande attoree.

Assunta prova per testi veniva disposta consulenza tecnica di ufficio. Chiamato il CTU a chiarimenti e precisate le conclusioni come sopra riportate la causa, all’udienza del 23/9/2003, veniva trattenuta per la decisione previa assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

Motivi della decisione

Come è risultato dall’espletata CTU l’immobile per cui è causa “risulta costituito da una autorimessa in struttura leggera di fibrocemento applicato su struttura portante in ferro, ancorata a basamento in getto di calcestruzzo e pavimentazione in gres rosso. Le pareti hanno spessore di cm. 5, la copertura rimane pure in fibrocemento su traversi ad “omega” con lastra piana nervata all’intradosso e lastra ondulata all’estradosso. Sul fronte presenta una sporgenza a tettoia su struttura di ferro estremamente precaria, con pavimentazione in lastre quadre di cemento ed un camino alto – tipo “barbecue” in mattoni a facciavista… La costruzione si sviluppa in tre ambienti distinti:

1) tettoia e garage con porta basculante in ferro e finestra sul lato est, verso la proprietà dell’attore, di dimensione cm. 54x72, alto dal pavimento cm. 110 e con distanza da soffitto di cm. 29. Tale vano può ospitare una autovettura e misura circa cm. 370x610, con altezza cm. 210. Da questo si accede ad un vano più piccolo.

2) vano rustico con accesso dal precedente tramite porta, dotato di finestra identica alla precedente e sulla medesima parete, stessa struttura e stessa altezza e larghezza, ma di lunghezza di cm. 140 circa. Infine, sul retro.

3) un modesto ripostiglio con accesso dal lato ovest tramite porta in ferro e vetro di dimensioni cm. 125x185, il vano ha larghezza ed altezza invariate ma è profondo soli cm. 180 ed adibito a deposito attrezzi da giardino e similari.

L’intero fabbricato, quindi, misura esternamente metri 12,25

di lunghezza per metri 3,70 di larghezza costante e di altezza esterna variabile da cm. 2.18 verso lato sud e    cm. 2.90 verso il lato nord.

L’uso della costruzione, come detto è ad autorimessa e deposito rustico”.

Ciò detto per quanto riguarda la dimensione della costruzione, il CTU ha precisato ulteriormente che la stessa “sorge a cm. 42 dalla linea di confine, individuata alla base della recinzione divisoria dei due lotti di proprietà di attore e convenuti, da entrambe riconosciuta come corretta …”.

A norma dell’art. 32 sub 3) delle N.T.A. della variante del P.R.G. del Comune di Magnacavallo adottata con delibera  n. 96 del 28/12/94 “in tutte le nuove costruzioni la distanza minima dal confine di proprietà sarà pari ad ½ dell’altezza del fabbricato con un minimo di ml 5,00.      E’ ammessa la costruzione a confine solamente nei casi previsti ed individuati nella normativa delle singole zone omogenee od in caso di convenzione tra i privati confinanti. L’atto, debitamente registrato, dovrà essere allegato alla pratica edilizia prima del rilascio della concessione”.

Le N.T.A. relative alla zona B1 nella quale si trova la costruzione prevedono tra l’altro che “nuove costruzioni potranno sorgere in aderenza ai fabbricati esistenti, diversamente dovranno rispettare dai confini di proprietà una distanza minima di ml. 5,00 ad eccezione dei garages che potranno sorgere in confine purché non superino l’altezza massima di ml. 2,70, non occupino più di 1/3 della lunghezza del confine tra privati e mantengano una distanza di almeno 10 ml. Dal confine verso la strada o spazi pubblici ……”.

Da ultimo l’art. 44 del vigente Regolamento Edilizio del Comune di Magnacavallo prevede al punto 6 che “L’edificazione in fregio al confine con spazi privati è ammessa, nel rispetto delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G., nei casi seguenti:

a) nuove costruzioni conformi a previsioni di strumenti esecutivi del P.R.G. (piani di intervento urbanistico di iniziativa privata o comunale);

b) nuove costruzioni conformi a convenzioni, anche tra privati che regolino l’apertura di luci, vedute dirette, balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili;

c) nuove costruzioni in aderenza a muri di fabbricati esistenti purché risulti un corretto inserimento edilizio ed urbanistico;

d) nuove costruzioni pubbliche o di interesse pubblico;

e) nuove costruzioni accessorie alle attività produttive, purché non superino l’altezza di 4.50 m e la superficie di 150 mq.,sulle aree in zona Dl (produttiva);

f) autorimesse private, purché non superino l’altezza massima di 2.70 m. e non occupino più di 1/3 della lunghezza

del confine tra privati e mantengano una distanza di almeno 10 m. dal confine verso la strada o spazi pubblici (zone B);

g) recinzioni con le caratteristiche descritte al successivo articolo 5l;

h) cabine per impianti tecnologici e simili, purché non siano palesemente antiestetiche e purché venga rispettata la sicurezza della circolazione stradale”.

Ciò premesso si osserva quanto segue.

Secondo la difesa dell’attore non può applicarsi nel caso di specie il criterio della prevenzione atteso che lo strumento urbanistico prevede una distanza minima da calcolare con riferimento al confine.

La difesa dei convenuti, pur riconoscendo “che la giurisprudenza ormai consolidata ha più volte affermato che il principio della prevenzione non trovi applicazione allorché i regolamenti locali impongono (come nella fattispecie di cui si tratta) di osservare una distanza inderogabile dai confini” ha tuttavia replicato che “la giurisprudenza medesima ha precisato che in tali ipotesi il criterio della prevenzione torna però ad operare se nei regolamenti medesimi sia prevista comunque (come nella fattispecie concreta in esame), la facoltà di costruire in aderenza od in appoggio”.

A fronte di tale replica la difesa dell’attore ha sostenuto che comunque “anche nel caso in cui lo strumento urbanistico

 - edilizio, pur stabilendo le distanze dal confine, consenta di edificare in aderenza o in appoggio, colui che costruisce per primo ha soltanto due possibilità: o costruire fino all’estremo limite del confine od arretrare la fabbrica alla distanza prescritta” ed ha aggiunto che “anche in questa ipotesi, al preveniente non è mai consentito di edificare a distanza inferiore dal confine, come invece avvenuto nella fattispecie (a cm. 42 dal confine)” richiamando sul punto quanto statuito da Cass. Civ. sez. II 5/10/2000 n. 13286.

La tesi dell’attore non può essere condivisa.

Come ha avuto modo di statuire la stessa Sezione seconda della Suprema Corte, con decisione successiva a quella richiamata, “in tema di distanze legali, solo se i regolamenti edilizi stabiliscono espressamente la necessità di rispettare determinate distanze dal confine, vietando la costruzione sullo stesso, non può trovare applicazione il principio della prevenzione; viceversa qualora tali regolamenti consentano la predetta facoltà di costruire sul confine (in aderenza o in appoggio), come alternativa all’obbligo di rispettare una determinata distanza da esso, si versa in ipotesi del tutto analoga, sul piano normativo, a quella prevista e disciplinata dagli artt. 873 ss c.c., con la conseguente operatività del principio della prevenzione, in base al quale chi edifica per primo sul fondo contiguo ad altro ha una triplice facoltà alternativa: a) costruire sul confine; b) costruire con distacco dal confine, osservando la distanza minima imposta dal codice civile ovvero quella maggiore distanza stabilita dai regolamenti edilizi locali; c) costruire con distacco dal confine a distanza inferiore alla metà di quella prescritta per le costruzioni su fondi finitimi, salva in tal caso la possibilità per il vicino, che costruisca successivamente, di avanzare la propria fabbrica fino a quella preesistente, pagando la metà del valore del muro del vicino, che diventerà comune, e il valore del suolo occupato per effetto dell’avanzamento della fabbrica” (Cass. Civ. Sez. II 7/8/2002 n. 11899; nello stesso senso del resto anche Cass. Civ. Sez. II 22/3/1996 n. 2473 richiamata dalla difesa dei convenuti).

Tale orientamento pare condivisibile atteso che affermare l’operatività del criterio della prevenzione vuol dire riconoscere che chi costituisce per primo ha una triplice  (e non solo duplice come vorrebbe la difesa dell’attore) facoltà alternativa, che è appunto quella richiamata nella testè citata sentenza, e ciò coerentemente appunto col significato che è proprio del criterio della prevenzione.

Pur dovendosi riconoscere che la costruzione de qua (che si trova a cm. 42 dalla linea di confine tra le proprietà) viola la distanza di metri cinque con la proprietà dell’attore non può quindi trovare accoglimento la domanda di cui sub b) delle conclusioni precisate dall’attore e sopra riportate.

Invero (come si legge nella motivazione di Cass. Civ. Sez. II 22/3/96 n. 2473) “ove sia applicabile il principio della prevenzione (fondo del prevenuto inedificato nella zona di confine) non basta, per ottenere l’arretramento, che il preveniente abbia fabbricato a distanza dal confine inferiore alla metà di quella stabilita fra costruzioni dall’art. 873 c.c. o dal regolamento locale, perché in tal caso, l’arretramento della fabbrica è invece affidato dalla legge alla libera scelta del preveniente, in alternativa all’estensione della medesima sino al confine, scelta da esercitarsi dietro interpello da parte del prevenuto che intenda costruire contro o in aderenza alla fabbrica del preveniente (e nella specie manca qualsiasi domanda in tal senso da parte dell’attore). In altre parole: non può configurarsi come dovere di arretramento quel che la legge configura come diritto del preveniente; la violazione della distanza minima dal confine (metà di quella stabilita tra costruzioni) è sanzionata, contemperandosi le situazioni soggettive di entrambi i confinanti, dall’assoggettamento del preveniente al sacrificio della proprietà del suolo fino al muro ed alla comunicazione forzosa del muro stesso. In conclusione, nella specie non risulta violata né la norma di cui all’art. 873 (il fondo del prevenuto è inedificato) né la norma di cui all’art. 875, donde la non invocabilità della riduzione in pristino di cui all’art. 872 – 2”.

La tesi attorea pare riconducibile ad una interpretazione degli artt. 872, 873 e seg. c.c. secondo la quale sarebbe sempre possibile chiedere la riduzione in pristino in seguito alla mancata osservanza delle distanze previste dalle disposizioni del codice civile ovvero dalle norme integratrici da queste richiamate e ciò in base all’assunto che tali inosservanze integrerebbero in ogni caso una violazione delle disposizioni stesse passibile della condanna alla riduzione in pristino ex art. 872 comma 2 c.c.

In realtà, come è stato osservato, il sistema codicistico delle distanze legali non ha come scopo precipuo quello di far sopportare in parti uguali ai confinanti il sacrificio (consistente in una parte in fondo da lasciare inedificata) comportato dallo spazio che il legislatore ha ritenuto debba necessariamente intercorrere tra due costruzioni sorgenti su fondi finitimi, se esse non siano unite o aderenti.      Come pure è stato osservato la vera ratio delle norme in questione è invece quella di evitare che tra costruzioni vicine si creino intercapedini che, per la loro esiguità, abbiano a risultare pericolose (sotto il profilo dell’insalubrità nonché dell’ordine pubblico) e su tale assunto si fonda il principio della prevenzione il cui contenuto consiste in ciò che il proprietario che costruisca per primo (preveniente) è, in linea di principio, libero di farlo finanche sul confine, con la sola avvertenza che, a seconda della scelta da lui operata, il vicino (prevenuto), avrà dal canto suo a disposizione, nell’edificare, una serie di alternative alle quali il preveniente dovrà a sua volta sottostare.

Per completezza si osserva che nel caso di specie, per valutare le possibilità concrete dell’attore nella costruzione dell’edificio che ha intenzione di realizzare, non si potrà prescindere dal fatto che la parete del fabbricato di cui si discute, prospiciente il confine con le ragioni Rossi, è parete finestrata.

La difesa dei convenuti ha in comparsa conclusionale ricordato che, in tema di distanze tra fabbricati, l’esercizio della facoltà del prevenuto di chiedere, ai sensi dell’art. 875 c.c., la comunione forzosa del muro del preveniente, non situato sul confine, allo scopo di fabbricare contro il muro stesso, non è impedito dal fatto che sul muro che si vuole rendere comune risultino aperte vedute iure proprietatis (Cass. Civ. Sez. Unite 1/8/2002   n. 11489).

Sul punto va ricordato ancora che la Suprema Corte ha avuto modo anche di chiarire quale sia l’interpretazione da dare all’art. 9 n. 2 D.M. 2/4/1968 n. 1444 in applicazione del principio della prevenzione.

Secondo Cass. Civ. Sez. II 7/3/2002 n. 3340, in caso di realizzazione di pareti finestrate, “fermo restando che, per motivi di logica, prima ancora che di equità, è da escludere che il preveniente possa realizzare una parete finestrata alla distanza dal confine prevista dall’art. 905, primo comma c.c., imponendo al prevenuto di arretrarsi da tale confine fino a rispettare la distanza di mt. 10 da tale parete, la disciplina in tema di distanze va trovata integrando le previsioni di cui all’art. 9 n. D.M. 2 aprile 1968 con il principio di prevenzione, nei limiti in cui lo stesso può trovare applicazione. Se il preveniente costruisce una parete finestrata ad una distanza pari o superiore a mt. 5 dal confine non vi sono problemi.        Il prevenuto potrà, a sua volta, realizzare un edificio con una parete, finestrata o meno, ad una distanza pari ad almeno mt. 10, anche se inferiore a mt. 5 dal confine. E’ da ritenere che comunque debba trovare applicazione l’art. 905 c.c. – Ove il preveniente dovesse realizzare una parete finestrata ad una distanza dal confine inferiore a mt. 5, il vicino non sarà tenuto ad arretrare la propria costruzione fino a rispettare la distanza di mt. 10 da tale parte, ma potrà imporre al preveniente di chiudere le aperture e costruire (evidentemente con parete non finestrata) rispettando la metà della distanza legale dal confine, ed eventualmente procedere all’interpello di cui all’art. 875, secondo comma, cod. civ., se non fosse stata rispettata dal preveniente la distanza minima di mt. 1,5 dal confine. In altri termini, la logica e l’equità espressa dal generale principio di prevenzione impongono di interpretare l’art. 9 n. 2, cit., nel senso che tra una parete finestrata e l’edificio antistante va rispettata la distanza di mt. 10, con obbligo del prevenuto di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza massima di mt. 5 dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, ha rispettato una distanza di almeno mt. 5 dal confine”.

Per quanto riguarda la domanda di condanna al risarcimento del danno va anzitutto osservato, relativamente all’eccepita prescrizione, che sul punto deve condividersi la tesi della difesa dell’attore atteso che, trattandosi di fatto illecito permanente, la decorrenza del termine di prescrizione non si verifica dalla ultimazione dell’opera ma si rinnova di momento in momento avendo inizio da ciascun giorno rispetto al fatto già verificatosi e al corrispondente diretto al risarcimento del danno.

Peraltro, per quanto si è sopra detto, nulla può essere riconosciuto in relazione alla lamentata violazione della distanza della costruzione dal confine, mentre la domanda può trovare accoglimento limitatamente alla pure lamentata apertura di vedute a distanza inferiore a quella di legge (art. 905 c.c.).

Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte sul punto il danno è in re ipsa identificandosi nella violazione stessa.

I convenuti vanno quindi condannati in solido al risarcimento del danno in favore dell’attore che può essere liquidato equitativamente all’attualità in € 3.098,74.

Sussistono giusti motivi per la compensazione nella misura dei due terzi delle spese del giudizio ponendosi il residuo che si liquida in € 1.434,16di cui € 116,66 per esborsi, € 531,07 per diritti, € 666,66 per onorari, € 119,77 per rimborso spese generali oltre a quanto dovuto per legge a carico dei convenuti in solido.

Le spese della ctu e del supplemento di ctu, come liquidate, vanno poste definitivamente a carico di attore e convenuti nella misura della metà.

P Q M

Il Tribunale ogni istanza eccezione e deduzione disattesa così provvede:

1) Accertato che la costruzione per cui è causa si trova alla distanza di cm. 42 dal confine tra le ragioni delle parti rigetta la domanda di cui sub b) delle conclusioni precisate dall’attore dovendosi ritenere operante nella fattispecie il criterio della prevenzione;

2) Condanna i convenuti in solido al risarcimento del danno derivante dalla violazione delle norme sulle distanze per l’apertura di vedute dirette che liquida in € 3.098,74 all’attualità;

3) Dichiara compensate nella misura di due terzi le spese del giudizio ponendosi il residuo che si liquida in € 1.434,16 di cui € 116,66 per esborsi, € 531,07 per diritti, € 666,66 per onorari, € 119,77 per rimborso spese generali oltre a quanto dovuto per legge a carico dei convenuti in solido;

4) Pone definitivamente le spese di ctu e del supplemento di ctu come liquidate a carico di attore e convenuti nella misura della metà.

Così deciso in data 07/01/2004 dal TRIBUNALE ORDINARIO di Mantova.