Diritto Bancario e Finanziario


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22645 - pubb. 06/11/2019

Fideiussione, solve et repete, contestazioni sulla validità ed efficacia dei rapporti e inopponibilità al terzo-garante dell’estratto conto

Tribunale Napoli Nord, 26 Luglio 2019. Est. Rabuano.


Fideiussione – Clausola solve et repete – Insussistenza

Omessa impugnazione od approvazione dell’estratto conto – Effetti – Artt. 1832 cod. civ. e 263 c.p.c. – Possibilità di sollevare contestazioni in ordine alla validità e all’efficacia dei rapporti obbligatori – Onere probatorio a carico della banca – Sussistenza

Fideiussione – Estratto conto – Effetti – Inopponibilità al terzo-garante – Sussistenza



Qualora dalla lettura complessiva del testo del contratto si evince che: a) non è previsto alcun esonero da parte del creditore dal dovere dimostrare il proprio diritto di credito; b) è previsto che la banca può dimostrare il proprio credito tramite le scritture contabili e c) l’unica eccezione espressamente preclusa al debitore riguarda il momento in cui la banca esercita la sua facoltà di recedere dai rapporti con il debitore, è da escludersi si sia in presenza di contratto di fideiussione con condizione solve et repete, la quale, al contrario, determina l’obbligo del fideiussore di pagare il creditore senza opporre nessuna eccezione estintiva, modificativa o impeditiva. (Luca Caravella) (riproduzione riservata)

Con la predisposizione dell’estratto di conto corrente la Banca adempie il proprio obbligo informativo e il solo effetto derivante dalla sua mancata contestazione è la decadenza del cliente dal potere di richiedere alla banca “altre forme di rendiconto” e, precisamente, il rendiconto di cui agli artt. 263 e ss c.p.c., al quale fa rinvio l’art. 1832 c.c. Il collegamento tra art. 1832 c.c. e 263 c.p.c. si desume, come evidenziato in dottrina, dalla coincidenza tra l’elenco dei vizi che consentono l’impugnazione dell’estratto conto in base all’art. 1832 c.c. e la disciplina dei vizi che legittimano alla proposizione della domanda di revisione del conto ex art. 266 c.p.c. Il potere di promuovere l’azione di rendiconto è proprio la situazione giuridica soggettiva cui intende riferirsi l’art. 1832, comma 2º, c.c., nello stabilire che l’approvazione del conto “non preclude il diritto di impugnarlo”. Ne consegue che la contestazione giudiziale o stragiudiziale del conto onererà la banca di dimostrare la veridicità delle singole annotazioni fornendo la relativa prova rappresentata dal documento giustificativo del titolo che ha legittimato la banca ad eseguire e quindi a documentare, mediante una correlativa annotazione nel conto, una certa operazione. (Luca Caravella) (riproduzione riservata)

E’ criticabile l’ampliamento dello spettro applicativo della norma operato dalla giurisprudenza che fa derivare oltre agli effetti positivi del principio di accessorietà, quindi, il riconoscimento al fideiussore del potere di sollevare le eccezioni opponibili dal debitore principale, effetti negativi, precludendo al garante il potere di sollevare eccezioni dalle quali il debitore sia decaduto. Invero, seguendo l’orientamento pretorio esposto si perverrebbe a un risultato interpretativo contrastante con il principio di protezione della sfera giuridica dei terzi rispetto agli atti negoziali, atteso che, con riferimento all’art. 119 TUB, l’inerzia del cliente, con la conseguente approvazione del conto determinerebbe effetti sostanziali o processuali nei confronti del garante precludendo allo stesso la possibilità  di contestare l’estratto conto ovvero si vincolerebbe il fideiussore agli effetti del   negozio novativo, di accertamento o della dichiarazione confessoria del debitore principale (cfr. Corte di Appello Venezia, 26 novembre 1963, secondo cui non bisogna confondere “la proponibilità di eccezioni da parte del fideiussore ed il valore probatorio delle dichiarazioni, documenti ecc. provenienti dal debitore principale”). L’art. 1945 nel prevedere l’interesse a sollevare un’eccezione personale o meno da parte del fideiussore deriva dal fatto che gli effetti dell’atto intervenuto inter alios siano a lui favorevoli. Tale norma si innesta nel tessuto di regole che disciplinano le obbligazioni plurisoggettive fissando, in base al principio di protezione della sfera giuridica dei terzi, come già richiamato, il principio “della non comunicabilità degli atti pregiudizievoli e dell’estensione di quelli vantaggiosi” (Relazione al codice civile, n. 598; Cass.   14 settembre 1963, n. 2515, la quale ha affermato che “Il vigente codice civile, in tema di obbligazioni solidali, è ispirato al principio della non comunicabilità agli altri debitori degli effetti degli atti compiuti o dei fatti verificatisi che siano pregiudizievoli nei confronti di un condebitore solidale e della estensione di quelli vantaggiosi”). Logico corollario è che, prescindendo dalla qualificazione della natura dell’atto di approvazione del conto nel rapporto Banca-cliente, gli effetti di tale atto (novazione, accertamento, prova legale, preclusione del potere di introdurre il giudizio di rendiconto) sono inopponibili al [terzo]-garante. In sintesi gli estratti di conto corrente, formati unilateralmente dalla banca, sono inidonei a dimostrare il diritto di credito dell’ente nei confronti del cliente e, quindi, del terzo. Un diverso orientamento teorico contrasterebbe con il disposto di cui all’art. 2710 cod. civ. determinandone la abrogazione per via pretoria. (Luca Caravella) (riproduzione riservata)


Segnalazione dell'Avv. Luca Caravella


TRIBUNALE DI NAPOLI NORD

Giudice dott. A. S. Rabuano


FATTI RILEVANTI

1. Con ricorso ex art. 633 c.p.c. la Banca Nazionale del Lavoro deduceva di essere creditrice della Mediterran Allium srl della complessiva somma di euro 225.067,33 di cui:

1) euro 27.531,36 per saldo debitore del conto corrente n. 3477 oltre interessi convenzionali dall’01.04.2016 al tasso convenzionale del 16,50 % annuo nei limiti del tasso soglia;

2) euro 197.535,97 per saldo debitore del conto corrente n. 4452 oltre interessi convenzionali dall’01.04.2016 al tasso convenzionale del 16,50% annuo nei limiti del tasso soglia il tutto sulla base del deposito delle copie delle schede di conto e documento di sintesi.

La Banca Nazionale del Lavoro rappresentava che con lettera del 31/05/2013 la società Allium Italia srl e la società P. Import Export srl, si riconoscevano condebitori solidali in favore della Banca di tutte le somme risultanti a debito per capitale, interessi ed ogni altro accessorio, in dipendenza del fido promiscuo commerciale accordato fino ad euro 700.000,00 alla Allium Italia srl ed utilizzati anche dalle dette società P. Import Export srl e Mediterran Allium srl.

In data 11/06/2013 prestavano fideiussione solidale in favore della Allium Italia srl fino alla concorrenza di euro 750.000,00 P. M., P. Angela, P. B. e P. Group sas di B. P..

In data 01/10/2015 Banca Nazionale del Lavoro provvedeva alla revoca degli affidamenti accordati e alla conseguente messa in mora di tutti i debitori che non provvedevano al pagamento di quanto dovuto.

Il Tribunale di Napoli Nord, con decreto ingiuntivo n. 3545/2016 ingiungeva alle società Mediterran Allium , P. Import Export srl, Allium Italia srl, nonché ai signori P. M., P. Angela, P. B. ed alla società P. Group Sas di B. P. & C., il pagamento in solido tra loro della complessiva somma di euro 225.067,33, di cui euro 27.531,36 per saldo debitore del conto corrente n. 3477 ed euro 197.535,97 per saldo debitore sul conto corrente n. 4452, oltre interessi come da domanda, nonché spese, diritti, onorari e accessori del procedimento monitorio.

P. B., nella qualità indicata, P. M. e le società Mediterran Allium srl, Allium Italia srl e P. Import Export srl, con atto di citazione interponevano opposizione al titolo monitorio ed eccepivano:

1) l’incompetenza territoriale del Tribunale di Napoli Nord.

2) inesistenza e inefficacia della certificazione ai sensi dell’art. 50 TUB con riferimento ai conti correnti;

3) inesistenza del diritto di credito della banca per assenza del contratto di fideiussione ;

4) la violazione da parte della Banca Nazionale del Lavoro del principio di correttezza e buona fede.

Gli attori in senso formale, nel precisare le conclusioni domandavano al Tribunale di Napoli Nord: “IN VIA PRELIMINARE - in relazione agli argomenti, deduzioni, produzioni degli opponenti revocarsi il decreto ingiuntivo alternativamente per inesistenza, inefficacia e/o nullità; - in relazione a quanto dedotto circa la inesistenza e/o inefficacia della dichiarazione resa ai sensi dell’art. 50 D lgs 385/1993 revocare il decreto opposto con ogni altra statuizione di legge e di rito; - considerato che il decreto opposto difetta dei requisiti di liquidità, esigibilità e certezza revocarsi per i motivi esposti in atto il decreto in quanto emesso in violazione dell’art. 634 c.p.c. con ogni ulteriore statuizione di legge e di rito; - considerare la mancanza assoluta della asserita fideiussione rilasciata dagli opponenti nei confronti della società Medieterran Allium srl e per l’effetto revocarsi il decreto stesso ed ogni sua efficacia nei loro confronti. NEL MERITO PRINCIPALE -accertato che il contratto di conto corrente ed il contrato di apertura di credito violano le prescrizioni imperative recate dall’art. 117 d.lgs 385/1993 previo ricalcolo del reciproco dare-avere intercorso tra la Banca e la debitrice principali determinare l’effettivo saldo dei conti applicando gli interessi nella misura di legge con eliminazione della eventuale capitalizzazione trimestrale l’effettivo saldo dei conti nonché accertarsi le date di valuta utilizzate dalla Banca in dipendenza dei tempi e modalità con cui ha gestito, per ogni singola operazione, i trasferimenti dal conto corrente 4452 al c/c 3477 e viceversa il tutto a mezzo di c.t.u. contabile e per l’effetto revocarsi il decreto ingiuntivo opposto, con ogni ulteriore statuizione; - accertato che la condotta della Banca opposta viola i presidi inderogabili di legge in tema di osservanza di norme imperative dichiarare liberati gli opponenti dagli obblighi fideiussori e di garanzia per fatto e colpa della Banca con ogni altra statuizione; - accertare la invalidità della fideiussione e comunque la intervenuta estinzione della stessa con conseguente liberazione definitiva dei fideiussori garanti dall’obbligo di pagare; - accertato e dichiarato quanto ai punti precedenti condannare la Banca al risarcimento dei danni nei confronti degli opponenti per violazione delle regole di buona fede e correttezza nell’esecuzione dei contratti nella misura che verrà accertata in corso di causa ovvero nella misura equitativa ritenuta dall’On.le Tribunale nei limiti di quanto dalla stessa Banca azionato e richiesto. - Condannare, in ogni caso, la BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA al pagamento delle spese diritti e onorari di causa con attribuzione al procuratore anticipatario”.

La Banca Nazionale del Lavoro, costituitasi in giudizio deduceva:

1) la competenza del Tribunale di Napoli Nord;

2) la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 633 cpc.

3) la piena validità del contratto di fideiussione.

Nel formulare le proprie conclusioni, la Banca Nazionale del Lavoro domandava al Tribunale di Napoli Nord: “1) In via processuale poiché avverso lo stesso decreto ingiuntivo è stata proposta separata opposizione da parte della garante P. Angela ud. 862017 reg. gen. 139312916 G.I. Dr. Rabuano, si chiede la riunione a quest’ultima causa della presente che ha numero di ruolo successivo, essendo le cause connesse. 2) Ancora in via preliminare si chiede concedersi la clausola di provvisoria esecuzione non essendo l’opposizione fondata su prova scritta e comunque non essendo di pronta soluzione. 3) per il rigetto dell’opposizione. 4) Con vittoria di spese, diritti ed onorari”.

Svoltasi la prima udienza, il giudice, sciogliendo la riserva formulata, con ordinanza dell’8 giugno 2017, sul presupposto dell’assenza degli elementi prescritti dall’art. 50 TUB e della necessità di attivare la procedura di mediazione da parte della Banca Nazionale del Lavoro per il credito asseritamente vantato nei confronti dei debitori principali rigettava la richiesta di provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto; ordinava la separazione del giudizio tra Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. e Allium Italia s.r.l., P. Import Export s.r.l. e Mediterran Allium s.r.l. dal giudizio tra Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. e P. B., P. M., P. Group s.a.s.; dettava le prescrizioni per la regolare instaurazione della procedura di mediazione tra Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. e Allium Italia s.r.l., P. Import Export s.r.l. e Mediterran Allium s.r.l. e fissava l’udienza del 30.11.17; con riferimento al giudizio tra Banca Nazionale del Lavoro e P. B., P. M., P. Group s.a.s. concedeva i termini di cui all’art. 183 co. 6 c.p.c. con decorrenza dal 19 giugno 2017 e fissava la successiva udienza per il giorno 18 gennaio 2018.

All’udienza del 30.11.17 il giudice concedeva i termini di cui all’art. 183 co. 6 c.p.c. autorizzando le parti al deposito delle memorie e comparse difensive.

All’udienza di precisazione delle conclusioni il giudice fissava i termini di cui all’art. 190 c.p.c. riservandosi alla scadenza per il deposito della sentenza.


1. Oggetto del giudizio monitorio

Il Tribunale, preliminarmente rileva, che nel giudizio di opposizione al titolo monitorio si applica il regime giuridico dell'onere della prova come regolato dall’art. 2697 c.c. e interpretato dalla giurisprudenza con il logico corollario, derivante dalla natura del giudizio in esame, che è l’opposto-attore in senso sostanziale a dover dimostrare il fatto costitutivo della propria pretesa.

L'art. 1312 del codice civile del 1865 disponeva che: "Chi domanda l'esecuzione di un'obbligazione deve provarla e chi pretende essere liberato deve dal canto suo provare il pagamento o il fatto che ha prodotto l'estinzione dell'obbligazione".

Veniva quindi regolata specificamente la sola ipotesi dell'onere probatorio in relazione alla domanda di adempimento.

L'art. 2697 del codice civile vigente ha invece dettato una disciplina generale in tema di riparto dell'onere della prova, senza riferimento a specifici tipi di domande.

Dall'art. 2697 c.c., che richiede all'attore la prova del diritto fatto valere ed al convenuto la prova della modificazione o del l'estinzione del diritto stesso, si desume il principio della presunzione di persistenza del diritto. Il principio in parola è applicabile nel caso di domanda di adempimento in relazione alla quale il creditore deve provare l'esistenza della fonte negoziale o legale del credito e, se previsto, del termine di scadenza, in quanto si tratta di fatti costitutivi del diritto di credito, ma non l'inadempimento, poiché è il debitore a dover provare l'adempimento, fatto estintivo dell'obbligazione.

Tale orientamento seguito dal tribunale è coerente con il principio di riferibilità o di vicinanza della prova. In virtù di tale principio, che ha la propria genesi in una tecnica di bilanciamento degli interessi che è sintetizzata nella disposizione di cui all’art. 2697 c.c. si ricollega alla estrema difficoltà per il creditore di dimostrare di non aver ricevuto la prestazione, invero, in questo caso, l'onere della prova è ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per le parti del rapporto obbligatorio di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione. È coerente alla regola dettata dall'art. 2697 c.c., che distingue tra fatti costitutivi e fatti estintivi, ritenere che la prova dell'adempimento, fatto estintivo del diritto azionato dal creditore, spetti al debitore convenuto, che dovrà quindi dare la prova diretta e positiva dell'adempimento, trattandosi di fatto riferibile alla sua sfera di azione (cfr. SS.UU. 13533/01).

1.2. Essendo queste le norme e i principi giuridici applicabili al presente processo, si osserva che Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. non ha dedotto e dimostrato, come si preciserà nel prosieguo della motivazione, i fatti costitutivi della propria pretesa.

1.3. La domanda di accertamento degli opponenti è inammissibile.

Il profilo oggettivo della domanda si articola nel petitum, la cosa oggetto della domanda e nella causa petendi, l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della pretesa.

L’art. 163 co. 3 n. 3 e 4, nel prescrivere la necessità di definire con l’atto di citazione gli elementi oggettivi della domanda svolge la funzione di consentire al giudice di individuare il thema decidendum e al convenuto di svolgere le proprie difese.

La sanzione della nullità prevista dall’art. 164 co. 4 è posta a presidio, dunque, del potere di cognizione del giudice, al fine di consentirgli di avere piena conoscenza dei fatti controversi, e del diritto di difesa del convenuto, per garantirgli la consapevolezza dei fatti sui quali è fondata la pretesa della controparte.

Ne deriva che la nullità opera solo quando nell’atto di citazione i fatti posti a fondamento della domanda sono rappresentati in modo tale da pregiudicare il potere di cognizione del giudice e il diritto di difesa del convenuto.

Nel giudizio promosso nei confronti di un istituto bancario con deduzione della contrarietà a norme imperative di determinate condizioni contrattuali, parte attrice ha l’onere sotto il profilo delle allegazioni di rappresentare la clausola contrattuale illegittima o il comportamento illegittimo della banca

Solo se l’attore allega in modo preciso questi fatti che connotano la causa petendi e il petitum, si consente

- alla banca convenuta di difendersi;

- al giudice di verificare l’esistenza della clausola o del comportamento della banca qualificato come illegittimo dal cliente; 2)accertare la conformità alla legge della clausola contrattuale o del comportamento della banca.

Parte attrice si è limitata ad allegare:

1) le norme asseritamente violate.

Tanto premesso, il Tribunale rileva la nullità dell’atto di citazione.

Sul piano del significato precettivo dell’art. 164 co. 4 c.p.c. si deve verificare, per delinearne l’ambito di applicazione, se ai sensi dell’art. 163 co. 3 n. 4 gli elementi di fatto costituenti la ragione della domanda debbano risultare esclusivamente dall’atto di citazione ovvero possano risultare, con una clausola di rinvio, anche dalla documentazione prodotta in giudizio dall’attore tramite, dunque, quelle che in letteratura sono definite “allegazioni silenti”, come nel caso in esame in cui parte attrice ha rinviato, per l’indicazione dei fatti costitutivi del diritto alla ripetizione dell’indebito, alla relazione del proprio consulente depositata in giudizio.

Deve premettersi, sotto il profilo teorico, che l’allegazione è una dichiarazione normativa, rappresenta, cioè, la manifestazione di volontà della parte di inserire il fatto nel thema probandum e di ottenere, tramite la pronuncia del giudice, la produzione di un determinato effetto giuridico (cfr. SS.UU. 2013 10531 nella parte in cui utilizza l’espressione di “allegazione specifica del fatto” e dunque di una deduzione “giuridicamente” valorizzata).

È stato precisato in dottrina che l’allegazione come dichiarazione normativa muove dal presupposto che la condicio per l’esercizio del potere del giudice sia data da un’affermazione, proveniente dalla parte interessata, non ipotetica e assumente l’esistenza o inesistenza del fatto che sottintende, espressamente o implicitamente, la sua valorizzazione in vista di un determinato effetto giuridico.

Logico corollario è che, in presenza di un’allegazione della parte, proprio perché si tratta di una dichiarazione diretta a valorizzare un determinato fatto per la produzione di un dato effetto giuridico, il giudice ha, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., il potere di pronunciarsi riconoscendo eventualmente, con la sentenza, l’ effetto giuridico indicato dalla parte stessa.

È evidente, sotto il profilo teorico, la distinzione tra l’allegazione implicita della parte e il potere del giudice di rilevare d’ufficio le eccezioni.

Nel primo caso, la parte allega il fatto con una dichiarazione normativa espressa o implicita, come nel caso in cui essa si evinca dalla lettura coordinata dell’atto processuale e dei documenti prodotti, invece, nel secondo caso o si tratta di un fatto introdotto dalle parti e rispetto al quale difetta la dichiarazione normativa e, quindi, la manifestazione di volontà di introdurre il fatto nel thema probandum per la realizzazione di un determinato effetto, ovvero esso risulta acquisito nel processo tramite altre fonti legittime (es. fonti di prova), in questi casi, il fatto risultante dagli atti del processo è individuato dal giudice il quale, nei limiti stabiliti dalla legge, ha il potere di pronunciare una sentenza riconoscendo l’effetto che la stessa legge ricollega a quel determinato fatto.

È inammissibile, secondo il giudizio di questo tribunale il rinvio operato da parte attrice, per la determinazione delle singole rimesse e il loro calcolo alla relazione peritale depositata in giudizio.

L’allegazione implicita compiuta tramite il rinvio con l’atto di citazione alla relazione tecnica depositata in giudizio è inammissibile atteso che, in base al principio del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., le allegazioni implicite, quindi, le dichiarazioni che rappresentano gli elementi fondamentali dell’azione e, in particolare, la causa petendi, devono essere portate a conoscenza, unitamente all’atto di citazione, al convenuto per consentire allo stesso di esercitare immediatamente, nel termine libero di cui all’art. 163 bis c.p.c., il proprio diritto di difesa, che comprende anche la facoltà di non costituirsi in giudizio e di rimanere inerte, avendo piena e completa cognizione dei fatti che la controparte pone a sostegno della pretesa fatta valere dinanzi al tribunale (nello stesso senso SS.UU. 8077/12: “Ma occorre anche tener conto che quest'ultimo elemento (ndr. la causa petendi) deve essere vagliato in coerenza con la ragione ispiratrice della norma, che impone all'attore di specificare sin dall’atto introduttivo, a pena di nullità, l'oggetto della sua domanda: ragione che risiede nell'esigenza di porre immediatamente il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese (prima ancora che di offrire al giudice l'immediata contezza del thema decidendum), con la conseguenza che non può prescindersi, nel valutare il grado d'incertezza della domanda, dalla natura del relativo oggetto e dalla relazione in cui, con esso, si trovi eventualmente la controparte: se tale, cioè, da consentire, comunque, un'agevole individuazione di quanto l'attore richiede e delle ragioni per cui lo fa, o se, viceversa, tale da rendere effettivamente difficile, in difetto di maggiori specificazioni, l'approntamento di una precisa linea di difesa”).

La questione si pone con particolare rilevanza nei processi promossi dal cliente di un istituto bancario-attore il quale, rinviando per l’allegazione dei fatti costitutivi della domanda alla relazione del CTP depositata in giudizio preclude alla banca convenuta in giudizio, di predisporre in modo immediato le proprie difese e di prendere posizione sui singoli pagamenti, imponendogli, invece, in via alternativa l’obbligo di attivarsi ai sensi dell’art. 76 disp. att. c.p.c. per esaminare ed estrarre copia degli atti depositati in giudizio dall’attore, eventualmente tramite il conferimento di incarico a un difensore, ovvero l’obbligo di proporre difese generiche.

In definitiva la domanda è nulla ed è inammissibile l’allegazione implicita con rinvio alla relazione peritale depositata in giudizio.

Il tribunale esclude, infine, l’applicabilità dell’art. 164 co. 5 c.p.c. che prevede la sanatoria dell’atto di citazione nullo se “manca” l’esposizione dei fatti posti a fondamento della domanda e risulta, contestualmente, incerto il petitum.

La ratio dell’art. 164 co. 5 c.p.c. è di garantire che il processo si definisca con l’adozione da parte del giudice di una decisione sul merito della domanda con la conseguente attribuzione o negazione del bene della vita preteso dall’attore.

Il tribunale ritiene che dalla lettura sistematica degli artt. 50, 164 co. 5, 182 c.p.c. si possa enucleare il generale principio che informa l’intero sistema processuale civile secondo il quale il giudizio deve naturalmente concludersi con la pronuncia da parte dell’organo giurisdizionale di una sentenza che accerti la fondatezza del diritto fatto valere dall’attore.

L’art. 50 c.p.c. prevede, nel caso in cui il giudice dichiari la propria incompetenza non la definizione in rito del processo con l’onere dell’attore di promuovere un nuovo giudizio ma la possibilità, entro il termine perentorio fissato dalla sentenza (ordinanza, dopo la riforma attuata con l’art. 45 co. 6 lett. a) L. 69/09) d’incompetenza, di riassumere lo stesso processo dinanzi al giudice dichiarato competente.

L’art. 182 c.p.c. prevede che, in presenza di un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione, il giudice assegna alle parti un termine per la costituzione della persona alla quale spettava la rappresentanza o l’assistenza, o per il rilascio delle necessarie autorizzazioni.

La lettura coordinata degli artt. 50, 164 co. 5, 182 c.p.c. rivela la volontà del legislatore di attribuire al processo la funzione di accertare l’esistenza dei diritti sottoposti alla cognizione del giudice, pertanto, nel caso in cui si pongono questioni di natura processuale, si riconoscono all’organo giurisdizionale poteri d’intervento funzionalmente diretti all’adozione di una pronuncia di merito.

La naturale direzione del giudizio verso l’adozione di decisioni di merito, caratterizzando la funzione del giusto processo (art. 111 Cost.) che deve essere inteso, anche, come procedimento attraverso il quale il giudice deve accertare la fondatezza delle pretese delle parti, deve essere coordinato, tramite un giudizio assiologico e applicando il criterio ermeneutico del “minor sacrificio” dei valori in contrapposizione, con il principio di imparzialità del giudice, che esclude e limita ai soli casi previsti dalla legge l’adozione di provvedimenti diretti a sanare vizi degli atti processuali riconducibili a errori colposi della parte, evincibile dall’art. 153 co. 2 c.p.c., e con il complesso di norme dirette a garantire lo svolgimento ordinato e celere del giudizio poste a presidio anche dell’esigenza di non esporre il convenuto, per un periodo di tempo eccessivo, alle altrui pretese giudiziali.

Pertanto, il necessario coordinamento assiologico dei principi e delle norme in esame, impone una lettura restrittiva dell’art. 164 co.5 c.p.c. e di ritenere sanabili, tramite un provvedimento del giudice diretto a consentire alla parte di emendare un proprio errore con la rinnovazione o integrazione dell’atto di citazione, solo le nullità che, come previste dal testo letterale della disposizione, riguardino alternativamente la causa petendi o il petitum.

Invece, nel caso in cui, come quello in esame, l’omissione e l’assoluta incertezza riguardino tutti i profili oggettivi della domanda (omessa indicazione delle singole rimesse; della natura delle rimesse; della loro data e del relativo calcolo con conseguente incertezza del modo in cui si è pervenuti alla indicazione del petitum ), il principio di imparzialità del giudice e il canone della ragionevole durata del processo (posto a presidio dell’esigenza pubblicistica di garantire il celere svolgimento del giudizio e di quella privatistica di evitare che il convenuto sia esposto per un tempo eccessivo alle altrui pretese giudiziali) impongono di ritenere che nessun termine debba essere concesso dal tribunale per la sanatoria del vizio di nullità come quella in esame che riguarda la mancanza e assoluta incertezza contemporanea della causa petendi e del petitum.

Tanto premesso, il tribunale, nel rimarcare l’assoluta nullità dell’atto di citazione, avendo omesso gli attori di predisporre la domanda con indicazione precisa e immediata della causa petendi e del petitum, ritiene che non poteva essere concesso a parte attrice il termine per la rinnovazione dell’atto di citazione.


2. Diritto di credito derivante dal saldo del conto corrente 
n. 3477

La Banca Nazionale del Lavoro con il ricorso ex art. 633 c.p.c. ha domandato al Tribunale di Napoli Nord il riconoscimento del diritto di credito, quale saldo passivo del conto corrente n. 3477, di euro 27.531,36.

La domanda è infondata.

Il Tribunale ritiene necessario esaminare secondo un ordine di priorità di tipo logico le seguenti questioni:

- metodo di qualificazione giuridica del contratto di garanzia;

- qualificazione giuridica del predetto contratto di garanzia;

- natura giuridica degli estratti di conto corrente nel rapporto Banca cliente;

- rilevanza probatoria degli estratti di conto corrente nel rapporto Banca-terzo fideiussore.

2.1. Qualificazione del contratto di garanzia come contratto di fideiussione

Preliminarmente il Tribunale qualifica il contratto di garanzia stipulato dalla banca con gli opponenti come contratto di fideiussione.

È necessario osservare, sul piano metodologico, che la questione avente a oggetto la qualificazione del contratto quale contratto autonomo di garanzia o di fideiussione attiene all’operazione di qualificazione giuridica della fattispecie negoziale che è diversa da quella d’interpretazione del contratto.

I procedimenti in esame sono connessi ma distinti.

La qualificazione giuridica del contratto è operazione che attiene alla sussumibilità/riconducibilità dello stesso a una figura negoziale delineata dal legislatore e incide sull’individuazione della fonte legale concorrente alla costruzione del regolamento contrattuale, della validità dell’intero contratto o di singole clausole.

L’operazione d’interpretazione del contratto e, nel suo ambito, della volontà delle parti è diretta a esplicitare il significato dei singoli elementi del negozio giuridico, elementi che devono essere assunti dall’interprete per l’attività di qualificazione giuridica dell’atto.

Il primo problema che deve esaminarsi è l’individuazione degli elementi che consentono di qualificare il tipo negoziale.

Con riferimento al contratto di fideiussione e, in particolare, alla distinzione dello stesso rispetto al contratto autonomo di garanzia, la Corte di legittimità, con la pronuncia SSUU 2010 n. 3947 ha incentrato l’elemento caratterizzante il tipo nella causa precisando che il contratto autonomo di garanzia ha la funzione di trasferire il rischio dell’inadempimento dal creditore al garante, invece il contratto di fideiussione ha la funzione di realizzare lo specifico interesse all’adempimento da parte del creditore.

Questa impostazione teorica è stata criticata rilevandosi che in determinati casi il tipo legale contrattuale assume come elemento rilevante dati diversi dalla causa, come la qualità delle parti (è citato il contratto di assicurazione in cui elemento caratterizzante è la qualità di imprenditore di una delle parti).

Sul piano metodologico è condivisibile l’impostazione teorica seguita in dottrina secondo cui l’operazione di qualificazione giuridica del contratto e, precisamente, la sua riconduzione al tipo contrattuale, impone l’esame di tutti gli elementi dell’atto che sono secondo un’elencazione esemplificativa: la qualità delle parti (es. distinzione contratto di appalto e contratto di opera è basta sulla qualità di imprenditore di una delle parti); esistenza di un corrispettivo rispetto a una prestazione, natura della prestazione; natura del nesso tra le prestazioni (es. presenza dell’alea per distinguere rendita vitalizia dalla vendita e dal mutuo e il contratto di assicurazione dalla fideiussione onerosa); natura del bene oggetto del contratto; natura della prestazione; modo di perfezionamento dell’atto; fattore temporale, interessi che le parti vogliono realizzare.

È opportuna una preliminare dissertazione di teoria generale rispetto alla distinzione tra concetto e tipo quali criteri utilizzati dal legislatore per la formulazione delle fattispecie astratte e quale canone di qualificazione giuridica dei fatti empirici.

Con il metodo concettuale il legislatore quando delinea una fattispecie astratta indica tutti gli elementi comuni a determinati fatti empirici.

Si ha una produzione normativa per concetti: il legislatore prescrive per la sussumibilità del fatto concreto alla fattispecie astratta che il fatto concreto presenti tutti gli elementi della fattispecie astratta.

Come evidenziato in letteratura, il legislatore del 1942, rimanendo fedele alla tradizione francese, ha utilizzato il metodo concettuale nel definire i contratti, quindi, le relative disposizioni sono “norme” definitorie prive di portata precettiva.

Con il metodo tipologico, il legislatore nel delineare la fattispecie astratta indica solo gli elementi caratterizzanti un determinato fatto, quindi, per la riconducibilità del fatto concreto alla fattispecie astratta è necessario che il fatto concreto presenti gli elementi caratterizzanti la fattispecie astratta.

Sempre in letteratura si evidenza che il legislatore del c.c. ha utilizzato il metodo tipologico nel prevedere la disciplina dei singoli tipi contrattuali, invero, dall’esame del regime giuridico si evince il tipo contrattuale (vd in seguito per una migliore precisazione) che ha informato la produzione legislativa del codice civile.

Quindi secondo il metodo tipologico si deve verificare a quali elementi il legislatore ha voluto conferire forza caratterizzante la fattispecie astratta.

L’esame sistematico della disciplina dei contratti rende valida un’operazione di ricostruzione in senso tipologico delle fattispecie legali dei contratti, operazione che consiste nella lettura:

- delle norme, dispositive e cogenti, che costituiscono la disciplina del contratto. Le norme dispositive traducono l’ordinaria regola di composizione dei conflitti di interesse che a quel contratto sottendono. Le norme cogenti evidenziano elementi del tipo rispetto alle quali non sono ammesse deroghe da parte dei privati;

- delle norme che regolano contratti affini;

- dalla disciplina pattizia dei contratti atipici. La letteratura ha evidenziato che la reiterata deroga, nella prassi, a una norma dispositiva, è indizio che la disciplina legale è ispirata a un tipo diverso da quello che sottende alla prassi.

Logico corollario di tale impostazione è che la sussumibilità nel concetto legale nulla dice rispetto all’appartenenza al tipo normativo, un caso di specie potrà essere sottratto alla disciplina legale sebbene presenti le caratteristiche evidenziate dalla definizione del contratto speciale se non risponde al tipo che sottende a quella disciplina.

Per converso un fatto può essere sottoposto alla disciplina legale se risponde al tipo a essa sotteso anche se non presenta tutte le caratteristiche richieste dalla definizione.

Sul piano della qualificazione giuridica, il metodo concettuale impone l’utilizzo del procedimento di sussunzione, cioè al fine di ascrivere alla fattispecie prevista dalla norma il fatto materiale, si deve verificare se il fatto empirico presenti tutti gli elementi previsti nella fattispecie. Il procedimento di sussunzione determina un giudizio netto di appartenenza o non appartenenza al concetto.

Invece, il metodo tipologico impone l’utilizzo del procedimento di riconduzione, cioè di verificare se il fatto concreto presenti tutti gli elementi caratterizzanti il tipo ricostruito sulla base delle coordinate normative sopra indicate (le norme, dispositive e cogenti, che costituiscono la disciplina del contratto; le norme che regolano contratti affini; disciplina pattizia dei contratti atipici). Il procedimento di riconduzione, diversamente da quello di sussunzione, determina un giudizio graduabile di appartenenza al tipo contrattuale con conseguente e corrispondente applicazione maggiore o minore della disciplina legale. Infine, il metodo tipologico, tramite la gradualità caratteristica del tipo, consente di costruire, fra i poli estremi rappresentati dai contratti nominati, una serie d’ipotesi intermedie individuando per esse una congrua disciplina.

La forza caratterizzante degli elementi emerge o dal singolo elemento ovvero dalla sua interrelazione con gli altri elementi.

Per interrelazione degli elementi caratterizzanti si intende la valutazione di un elemento in rapporto a un altro elemento della fattispecie.

Se vi è un rapporto di influenza di un elemento rispetto a un altro allora il singolo elemento si presenta con una certa intensità.

L’intensità di un elemento dipende dal modo in cui influenza e incide sugli altri elementi.

Nel processo di riconducibilità al tipo normativo, quindi alla fattispecie prevista dalla norma e concepita nella sua dimensione tipologia (e non concettuale) non rileva la presenza o l’assenza di un elemento ma l’intensità, maggiore o minore con cui si presentano gli elementi caratterizzanti il tipo.

Sul piano del regime giuridico applicabile, si rileva che nell’ambito della disciplina normativa del tipo contrattuale devono distinguersi le norme che si applicano solo a quei contratti che s’identificano senza residui con il tipo normativo e norme che si applicano, invece, anche a contratti che appartengono in misura minore al tipo normativo

Con riferimento alla questione in esame è necessario procedere alla ricostruzione normativa del tipo del contratto di fideiussione.

L’art. 1936 c.c. definisce non il contratto di fideiussione ma il fideiussore prevedendo che è fideiussore colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui.

L’art. 1938 c.c. precisa le caratteristiche dell’obbligazione di garanzia stabilendo che la fideiussione può essere prestata anche per un’obbligazione condizionale o futura con la previsione, in quest’ultimo caso, dell’importo massimo garantito.

L’art. 1942 prevede con riferimento alla prestazione che, salvo diversa pattuizione, la fideiussione si estenda a tutti gli accessori del debito principale nonché alle spese per la denunzia al fideiussore della causa promossa contro il debitore principale e alle spese successive.

Gli artt. 1949, 1950 c.c. nel prevedere il diritto di surroga e di regresso nei confronti del debitore principale del fideiussore che abbia pagato al creditore riconosce alla fideiussione la funzione di strumento diretto sia a rafforzare le ragioni del creditore sia a consentire l’estinzione del debito principale, invero, il legislatore prevede, salvo casi particolari, che se il fideiussore paga il creditore il debitore è tenuto a pagare al fideiussore nonostante la richiesta del creditore. Come è stato efficacemente rilevato in dottrina: “Una volta, infatti, che il fideiussore ha adempiuto nei confronti del creditore, il debitore è tenuto ad eseguire il pagamento al fideiussore anziché al creditore e ciò per evitare la tracimazione dell'istituto in un mezzo di soddisfacimento del credito invece che di estinzione del debito”.

Utile per la ricostruzione normativa del tipo del contratto di fideiussione è l’esame delle disposizioni che regolano il contratto di assicurazione in particolare dal complesso delle disposizioni di cui agli artt. 1882 c.c. e ss.

Dall’esame di tali norme si evincono i seguenti elementi caratterizzanti il tipo assicurazione con distinzione rispetto alla fideiussione:

- il soggetto assicuratore è un imprenditore (art. 1883 c.c.);

- il contratto è sempre a titolo oneroso (1882 c.c.) con la previsione del pagamento di un premio;

- la prestazione dell’assicuratore è di rivalere l’assicurato per il danno prodotto da un sinistro. Nel contratto di fideiussione la prestazione del garante è diretta a soddisfare l’interesse all’esatto adempimento dell’obbligazione propria del creditore;

- il contratto è stipulato direttamente dall’assicurato e anche per conto di chi spetta;

- nella fase precedente alla stipula del contratto devono essere rese dichiarazioni esatte per far conoscere in modo chiaro l’esistenza e l’entità del rischio;

- necessaria esistenza del rischio a pena di nullità del contratto (art. 1895 c.c.);

- doveri di informazione delle parti rispetto alla variazione dell’elemento del rischio;

Sul piano della tipicità sociale, evincibile dall’analisi dell’evoluzione storica della figura negoziale, si possono indicare i seguenti elementi caratterizzanti il contratto autonomo di garanzia:

- sotto il profilo della struttura dell’operazione, tre distinti contratti:

-- il contratto fonte dell’obbligazione tra creditore e debitore;

-- il contratto di mandatotramite il quale il debitore incarica il garante di stipulare un contratto di garanzia con il suo creditore;

-- il contratto di garanzia che obbliga il garante “a prima richiesta” o “senza eccezioni” ovvero “a prima richiesta e senza eccezioni” a effettuare il pagamento di una determinata somma di denaro a vantaggio del creditore a garanzia dell’adempimento da parte del debitore del diverso contratto tra loro intercorrente. L'obiettivo di questo strumento consiste, per il creditore garantito, nell’essere sollevato dal rischio dell'infruttuosità dell’operazione conclusa con il debitore e, per il garante, nel rimanere terzo rispetto al rapporto garantito e, quindi, nel risultare estraneo rispetto alle eventuali controversie da esso scaturenti;

- sotto il profilo degli interessi da regolare sono elementi tipizzanti il contratto:

-- esclusione dall'improduttiva immobilizzazione di ingenti capitali da parte del debitore depositati a titolo di cauzione. Questo rende, sul piano della figura astratta, distinto il contratto autonomo di garanzia dalla cauzione;

-- immediata liquidità per il creditore con somme vincolate presso un terzo. Questo elemento distingue il contratto autonomo di garanzia dal contratto di fideiussione e dal contratto di assicurazione;

-- collocamento del garante in una posizione di assoluta terzietà rispetto alle eventuali controversie tra debitore e creditore sia sull’an sia sul quantum del debito. Tale elemento caratterizzante del contratto autonomo di garanzia rende irrilevante l’indicazione nel testo del negozio di garanzia e nella conseguente richiesta del garante, del titolo in base al quale il creditore pretende il pagamento della somma vincolata a proprio favore.

Procedendo alla ricostruzione del tipo normativo del contratto autonomo di garanzia si devono segnalare le seguenti disposizioni:

- art. 2464 co. 6 c.c. secondo cui il conferimento può anche avvenire mediante la prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con cui vengono garantiti, per l’intero valore ad essi assegnato, gli obblighi assunti dal socio aventi per oggetto la prestazione d’opera o di servizi a favore della società. In tal caso, se l’atto costitutivo lo prevede, la polizza o la fideiussione possono essere sostituite dal socio con il versamento a titolo di cauzione del corrispondente importo in danaro presso la società;

- gli artt. 30 e 38-bis D.P.R. 633/1972 sul rimborso dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) versata in eccedenza. Queste disposizioni abilitano il contribuente al rimborso entro tre mesi dalla richiesta (c.d. rimborso accelerato) a condizione che presti una cauzione in titoli dello Stato o una polizza fideiussoria rilasciata da un istituto o impresa di assicurazione come garanzia della restituzione della somma ricevuta dall'Amministrazione finanziaria. L'istituto in parola viene qualificato dalla giurisprudenza come una garanzia autonoma.

Dall’esame delle disposizioni indicate si possono delineare gli elementi tipologici del contratto autonomo di garanzia:

-- sul piano strutturale l’esistenza di tre distinti contratti: a)contratto che fonda l’obbligazione garantita; b)contratto di mandato con il quale si conferisce incarico a un terzo di prestare la garanzia in favore del creditore-beneficiario; c)contratto di garanzia;

-- il contratto di garanzia è a titolo gratuito (ovvero con causa esterna);

-- la prestazione viene assunta da un terzo garante e non dallo stesso debitore obbligato mentre manca il versamento anticipato di una somma di denaro da parte del debitore principale, così evitandosi l'effetto negativo di una lunga e improduttiva immobilizzazione di capitali (differenziandosi dalla cauzione);

-- differenza qualitativa tra prestazione del debitore principale e del garante;

-- l’impegno del garante è tale da consentire al creditore principale di soddisfarsi in via di autotutela, cioè di realizzare il suo credito sui beni oggetto della garanzia mediante un atto unilaterale costituito da una richiesta della somma assicurata all'esito di un accertamento unilaterale ed insindacabile dello stesso creditore in ordine alla ricorrenza delle condizioni previste per l'escussione distinguendosi dalla fideiussione;

-- la funzione di neutralizzare il rischio per l’inadempimento trasferendolo dal creditore al garante;

-- non ha la funzione espressa di indennizzare il danno derivante dalla perdita definitiva del credito (distinguendosi dall’assicurazione);

-- la garanzia è prestata da un’impresa assicuratrice, elemento che implica, l’immediata disponibilità della somma in favore del creditore e, quindi, la costituzione di un “vincolo” in suo favore.

Il tribunale ritiene che l’elemento caratterizzante il contratto autonomo di garanzia è il riconoscimento del diritto del creditore di ottenere una somma corrispondente all’equivalente pecuniario della prestazione del debitore principale; di acquisire, nonostante le eccezioni rilevabili dal debitore per vizi inerenti il contratto fonte dell’obbligazione principale e in modo immediato, somme vincolate a proprio favore.

Applicando la metodologia sopra esposta, nel procedere alla qualificazione giuridica del contratto questo giudicante deve escludersi che il contratto di garanzia per cui è causa presenti i caratteri tipici del contratto autonomo di garanzia.

Il Tribunale ritiene che il contratto in esame è riconducibile al modello tipo del contratto di fideiussione.

Invero, difetta nel caso in esame il requisito tipologico del contratto autonomo di garanzia e, precisamente, il riconoscimento del diritto del creditore di ottenere una somma corrispondente all’equivalente pecuniario della prestazione del debitore principale e di acquisire immediatamente, in via di autotutela e nonostante le eccezioni rilevabili dal debitore per vizi inerenti il contratto fonte dell’obbligazione principale, le somme vincolate, presso il terzo a proprio favore.

2.2. Regime giuridico applicabile al contratto di fideiussione

Tanto premesso sul piano della qualificazione del contratto deve applicarsi il regime giuridico dettato dagli artt. 1936 e ss. e, sul piano delle norme che regolano le prove, il combinato disposto degli artt. 119 TUB, 1944 c.c., 2698 c.c.

2.3. Esclusione della qualificazione del contratto di fideiussione quale contratto di garanzia con clausola solve et repete.

L’art. 7 del contratto prevede che il fideiussore è tenuto a pagare immediatamente alla banca, a semplice richeista scritta, anche in caso di opposizione del debitore, quanto dovutole per capitale, interessi, spese tasse e ogni altro accessorio

Il Tribuanle eclude che tale clausola determini la configurazione del contratto di fideiussioen quale fideiussione con condizione solve et repete.

Il contratto di fideiussione con clausola solve et repte determina l’obbligo del fideiussiore di pagare il creditore senza opporre nessuna eccezione estitniva, modificativa o impeditiva.

Dal complessivo testo del contratto, l’art. 7 deve qualificarsi come clausola che prevede il termine di adempimento.

Invero, dalla lettura del testo contrattuale

- non è previsto nessun esonere da parte del creditore dall’onere di dimostrare il proprio diritto di credito;

- è previsto che la banca può dimostrare il proprio credito tramite le scritture contabili;

- l’unica eccezione espressamente preclusa al debitore riguarda il momento in cui la banca esercita la sua facltà di recedere dai rapporti con il debitore.


3. Regime giuridico applicabile al contratto di fideiussione avente a oggetto la prestazione di garanzia del diritto di credito della banca derivante da saldo del contratto di conto corrente

Tanto premesso sul piano della qualificazione del contratto deve applicarsi:

- sul piano del diritto sostanziale, il regime giuridico dettato dagli artt. 1936 e ss.;

- sul piano del diritto processuale le norme che regolano le prove, il combinato disposto degli artt. 119 TUB, 1944 c.c., 2698 c.c.

Con riferimento ai giudizi tra Banca e fideiussore, nell’ambito dei quali l’ente produce a sostegno della pretesa creditizia gli estratti di conto corrente, questo giudicante ritiene che debbano essere esaminate le seguenti questioni:

- natura giuridica dell’atto di approvazione degli estratti conto. Si esamineranno le diverse tesi che hanno qualificato l’atto di approvazione del cliente quale ricognizione del debito, negozio di accertamento, novazione e confessione stragiudiziale;

- effetto vincolante degli estratti conto approvati dal cliente nei confronti del terzo fideiussore;

- valore probatorio degli estratti conto (non comunicati al cliente) nei confronti del fideiussore;

- onere di contestazione del fideiussore rispetto ai fatti rappresentati negli estratti di conto corrente prodotti dalla banca.

3.1. Natura giuridica dell’atto di approvazione dell’estratto di conto corrente

Tradizionalmente la dottrina riteneva che l’atto di approvazione del conto da parte della Banca e del cliente avesse quale effetto quello di determinare che il prospetto contabile facesse “stato” tra le parti, riprendendo l’espressione utilizzata dall’art. 2909 c.c.

Questa tesi ricollegava al termine fissato dall’art. 1832 c.c. la natura di termine di decadenza sostanziale, decorso inutilmente il quale le parti avrebbero perso il diritto di avanzare pretese contro le risultanze del conto.

Tale orientamento è stato recepito anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione la quale ha in diverse pronunce riconosciuto all’atto di approvazione del conto effetti sostanziali rispetto all’oggetto del rapporto obbligatorio (Cass., 10 aprile 1995, n. 4140che aveva affermato il principio per cui va tutelato “l’affidamento ragionevolmente sorto in ciascuna delle parti circa la inoppugnabilità delle risultanze degli estratti conto approvati”; Cass., 5 dicembre 2003, n. 18626; Cass., 24 maggio 2006, n. 12372; Cass., 10 giugno 2015, n. 12055 secondo cui: “decorso inutilmente il termine fissato dall'art. 1832, comma 2º, la banca decade dal diritto di far valere crediti che non risultano dall'estratto conto approvato, specie nell'eventualità che si tratti di operazioni non annotate”; Cass., 2 marzo 2016, n. 4113: “l’approvazione tacita dell'estratto di conto corrente ha proprio la funzione di certificare la verità storica dei dati riportati nel conto, ivi compresa l'esistenza degli ordini e delle disposizioni del correntista menzionati nel conto stesso come causali di determinate annotazioni di debito”).
Si è osservato in senso critico che l’orientamento della Corte di legittimità si pone in contrato con gli insegnamenti di teoria generale del diritto atteso che l’indagine sulla funzione oggettiva processuale o sostanziale di un determinato atto deve necessariamente principiare dall’analisi degli effetti che esso produce.

Secondo una diversa tesi l’approvazione del conto, da parte della banca e del cliente, è riconducibile alla figura civilistica del contratto di novazione.

In particolare, tale orientamento ha sostenuto che l’approvazione del conto da parte del cliente seguirebbe sempre la comunicazione dell’estratto conto da parte della banca e questo “scambio di atti” presentava i caratteri del negozio giuridico.

Si precisava che:

- l’approvazione del conto riguardava il profilo oggettivo degli atti negoziali;

- il saldo si sostituiva ai singoli crediti e debiti annotati in conto corrente;

- alla causa dei vari negozi si sostituiva la causa specifica del contratto di conto corrente bancario.

Si concludeva che si era in presenza dei tratti tipici del contratto di novazione: il regolamento contrattuale era diverso e nuovo, esso non era più quello del negozio che aveva dato luogo all’annotazione ma era unicamente quello del contratto di conto corrente.

Tale tesi originava dagli orientamenti di matrice franco-tedesca che influenzarono il codice del commercio del 1882 che all’art. 344 conteneva un espresso riferimento alla novazione.

Un’influenza di tale orientamento si riscontra in tutte le impostazioni teoriche che tendono ad affermare che l’insieme dei crediti confluiti nel conto formano un ente giuridico adespota e solo con la liquidazione periodica o finale del saldo origina un nuovo e autonomo diritto di credito, il diritto al saldo.

Questa tesi è criticabile tenuto conto che il contratto di conto corrente bancario è un autonomo tipo negoziale che presenta gli elementi del contratto di deposito e di mandato, quindi, non può essere sovrapposto e identificato negli altri tipi contrattuali che sono fonte dei diritti e obblighi del cliente che ricevono annotazione nelle scritture contabili della banca e che sono solo sintetizzate nell’estratto di conto corrente.

Peraltro, contrasta con la ricostruzione teorica della novazione l’art. 1827 c.c., applicabile al contratto di conto corrente ordinario che riconosce il diritto delle parti di contestare la validità degli atti negoziali fonte dei diritti e obblighi annotati nell’estratto di conto corrente.

Secondo un differente orientamento teorico l’approvazione del conto rappresenta un negozio di accertamento o, in alternativa una duplice dichiarazione confessoria stragiudiziale

La prima tesi sostiene che mediante l’approvazione del conto “non si vuole confessare e non si vuole disporre; si vuole semplicemente accertare, riservandosi la libertà di dimostrare eventualmente l'inesattezza dell'accertamento”.

Tale orientamento esclude la natura dichiarativa delle annotazioni contabili le quali, quindi, possono avere valore probatorio esclusivamente contro il “commerciante”. Tali annotazioni sono prive di due caratteri fondamentali per la qualificazione come dichiarazioni di scienza e conseguentemente come confessorie stragiudiziali:

- volontà di emettere la dichiarazione;

- trasmissione alla controparte.

Invece, si osservava che l’approvazione dell’estratto conto, da parte della Banca con la sua preparazione e la sua trasmissione, da parte del cliente con la sua ricezione e omessa contestazione, ha natura dichiarativa sussistendo la volontà di comunicarlo ed essendo indirizzato a un soggetto determinato.

Tali sono le premesse teoriche per affermare la natura di negozio di accertamento alla reciproca approvazione del conto da parte della banca e del cliente.

Questa tesi è stata criticata principalmente perché non può riconoscersi natura dichiarativa, ovvero di accettazione di proposta di negozio di accertamento trasmesso dalla banca, al contegno meramente omissivo, quindi, privo di significato volontaristico, del cliente.

Secondo un diverso orientamento l’estratto di conto corrente, formato secondo il procedimento di cui all’art. 119 TUB, ha la natura di duplice dichiarazione confessoria di banca e cliente.

L'art. 1857 c.c. prescrive l’applicabilità alle operazioni bancarie regolate in conto corrente delle norme degli artt. 1826, 1829 e 1832.

L’art. 1832 c.c. rubricato “Approvazione del conto” prevede che l’estratto conto trasmesso da un correntista all’altro si intende approvato se non è contestato nel termine pattuito o in quello usuale o altrimenti nel termine che può ritenersi congruo secondo le circostanze.

La stessa disposizione è ripresa specificamente per i contratti tra banca e cliente dall’art. 119 T.U.B. secondo cui “per i rapporti regolati in conto corrente l’estratto conto è inviato con periodicità annuale o, a scelta del cliente, con periodicità semestrale, trimestrale o mensile.In mancanza di opposizione scritta da parte del cliente, gli estratti conto e le altre comunicazioni periodiche alla clientela si intendono approvati trascorsi sessanta giorni dal ricevimento”.

La norma ha la funzione di tutelare l'interesse di ciascun contraente di far approvare l'estratto conto all'altro per evitare che nel futuro possano sorgere delle contestazioni garantendo lo svolgimento certo e definito del rapporto regolato in conto corrente.

La Corte di legittimità ha affermato che la trasmissione può avvenire anche tramite produzione in giudizio (cfr. Cass. 17242/06 che ha affermato: “La produzione in giudizio degli estratti conto costituisce "trasmissione" ai sensi dell'art. 1832 c.c., onerando il correntista delle necessarie specifiche contestazioni al fine di impedire che lo stesso possa intendersi approvato”. In senso conforme Cass. 12169/00; Cass. 9579/00; Cass. 2765/92), tuttavia, in senso contrario, si rileva che in ambito processuale deve applicarsi nei confronti del cliente il regime dell’onere di contestazione specifica ai sensi dell’art. 115 c.p.c.

La tesi che si espone afferma che l’atto di approvazione è una dichiarazione unilaterale avente natura confessoria con effetti giuridici di accertamento dei debiti risultanti a carico dell'autore (cfr. Cass. 5876/91che ha precisato: “Possono costituire, quindi, oggetto della enunciazione di verità contenuta nella tacita approvazione del conto, con effetti giuridici di accertamento dei debiti risultanti a carico dell'autore, e oggetto, altresì, di eventuale contestazione nel termine breve di decadenza, tute le partite corrispondenti alle operazioni destinate ad affluire nel conto, in base alla originaria autorizzazione concessa dal cliente all'istituto di credito, con la quale si instaura il complesso rapporto giuridico normativo, vincolante le parti”). Precisamente, l'approvazione del conto, avendo natura confessoria, ha per oggetto solo l'elenco delle singole partite del conto e, pertanto, chi approva si riferisce esclusivamente agli elementi contabili dell'estratto che si rappresenta come un fatto e non come un insieme di rapporti giuridici (C.d.A. Milano 23.03.82).

In conclusione, la fattispecie complessa dell'approvazione del conto corrente derivante dalla mancata contestazione dell'estratto nei termini e nelle modalità prescritte è ricostruita come fattispecie formata dal concorso di due dichiarazioni unilaterali di natura confessoria in forza delle quali entrambe le parti, l'una espressamente mediante la redazione e la trasmissione dell'estratto conto, l'altra implicitamente ed anche tardivamente con l'assenza di contestazioni nel termine stabilito, confermano la corrispondenza delle poste annotate alla realtà storica dei rapporti intervenuti.

Questo Tribunale rileva come in letteratura è stato evidenziato che la tesi che riconosce natura confessoria all’approvazione del conto corrente:

- si pone in contrasto con la diversità di disciplina dettata dal codice per la confessione, revocabile sine die per errore o violenza ai sensi dell’art. 2732 c.c. rispetto alla disciplina dettata dall’art. 1832 c.c.;

- è incapace di spiegare come mai l’approvazione del conto precluderebbe al cliente o alla banca di far valere crediti che, non essendo stati inclusi nel conto, non potrebbero mai formare oggetto di dichiarazione.

Peraltro, in senso critico alle opinioni sopra rappresentate si precisa che rispetto all’atto di approvazione del conto difetta il presupposto del negozio di accertamento e della dichiarazione confessoria stragiudiziale, rappresentata da una situazione di incertezza (è noto l’insegnamento tradizionale secondo cui con il negozio di accertamento si vuole realizzare la certezza della situazione giuridica, eliminando l'incertezza da cui la situazione preesistente era caratterizzata) che possa determinare una lite (presupposto del negozio di accertamento) o abbia portato a una lite attuale (presupposto della dichiarazione confessoria).

Solo la presenza di una lite in essere comporta sul piano concettuale l’esistenza:

- di una parte e della controparte;

- la legittimazione a confessare;

- l’effetto di prova legale sul fatto controverso.

Il Tribunale condivide l’orientamento secondo cui:

- con la predisposizione dell’estratto di conto corrente la Banca adempie il proprio obbligo informativo e, quindi, tale predisposizione non è espressione di un potere in senso tecnico, diretto a modificare la situazione giuridica, in termini di diritto o di obbligo, del cliente né di un atto negoziale unilaterale o dichiarazione confessoria (Cass., 20 gennaio 2017, n. 1584; Cass., 15 marzo 2016, n. 5091);

- l’invio dell'estratto conto da parte della banca fa sorgere in capo al cliente un onere di contestazione. Si tratta di un onere, in quanto, se il cliente non provvede a sollevare contestazioni nel termine pattuito, o in quello usuale o nel termine congruo secondo le circostanze, il conto “s’intende” comunque approvato;

- il solo effetto derivante dalla approvazione dell'estratto conto è la decadenza del cliente dal potere di richiedere alla banca “altre forme di rendiconto” e, precisamente, il rendiconto di cui agli artt. 263 e ss c.p.c., al quale fa rinvio l’art. 1832 c.c. Il collegamento tra art. 1832 c.c. e 263 c.p.c. si desume, come evidenziato in dottrina, dalla coincidenza tra l’elenco dei vizi che consentono l’impugnazione dell'estratto conto in base all'art. 1832 c.c. e la disciplina dei vizi che legittimano alla proposizione della domanda di revisione del conto ex art. 266 c.p.c. Il potere di promuovere l'azione di rendiconto è proprio la situazione giuridica soggettiva cui intende riferirsi l'art. 1832, comma 2º, c.c., nello stabilire che l’approvazione del conto “non preclude il diritto di impugnarlo”;

- la contestazione giudiziale o stragiudiziale del conto onererà la banca di dimostrare la veridicità delle singole annotazioni fornendo la relativa prova rappresentata dal documento giustificativo del titolo che ha legittimato la banca ad eseguire e quindi a documentare, mediante una correlativa annotazione nel conto, una certa operazione.

3.2. Effetto vincolante degli estratti conto approvati dal cliente nei confronti del terzo fideiussore

Il Tribunale è consapevole dell’orientamento pretorio secondo il quale gli estratti conto non contestati dal debitore principale vincolano il fideiussore (cfr. Cassazione, 1º agosto 1987, n. 6656 e 29 ottobre 1998, n. 10808; 11 marzo 1966, n. 694, 20 agosto 1992, n. 9719; Corte di Cassazione, 11 marzo 1996, n. 1978, secondo cui “la mancata tempestiva contestazione dell'estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo strettamente contabile, ma non sotto quelli della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano. Pertanto i fideiussori non perdono il diritto di contestare il tasso applicato in concreto dall'istituto di credito, nel caso in cui essi adducano la violazione della clausola contrattuale che aveva posto a parametro di riferimento degli interessi ultralegali le condizioni applicate su piazza dalle altre aziende di credito”).

Tuttavia, questo giudicante ritiene di non condividere l’orientamento della giurisprudenza di legittimità.

Preliminarmente, si deve rilevare che la legge bancaria RDL 375/36, conv. in L. 141/38 prevedeva all'art. 36 lett. g l’obbligo per i creditori e i debitori delle aziende di credito “di far pervenire alle stesse in iscritto, entro un termine stabilito, le loro eventuali contestazioni in merito agli estratti conto e posizioni di conto ad essi inviati con la tassativa conseguenza che, in mancanza di reclamo specifico entro tale termine, il conto si intenderà senz'altro riconosciuto esatto e approvato”. Nel novero dei debitori delle aziende di credito erano ricompresi anche i fideiussori, con la conseguenza che gli estratti conto dovevano essere approvati anche dai garanti.

Ricomprendendo fra i debitori della banca anche i fedeiussori si poteva argomentare che l’efficacia probatoria dell’estratto conto nei confronti del fideiussore presupponeva la mancata contestazione di questi a seguito dell'emissione degli estratti conto anche nei loro confronti.

L' art. 8 comma 2 legge 17 febbraio 1992, n. 154 e l’attuale art. 119 TUB nel prevedere il diritto di ricevere l'estratto conto utilizzano il termine di “cliente”.

Il tribunale osserva che dall’art. 1952 possa evincersi nel rapporto creditore-banca, cliente-debitore, terzo-fideiussore, l’esistenza di doveri informativi reciproci.

Tuttavia, in difetto di informazione sul rapporto di conto corrente dalla Banca al fideiussore si deve ricercare nell’attuale assetto normativo di diritto sostanziale e processuale la disciplina del valore probatorio dell’estratto di conto corrente nel rapporto Banca-garante.

Principiando dalla ricostruzione giuridica della garanzia fideiussoria, deve evidenziarsi che tra debitore principale e fideiussore esiste una solidarietà a interesse unisoggettivo la cui caratteristica principale è l’accessorietà

L’art. 1945 c.c. attua il principio di accessorietà sancendo che: “Il fideiussore può opporre contro il creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale salva quella derivante dall’incapacità”.

L’ampliamento dello spettro applicativo della norma operato dalla giurisprudenza che fa derivare oltre agli effetti positivi del principio di accessorietà, quindi, il riconoscimento al fideiussore del potere di sollevare le eccezioni opponibili dal debitore principale, effetti negativi, precludendo al garante il potere di sollevare eccezioni dalle quali il debitore sia decaduto, è criticabile.

Invero, seguendo l’orientamento pretorio esposto si perverrebbe a un risultato interpretativo contrastante con il principio di protezione della sfera giuridica dei terzi rispetto agli atti negoziali,1 atteso che, con riferimento all’art. 119 TUB, l’inerzia del cliente, con la conseguente approvazione del conto determinerebbe effetti sostanziali o processuali nei confronti del garante precludendo allo stesso la possibilità di contestare l’estratto conto ovvero si vincolerebbe il fideiussore agli effetti del negozio novativo, di accertamento o della dichiarazione confessoria del debitore principale (cfr. Corte di Appello Venezia, 26 novembre 1963, cit., secondo cui non bisogna confondere “la proponibilità di eccezioni da parte del fideiussore ed il valore probatorio delle dichiarazioni, documenti ecc. provenienti dal debitore principale”. ).

L’art. 1945 nel prevedere l’interesse a sollevare un’eccezione personale o meno da parte del fideiussore deriva dal fatto che gli effetti dell’atto intervenuto inter alios siano a lui favorevoli.

Tale norma si innesta nel tessuto di regole che disciplinano le obbligazioni plurisoggettive fissando, in base al principio di protezione della sfera giuridica dei terzi, come già richiamato, il principio “della non comunicabilità degli atti pregiudizievoli e dell'estensione di quelli vantaggiosi” (Relazione al codice civile, n. 598; Cass. 14 settembre 1963, n. 2515, la quale ha affermato che “Il vigente codice civile, in tema di obbligazioni solidali, è ispirato al principio della non comunicabilità agli altri debitori degli effetti degli atti compiuti o dei fatti verificatisi che siano pregiudizievoli nei confronti di un condebitore solidale e della estensione di quelli vantaggiosi”.)

Logico corollario è che, prescindendo dalla qualificazione della natura dell’atto di approvazione del conto nel rapporto Banca-cliente, gli effetti di tale atto (novazione, accertamento, prova legale, preclusione del potere di introdurre il giudizio di rendiconto) sono inopponibili al terzo-garante.

3.3. Valore probatorio degli estratti di conto corrente della Banca non comunicati

L’art. 2710 c.c. dispone che i libri bollati e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti possono fare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa.

La norma, nel derogare la regola generale desumibile dalla disciplina sulle prove del codice civile secondo la quale le dichiarazioni e i documenti fanno prova contro la parte che le ha rese o li ha prodotti in giudizio, consente eccezionalmente all’imprenditore di precostituire prove a proprio favore e si ricollega alla particolare fiducia che il legislatore ritiene si possa riconoscere alla documentazione tenuta secondo certi canoni di regolarità formale e sostanziale e, inoltre, alla possibilità di raffronto con le scritture contabili, che siano tenute regolarmente, della controparte, anch'essa imprenditrice.

L’art. 2710 c.c. con l’espressione “possono fare prova” non indica una regola di giudizio di tipo vincolante ma rimette al prudente apprezzamento del giudice la valutazione sull’efficacia probatoria dei documenti indicati.

Tuttavia, la disposizione in esame opera solo

- nei rapporti tra imprenditori;

- per affari inerenti all’esercizio della rispettiva attività economica.

Logico corollario applicativo è che gli estratti di conto corrente, formati unilateralmente dalla banca, sono inidonee a dimostrare il diritto di credito dell’ente nei confronti del cliente e, quindi, del terzo.

Un diverso orientamento teorico contrasterebbe con il disposto di cui all’art. 2710 determinandone la abrogazione per via pretoria.

3.4. Estratti di conto corrente prodotti in giudizio dalla Banca e onere di contestazione del terzo fideiussore.

Preliminarmente il Tribunale evidenzia che l’art. 115 c.p.c. al co. 2 dispone: “Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”.

La disposizione in esame nel prevedere l’onere di contestazione specifica presuppone che la parte abbia avuto conoscenza immediata e diretta dei fatti allegati dalla controparte alla base delle propria domanda, diversamente opinando si dovrebbe ammettere, in contrasto con la lettera e la ratio dell’art. 115 cit., rappresentata dal dovere di lealtà, oltreché dal principio di economia processuale, la contestazione generica e dilatoria (cfr. Cass. 3576/13: “L'onere di contestazione - la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova - sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per i fatti ad essa ignoti”).

Non è condivisibile l’opposto orientamento teorico secondo il quale l’onere di contestazione specifica concerne anche fatti non comuni a entrambe le parti e persino fatti propri e personali del deducente (CdA Torino, 5 ottobre 2009 in una fattispecie nella quale l’attore allegava di aver subìto un danno non patrimoniale particolarmente rilevante per essere stato costretto ad abbandonare, a causa delle lesioni subite, un hobby e uno sport agonistico praticati con passione e la corte d'appello ha gravato il convenuto dell'onere di contestare tale fatti; in senso conforme, cfr. Cass., 30 giugno 2009, n. 15326).

Tale tesi si fonda sulle seguenti argomentazioni:

- l’assenza di specifiche norme che limitino l’efficacia della non contestazione ai fatti comuni ad entrambi le parti;

- la disciplina della prova testimoniale (artt. 244 ss. c.p.c., 2721-2726 c.c.), dell’interrogatorio formale (artt. 228-232 c.p.c.) e della confessione giudiziale (artt. 2730-2735 c.c.) non attribuisce alcun rilievo alla comunanza o meno alle parti del fatto oggetto di prova, a differenza di quella dettata per il giuramento, che ne impone il deferimento solo su un fatto proprio” della parte chiamata a giurare (art. 2739, comma 2º, c.c.), salvo il caso del giuramento de scientia, riferito alla conoscenza, da parte del giurante, di un fatto del terzo.

Si deve obiettare che il silenzio del legislatore è privo di significato precettivo e, inoltre, l’art. 115 c.p.c. opera nella fase che precede il thema probandum, diversamente dalle norme citate che invece operano all’interno del thema probandum.

Peraltro, risulta ingiustificato privilegiare il diritto di difesa del deducente consentendogli di allegare i fatti a sostegno della propria domanda pur potendoli provare, gravando la controparte dell’onere di contestare specificamente fatti dei quali ignora l’esistenza, risolvendosi, tale contestazione, in una mera negazione dei fatti.

Inoltre, deve rilevarsi che l’art. 115 cit. si applica esclusivamente ai fatti oggetto di prove costituende, tenuto conto che la lettura coerente del dato normativo con le ragioni ispiratrici della medesima non possono esentare la parte che sostiene la propria pretesa in giudizio dal produrre prove costituite, ponendosi tale onere in linea con il rispetto dei doveri di lealtà e probità processuale, evitando azioni temerarie e non ponderate e, inoltre, non essendo l’assolvimento di tale onere in contrasto con il principio di economia processuale. La stessa Corte di legittimità ha affermato con riferimento alle prove precostituite che per l’operatività del principio di non contestazione è necessario che sia pacifica l’esistenza sul piano giuridico del documento (cfr. Cass. 13206/13: “L'operatività del principio di non contestazione delle risultanze di un documento prodotto da una delle parti del giudizio presuppone un requisito minimo, costituito dalla necessità che del documento stesso sia pacifica l'esistenza dal punto di vista giuridico. (Nel caso di specie, essendo state prodotte in giudizio fotocopie incomplete, prive di sottoscrizione, di polizze assicurative, delle quali risultava pertanto impossibile verificare la validità, si è escluso che tale produzione documentale fosse idonea a consentire l'operatività del principio di non contestazione).

Tale orientamento della Corte di legittimità è coerente con quanto sottolineato in letteratura e cioè che il principio dispositivo, che informa il processo civile “non risponde però affatto esclusivamente alla natura privata dell'interesse tutelato nel processo civile e a una conseguente indifferenza dello Stato sul punto della realtà dei presupposti di fatto della sentenza, ma è invece prevalentemente determinato da un intento pratico di sfruttamento della iniziativa delle parti per una più rapida e più sicura posizione del fatto conforme alla realtà medesima: il contrasto degli interessi, che determina e vivifica il processo, consente di ritenere che il fatto taciuto da tutte le parti non possa essere e che il fatto affermato da tutte le parti non possa non essere reale, mentre la possibilità che questa previsione sia fallace in qualche raro caso non sminuisce sensibilmente il rilevato vantaggio di sicurezza e di economia” .

Il principio dispositivo e conseguentemente l’onere di contestazione non rappresentano modalità di semplificazione dell’attività processuale che esprimono l’indifferenza rispetto all’accertamento della realtà storica con la conseguenza che un fatto allegato, che non si sia mai realmente verificato in rerum natura, non si trasforma in un evento storicamente accaduto, sol perché l'allegazione in giudizio della sua esistenza non sia stata contestata da chi avrebbe avuto interesse a confutarla”.

3.5. Invalidità ai sensi dell’art. 2698 c.c. del patto sulla prova contenuto nel contratto di fideiussione.

Il contratto di fideiussione per cui è causa prevede che la banca può dimostrare il proprio credito tramite le proprie scritture contabili.

La previsione negoziale è nulla.

L’art. 2698 c.c. prevede che sono nulli i patti con i quali è ivertito ovvero è modificato l’onere della prova quando si tratta di diritti di cui le parti non possono disporre o quando l’inversione o la modificazione ha per effetto di rendere a una delle parti eccessivamente difficile l’esercizio del diritto.

Il patto in esame preclude, con specifico riferimento al contratto di conto corrente e al diritto di credito della banca, formatosi in conseguenza di numerose operazioni tra l’istituto e il cliente, preclude il diritto di difesa del fideiussore il quale: a) non ha notizia dell’intera durata del rapporto; b) non ha la documentazione necessaria per contestare in modo specifico le risultanze contabili; c) non può, ai sensi dell’art. 119 TUB chiedere la documentazione alla banca relativamente alle singole operazioni compiute durante il rapporto con il cliente; d) non è destinatario delel periodiche comunicazione degli estratti conto che l’art. 119 TUB riserva al cliente.

Quindi, la pattuizione prevista nelc ontratto di fideiussione, modificando l’onere probatorio della banca, consentendo alla stessa di provare, con la sola produzione degli estratti conto il proprio credito nei confronti del terzo fideiussore ilq uale, nel giudizio di accertamento del credito dell’ente, è impossibilitato a controllare l’effettiva formazione della pretesa creditoria della banca e a vagliare la validità delle singole operazioni, essendo “costretto” a svolgere difese generiche”.


4. Esame nel merito della domanda relativa al saldo di conto corrente proposta da Banca Nazionale del Lavoro

Il Tribunale ritiene di dover rigettare la domanda formulata con il ricorso ex art. 633 c.p.c. dalla BNL spa.

Questo giudicante, applicando le coordinate normative sopra indicate, rileva che la Banca

- con riferimento al contratto di conto corrente stipulato con la Mediterran Allium che gli attuali opponenti-fideiussori hanno garantito esclusivamente il rapporto obbligatorio tra la BNL spa e la Allium Italia srl;

- con riferimento al contratto di anticipo, che la BNL

-- non ha prodotto il contratto stipulato tra BNL e Allium Italia srl, debitore garantito.

Il Tribunale rileva che l’oggetto del contratto di garanzia è il seguente: “l’adempimento delle obbligazioni verso codesta banca, dipendenti da operazioni bancarie di qualunque natura, già consentite o che venissero in seguito consentite al predetto nominativo o a chi gli fosse subentrato, quali ad esempio, finanziamenti sotto qualsiasi forma concessi, apertura di credito, apertura di crediti documentari, anticipazioni su titoli, su crediti o su merci, sconto o negoziazioni di titoli cambiari o documenti, rilascio di garanzie a terzi, depositi cauzionali, compravendita titolo e cambi, operazioni di intermediazione o prestazioni di servizio. La fidejussione garantisce inoltre qualsiasi altra obbligazione che il debitore principale si trovassi in qualunque momento ad avere verso codesta Banca in relazione a garanzie già prestate o che venissero prestate dallo stesso debitore a favore di codesta Banca nell’interesse di terzi, per le quali Vi dichiariamo sin d’ora di considerarci solidalmente obbligati nei confronti di codesta Banca e ciò indipendentemente dalla sussistenza delle condizioni stabilite dall’art. 1948 c.c. ”.

Quindi, gli attuali opponenti garantivano le obbligazioni della Allium derivanti da contratti stipulati direttamente con la BNL ovvero le obbligazioni di garanzia assunte dalla Allium nei confronti della banca opposta.

Consegue, quindi, che è estraneo all’oggetto del contratto di garanzia l’obbligazione assunta dalla Allium nei confronti della BNL in base alla lettera del 31.05.2013 con la quale la società Allium si dichiarò condebitore solidale nei confronti di BNL di tutte le somme che fossero risultate a debito della Mediterran Allium srl, trattandosi, non di una garanzia assunta dalla Allium in favore di Mediterran Allium srl ma di un negozio espromissiorio.

Tanto premesso il Tribunale ritiene di revocare il titolo monitorio, rigettare le domande della BNL spa e degli opponenti.

Il Tribunale, tenuto conto dell’esito del giudizio, compensa le spese di lite.

Il compenso del CTU, già liquidato, è posto solidalmente a carico delle parti.

 

P.Q.M.

Il Tribunale di Napoli Nord definitivamente pronunciandosi nel giudizio n. 10304/16

- revoca il decreto ingiuntivo n. 3545/2016 del Tribunale di Napoli;

- rigetta la domanda di Banca Nazionale del Lavoro spa;

- rigetta la domanda degli opponenti;

- dichiara irripetibili le spese del procedimento monitorio;

- compensa le spese del giudizio di opposizione.

- pone il compenso del CTU a carico solidale delle parti.

Aversa 26 luglio 2019